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Al di là del principio di amicizia: la Nuova Internazionale

4.4. Per una cosmopolitica a-venire: il pensiero di una comunità autoimmune

4.4.1. Al di là del principio di amicizia: la Nuova Internazionale

Di pari passo con la nuova cosmopolitica a-venire, con questo nuovo pensiero politico che si pone al di là del politico, si dispiega anche un nuovo modo di pensare i soggetti che in questo cambiamento sono coinvolti e che si trovano a vivere in un mondo globalizzato; anche in questo caso la posta in gioco è quella del “proprio” dell’uomo, che abbiamo già detto avere a che fare con la struttura autoimmunitaria e accogliente della sua esistenza (struttura – lo ripetiamo – universale e non specifica).

Procediamo per gradi. Nella Politica291 di Aristotele accanto alla definizione

di uomo come “animale razionale” compare quella di uomo come “animale politico”; il termine “politico” qui può essere tradotto in due diversi modi che sono, a ben vedere, sovrapponibili: da una parte può indicare l’aggettivo “sociale” e quindi la tendenza dell’uomo a non restare solo e a unirsi ad altri uomini all’interno di una comunità organizzata, stringendo con loro rapporti, anche di amicizia. Dall’altra può essere tradotto con l’aggettivo “politico” che rimanda alla polis e indica quindi la tendenza dell’uomo ad appartenere alla città – la comunità assume qui un senso più definito – e a essere un cittadino che stringe con i suoi simili rapporti di concittadinanza. Già qui dunque compare la sovrapponibilità del rapporto politico (cioè rapporto tra individui che appartengono a una stessa città, nazione o Stato) al rapporto di amicizia.

Se proseguiamo e ci riferiamo a Cicerone, e in particolare al Laelius de

amicitia,292 notiamo che non solo questa sovrapponibilità viene confermata, ma una terza modalità di rapporto entra in gioco: quella fraterna. Per Cicerone l’amico è il doppio, colui che la pensa come me, soprattutto da un punto di vista politico (appartiene al mio stesso schieramento politico): «poiché chi ha davanti agli occhi un vero amico ha davanti a sé come la sua propria immagine

291 Aristotele, Politica, a cura di R. Laurenti, Laterza, Roma-Bari, 2007.

292 M. Tullio Cicerone, Laelius de amicitia-Lelio, l’amicizia, a cura di N. Flocchini, Ugo Mursia Editore, Milano, 1991.

ideale»293. L’amico è colui con il quale si ha un rapporto di tale vicinanza da divenire familiarità; il doppio è infatti assimilabile alla figura del fratello e quindi di colui che ha il mio stesso sangue e appartiene alla mia stessa gens.

Si stabilisce così una relazione a tre posti, o meglio, una vera e propria uguaglianza tra rapporto di amicizia, rapporto di fraternità e rapporto politico.

Il riferimento ad Aristotele e Cicerone non è casuale: è Derrida stesso a suggerirlo – affiancandolo anche ad altri importanti autori – in un seminario del 1988-89, dal titolo Politiche dell’amicizia, successivamente raccolto in un testo unico. L’intento derridiano è quello di andare al di là di questa visione triadica dell’amico-concittadino-fratello, o meglio, di pensare a un’amicizia che non sia più né topolitica, e quindi legata al luogo di appartenenza, né fraterna, cioè concepita come se il rapporto a uno stesso territorio potesse divenire rapporto di consanguineità.

Bisogna decostruire i rapporti tra individui così concepiti, come legati indissolubilmente al territorio e al politico: non si tratta di un vezzo filosofico e speculativo, ma di una questione di responsabilità, perché è ciò che la situazione odierna ci richiede di fare.

Pensare l’altro come amico, fratello, concittadino, non è corretto: in primo luogo perché si tende in questo modo ad annichilire la sua totale alterità e la sua singolarità, cercando di intrappolare in un “che cosa” determinato, dal volto certo e sicuro del fratello-amico, il “chi” infinito del tutt’altro. Il riferimento alla fraternità, alla gens, al legame di sangue e dunque al biologico e all’organismo, rende evidente il tentativo di plasmare l’altro sull’autos, trasformandolo così da antigene “non-self” ad antigene “self”: la dinamica è la stessa che abbiamo illustrato, non a caso, in relazione al fenomeno della catalogazione dei migranti.

