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4.3. Legge, diritto e pena di morte

4.3.2. La legge non è giusta

L’analisi derridiana del diritto non si conclude qui. Se così fosse allora avrebbero effettivamente ragione quei lettori che l’hanno trovata in qualche modo inconcludente o priva di sostanza. Alcuni dei temi accennati in Addio a

Emmanuel Lévinas trovano ampio spazio in Forza di legge.

Nelle dense pagine iniziali del testo Derrida descrive la struttura su cui si fonda il diritto e lo fa a partire da una precisa espressione idiomatica inglese: to

enforce the law. To enforce the law o enforceability of the law sono due

espressioni oneste e trasparenti perché contengono un chiaro riferimento a quella forza che è alla base del funzionamento della legge. Queste espressioni ricordano che «il diritto è sempre una forza autorizzata, una forza che si giustifica», o ancora che «non c’è diritto senza forza».271

Che la forza sia connaturata al diritto è un’evidenza indubitabile. Come vuole Hobbes,272 l’uscita dallo Stato di Natura avviene solo nel momento in cui il “diritto di tutti su tutto” – ossia il potere di possedere tutto e di dare la morte per poterlo fare – viene limitato a una sola persona, il sovrano appunto, che con un atto di forza pone la legge e al tempo stesso si esclude da essa. Se all’atto di forza fondatore con cui si stabilisce la legge non seguisse anche un atto di forza

conservatore chiunque potrebbe, in qualsiasi momento, mettere in discussione il

potere sovrano e riappropriarsi di quel diritto originario sulle cose e sulla vita altrui. All’inizio della legge c’è quindi sempre un atto di forza; eppure questa forza che pone la legge e il diritto ha bisogno a sua volta di essere regolamentata su un altro piano – che non è quello del diritto, rispetto al quale è esclusa, ma è quello della giustizia. In sintesi: la forza su cui si fonda la legge deve essere una

forza giusta. Questo significa che – come abbiamo già visto in precedenza – la

giustizia è eterogenea al diritto. Attraverso questo assunto Derrida intende muovere una critica precisa all’ideologia giuridica, sostenendo che dove c’è diritto, dove ci sono le leggi non c’è giustizia, poiché le leggi sono un prodotto di forze economiche, politiche e sociali. Più precisamente il diritto nasce dalla forza, dalla necessità di regolamentare attraverso un atto di forza fondatore quel

surplus di forza presente nello stato di natura: la sua origine è quindi la forza,

ma si occulta all’interno della sua stessa struttura, si nasconde, si dissimula sotto

271 J. Derrida, Force de loi, Forza di legge, op. cit., p. 52. 272 Cfr. T. Hobbes, Leviatano, BUR, Milano, 2011.

le spoglie dell’autorità che continua a conservare lo stato di diritto con altrettanta forza. Ecco in che senso – da un certo punto di vista – si può dire che il fondamento dell’autorità è mistico. Ed ecco anche che si confondono, si sfumano i confini tra stato di natura e stato di diritto, contrassegnati entrambi da una stessa forza che si manifesta in modi differenti. Scrive a tale proposito Derrida:

Una interrogazione decostruttiva che cominci, come in questo caso, con il destabilizzare o complicare, l’opposizione tra nomos e physis – cioè l’opposizione fra la legge, la convenzione, l’istituzione da una parte, e la natura dall’altra, con tutte le opposizioni che ne derivano, come, per fare un esempio, quella fra diritto positivo e diritto naturale (la différance è lo spostamento di questa logica oppositiva) […] una tale interrogazione decostruttiva è totalmente una interrogazione sul diritto e sulla giustizia. Una interrogazione sui fondamenti del diritto, della morale e della politica.273

La nascita dello Stato moderno dunque è segnata dall’esclusione della forza individuale a favore di una forza universale – sovraindividuale – che garantisca attraverso l’autorità sovrana i rapporti intersoggettivi. Questa particolare sostituzione di forze (che si presenta a livello pre-ontologico nella dinamica di costituzione della soggettività come spergiuro del giuramento ante litteram) si occulta, ma non rimane nascosta costantemente. Nel saggio Pre-giudicati

davanti alla legge,274 facendo riferimento alla parabola contenuta ne Il

Processo275 di Kafka, Davanti alla legge, Derrida spiega che le leggi divengono

storiche, cioè si attualizzano, solo nel momento in cui qualcuno le trasgredisce. In questo caso si crea un gioco differenziale tra la forza di chi non si attiene alle leggi e la forza attraverso cui queste agiscono sul trasgressore punendolo: si genera così un movimento che porta allo scoperto l’atto di forza fondatore e