In secondo luogo pensare all’altro come a un concittadino-fratello è sbagliato perché nell’assiomatica dell’amicizia si inscrive sempre anche quella

293 J. Derrida, Politiques de l'amitié, Politiche dell’amicizia, a cura di G. Chiurazzi, Raffaello Cortina, Milano Ivi, p. 51.

dell’inimicizia. Scegliere chi mi è amico significa scegliere chi invece non lo è, escludere qualcuno, secondo un atteggiamento violento tipicamente sovrano: vuol dire stabilire chi è il mio nemico. «L’amicizia per sé, per l’amico e per il nemico» scrive Derrida a dimostrazione del fatto che questi due poli opposti sono molto più uniti di quello che si possa pensare, perché «l’inversione della repulsione in attrazione è in qualche modo presa, analiticamente compresa, nel movimento del philein».294

Se il mio amico è il mio concittadino, va da sé che chi invece non lo è, e quindi chi è diverso da me, chi viene da un altro paese, crede in un altro Dio e ha un’altra cultura, sarà mio nemico. Chi cioè non ha il mio stesso sangue, non appartiene al mio stesso organismo, sarà un elemento di disturbo nell’omogeneità dell’autos, un elemento di pericolo rispetto al quale andrà azionata necessariamente una difesa immunitaria. È chiaro che un assioma di questo genere alimenta forme di nazionalismo, di xenofobia e di razzismo contro cui oggi bisogna lottare più che mai, proprio perché il loro insorgere persiste ma la conformazione geo-politica è cambiata. 295 Ora, dato che questo assioma dell’amicizia si accompagna al politico, gli appartiene da sempre, la decostruzione del fraterno-andro-filiacentrismo coincide con quella del politico:

Tutt’altro che primitiva, naturalmente, la figura dell’amico, nel suo ritornare così regolarmente sotto i tratti del fratello – quel che è in gioco in questa analisi – sembra spontaneamente appartenere a una configurazione

familiare, fraternalista, quindi androcentrica del politico. Perché l’amico

sarebbe come un fratello? Sogniamo un’amicizia che si porti al di là di questa prossimità del doppio congenere. Al di là della parentela, la più o la

294 Ivi, p. 47.

295 «Lo schema fraterno traccerebbe infatti il confine della comunità degli amici in opposizione alla comunità dei nemici. L’ambito degli “amici”, di una connaturalità e di una connazionalità, di un riconoscimento e di una reciprocità (…) Fraternità e ostilità si trovano, quindi, secondo Derrida, lungo la medesima linea: il principio di fraternità presiederebbe alla definizione dialettica e diacritica dell’amico e del nemico, che istituisce, per Schmitt, il politico. Una politica della fraternità si presenta necessariamente come una politica dell’ostilità; di una ostilità pura…» (C. Di Martino, Oltre il segno. Derrida e l’esperienza dell’impossibile, op. cit., p. 204).

meno naturale, quando lascia la sua impronta, sin dall’origine, sul nome come sul doppio specchio di una simile coppia. Chiediamoci quel che sarebbe allora la politica di un “al di là del principio di fraternità”. Meriterebbe ancora il nome di politica?296

Detto in altri termini pensare l’autoimmunità significa andare al di là del principio di amicizia e di fraternità, nella direzione di una cosmopolitica a-venire, che tende sempre verso la realizzazione impossibile, dell’ospitalità incondizionata, della giustizia.

Ma chi sono i soggetti di questa nuova politica, cioè chi siamo noi? Per rispondere a questa domanda Derrida abbandona i riferimenti precedentemente presi in considerazione (Aristotele, Cicerone, ma anche Montaigne e Schmitt) e si rivolge invece a Nietzsche e in particolare al Nietzsche di Al di là del bene e

del male297 e di Umano troppo umano.298

Noi siamo ancora amici, ma la nostra è un’amicizia senza amicizia, cioè priva di riferimento all’oikos e quindi estranea a qualsiasi parentela. Noi siamo amici che, lungi dall’essere prossimi gli uni agli altri, si allontanano; amano la propria assoluta singolarità: la solitudine.

Ognuno di noi è cioè un organismo a se stante che con gli altri organismi condivide solo quell’elemento di estraneità e alterità che lo rende pericoloso e minaccioso, il fatto cioè di essere “non-self” per l’altro. Eppure è proprio a partire da questa estraneità che si può stabilire una relazione, un’apertura autoimmunitaria.

Tutto questo sembra paradossale e soprattutto sembra non avere nulla a che vedere con l’amicizia che tradizionalmente si accompagna sempre a un’idea di vicinanza; per questo Derrida si domanda: «come è possibile tale amicizia se

296 J. Derrida, Politiques de l'amitié, Politiche dell’amicizia, op. cit., p. 2.

297 F. Nietzsche, Jenseits von gut und böse, Al di là del bene e del male, trad. it. F. Masini, Adelphi, Milano, 1977.

298 F. Nietzsche, Menschliches, allzumenschliches, Umano troppo umano (vol. I), trad.it. S. Giametta, Adelphi, Milano, 1979.

non figuratamente? Perché chiamarla ancora “amicizia” se non per abuso linguistico e slittamento di una traduzione semantica?»299

Queste domande sono legittime: per quanto infatti il principio di amicizia basato sul fraternocentrismo debba essere superato, rimane il fatto che l’amicizia richiede sempre una certa unione. E infatti in questo “al di là dell’amicizia” derridiano non si nega l’unione, anzi: la si afferma. Ciò che cambia qui è il denominatore comune a partire da cui l’unione diviene possibile: non più la stessa origine (sia essa nazionale, culturale o familiare), non più l’affetto reciproco, non più gli elementi che ci rendono uguali, ma invece proprio quelli che ci rendono diversi gli uni dagli altri.

Noi siamo innanzitutto, in quanto amici, amici della solitudine, e vi chiamiamo a condividere quel che non si condivide, la solitudine. Tutt’altri amici, amici inaccessibili, amici soli perché incomparabili e senza misura comune, senza reciprocità, senza uguaglianza. Senza orizzonti di riconoscenza o di riconoscimento, quindi. Senza parentela, senza prossimità, senza oikeiotes. 300

Emerge qui il pensiero non di una comunità autoimmune, che avevamo annunciato dall’inizio: una comunità aperta, sempre esposta al rischio della propria morte. Questa apertura si stabilisce proprio a partire da quell’elemento che ci rende differenti, ogni volta unici e irripetibili, e al tempo stesso uguali, com(e)-uni: la nostra struttura autoimmunitaria. Derrida parla della «comunità di coloro che amano allontanarsi», di «amici intrattabili della singolarità solitaria».301

Gli ingredienti fondamentali di questa «politica della separazione»302 sono la disgiunzione, la segretezza assoluta della singolarità e, soprattutto, il silenzio come modalità comunicativa. Gli uomini di questa comunità particolare stanno

299 J. Derrida, Politiques de l'amitié, Politiche dell’amicizia, op. cit., p. 50. 300 Ibidem.

301 Ibidem. 302 Ivi, p. 70.

in silenzio, laddove Derrida concepisce il silenzio, nella scia di Heidegger,303 non come un’assenza di discorso – quindi di senso – ma come una sua modificazione spesso e volentieri più densa di significato.