273 J. Derrida, Force de loi, Forza di legge, op. cit., p. 55.

274 J. Derrida, Préjugés devant la loi, Pre-giudicati davanti alla legge, Abramo Editore, 1996. 275 F. Kafka, Der prozess , Il Processo, Einaudi, Torino, 2005.

quello conservatore nella loro dialettica. Nella parabola di Kafka abbiamo infatti un uomo che si trova davanti alle porte della legge, vorrebbe varcarle ma non trova il coraggio di farlo e chiede alcune informazioni al custode, il quale lo invita a essere paziente. Dopo molti anni di attesa, stanco e sfinito, l’uomo è ancora lì in postazione e il custode gli dice: “Qui non poteva avere accesso nessun altro, perché questo ingresso era destinato solo a te. Adesso vado a chiuderlo.” Le parole del custode rendono chiaro che quelle porte esistono, rimangono aperte solo “per” l’uomo che potrebbe varcarle. Detto in altri termini il diritto esiste solo in virtù di una sua possibile trasgressione. Questo significa che la legge è viva solo nella misura in cui è costitutivamente esposta alla propria morte, o ancora che deve morire per poter vivere: la legge ha evidentemente una struttura autoimmunitaria. E la forza che marca la legge si inscrive all’interno di questa struttura.

D’altra parte però, una volta stabilito questo legame originario tra forza e diritto, urge capire che tipo di forza sia quella di cui stiamo parlando. «Che cos’è una forza giusta?»276 si chiede Derrida.

Gewalt è il termine che sceglie per iniziare a rispondere a questo

interrogativo. Gewalt in tedesco significa forza, violenza, ma anche potere legittimo, autorità, forza pubblica. Gewalt è di fatto il diritto perché contiene in sé sia la violenza senza fondamento dell’atto fondatore, sia la forza conservatrice dell’autorità legittima.

A prima vista la descrizione derridiana del funzionamento del diritto sembra paradossale e, soprattutto, sembra richiamare per certi versi la visione heideggeriana di una giustizia, dike, che trae origine da eris, ossia dalla discordia, dallo scontro violento e che per questo, nella sua forma di pena o castigo, appare allo stesso tempo come aidikia, cioè ingiustizia. Non è così: non c’è ingiustizia nel diritto, c’è iato, distanza, eterogeneità da una giustizia, da una

Legge che è trascendente e ha una natura teologica. Se dunque è vero che le leggi non sono ingiuste rimane il fatto che non sono giuste, e allora potrebbe risultare assurdo il modo in cui noi ci affidiamo al diritto. Derrida cita a tale proposito Montaigne.

Ora, le leggi mantengono il loro credito non perché sono giuste, ma perché sono leggi. È il fondamento mistico della loro autorità; non ne hanno altri. Sono fatte spesso da gente sciocca, più spesso da persone che, per odio dell’eguaglianza, mancano di equità, in ogni caso sempre da uomini, autori vani e incerti. Non c’è nulla così gravemente e così largamente né così frequentemente fallace come le leggi. Chiunque obbedisca loro perché sono giuste non obbedisce loro giustamente come deve.277

Montaigne lo spiega molto bene: le leggi vengono rispettate e quindi sono applicabili non perché sono giuste (la giustizia è, come abbiamo visto, l’impossibile trascendente che non si realizza mai completamente; detto con le parole di Montaigne: le leggi non possono realizzare la giustizia perché sono un affare umano e l’uomo è sempre incerto e fallibile) ma perché si nutre verso di esse una fiducia incondizionata: si “crede” che siano giuste. L’accento deve essere qui posto sul termine credito che, come osserva Derrida, rimanda chiaramente alla credenza come atto di fede.

Ciò che garantisce il funzionamento della legge dunque è questo atto di fede che altro non è se non una forza performativa, né giusta né ingiusta, che non ha un proprio fondamento perché non ha nemmeno bisogno di averlo. La legge cioè ha un fondamento mistico, come scrive Montaigne, rispetto al quale nulla può essere detto, ma bisogna mantenersi in un wittgensteiniano silenzio.

È ciò che propongo di chiamare qui, spostandone un po’ e generalizzandone la struttura, il mistico. Vi è qui un silenzio murato nella struttura violenta dell’atto fondatore. (…) spiegherò dunque l’uso del termine «mistico» in un senso che mi arrischio a definire piuttosto

wittgensteiniano. (…) Dato che l’origine dell’autorità, la fondazione o il fondamento, la posizione della legge, per definizione, in definitiva possono basarsi solo su se stesse, esse sono a loro volta una violenza senza fondamento. 278