Silentium. Ascesi, chenosi, saper fare il vuoto di parola per lasciar respirare

l’amicizia […] Non che gli amici debbano tacere tra di loro o sui loro amici. Bisognerebbe che nella loro parola respiri forse il sottointeso di un silenzio. Che altro non è se un certo modo di parlare: segreto, discreto, discontinuo, aforistico, ellittico. […] I separati sono assieme senza smettere di essere quel che sono destinati a essere – e certo lo sono allora più che mai: dissociati, resi solitari, singolari, costituiti in alterità monadiche (vereinsamt), nel punto in cui, come dice il fenomenologo, il proprio dell’alter-ego non sarà mai accessibile, come tale, a un’intuizione originariamente donatrice, ma solo a una rappresentazione analogica. Non sono solidali, quei due, sono solitari, ma si alleano in silenzio sulla necessità di tacere insieme, almeno ciascuno dal canto suo. Legame sociale, contemporaneità, forse, ma comunque nella comune affermazione dell’assenza di legame, nell’esser-solo intempestivo e, simultaneamente nell’acquiescenza congiunta della disgiunzione. 304

“Nuova Internazionale” è l’altro nome con cui Derrida, in Spettri di Marx, si riferisce a questa comunità, a questa cosmopolitica. La Nuova Internazionale è un’alleanza tra gli individui che si pone al di là di qualsiasi nazionalità, di qualsiasi appartenenza politica o sociale, è un vivere insieme che non implica legami di fratellanza; è una con-divisione appunto, un’affinità che si costruisce sulla base di una sofferenza infinita che da una parte è sofferenza dell’uomo in quanto essere finito e limitato e dall’altra è la disperazione legata al contesto in

303 «Su questo stesso fondamento esistenziale riposa anche un’altra essenziale possibilità del discorso, il tacere. Nel corso di una conversazione chi tace può “far capire”, cioè promuovere la comprensione, più autenticamente di chi non finisce mai di parlare. L’ampiezza di un discorso su qualcosa non garantisce affatto l’ampiezza della comprensione delle cose. Al contrario un fiume di parole oscura l’argomento da comprendere, dando a esso la chiarezza apparente che non comprende e banalizza» (M. Heidegger, Sein und zeit, Essere e tempo, op. cit., p. 198).

cui viviamo, al quadro nero305e alle piaghe della mondializzazione. Xenofobia, razzismo, mafia, corruzione, assenza di lavoro, povertà, sfruttamento delle popolazioni sottosviluppate, in una parola: crimini contro l’umanità dell’uomo. «Bisogna proprio gridare che mai, nella storia della terra e dell’umanità, la violenza, l’ineguaglianza, l’esclusione, la miseria e dunque l’oppressione economica, hanno coinvolto così tanti esseri umani».306

Ora, questa alleanza mondiale è animata non solo da una sofferenza condivisa, ma anche da una speranza profonda che si pone alla ricerca di quel nuovo diritto internazionale che abbiamo già nominato e che tende costantemente verso i diritti umani. Il nome stesso scelto da Derrida, Nuova Internazionale, indica questa speranza di fondo: in esso infatti non risuona tanto l’eco del comunismo come visione del mondo, quanto quello della sua promessa – così come si era presentata nel 1848 – che diviene qui promessa di giustizia infinita, data dal riferimento di questa alleanza alla Legge.

Una “nuova Internazionale” si cerca attraverso queste crisi del diritto internazionale, denuncia già i limiti di un discorso sui diritti dell’uomo, discorso che resterà inadeguato, talvolta ipocrita, in ogni caso formale e inconseguente fin quando la legge del mercato, il “debito estero”, l’ineguaglianza dello sviluppo tecno-scientifico, militare ed economico, faranno sussistere quell’effettiva e mostruosa ineguaglianza, che oggi più che mai, prevale nella storia dell’umanità. (…) La nuova Internazionale non è solo ciò che cerca un nuovo diritto internazionale attraverso questi crimini. È un legame di affinità, di sofferenza e di speranza (…) senza coordinazione, senza partito, sena patria, senza comunità nazionale (Internazionale prima, attraverso e al di là di ogni determinazione nazionale) senza con-cittadinanza, senza appartenenza comune a una classe.307

305 J. Derrida, Spectres de Marx, Spettri di Marx, op. cit., p. 111. 306 Ivi, p. 110.