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La différance, il vivente e l’economia della morte

L’analisi di questi importanti passaggi rende ora possibile chiedersi quale sia la reale posta in gioco dei riferimenti espliciti alla biologia, alla cibernetica e agli studi di Leroi-Gourhan. Proveremo quindi a trarre alcune importanti conclusioni a partire da quanto detto finora, per far luce da una parte sul ruolo che différance, archi-scrittura e traccia, giocano nel discorso sul vivente, e dall’altra sul modo in cui al di sotto di questi concetti si delinea sempre più chiaramente il paradigma di “la vita la morte”.

Prima di tutto bisogna tornare là dove, in riferimento ai processi più elementari del vivente compare l’archi-sintesi, quando Derrida, a proposito del programma biologico-cibernetico scrive che lo si può intendere come «l’ambiente o l’atomo irriducibile dell’archi-sintesi in generale». L’archi-sintesi è ciò che, più avanti nel testo, Derrida chiamerà esplicitamente différance. Parlando della grafia in Leroi-Gourhan la definisce «un’articolazione nella storia della vita – di ciò che qui chiamiamo la différance – come storia del gramma». Différance e archi-scrittura indicano cioè la stessa cosa, quel movimento che Derrida in altre sedi definirà

come attivo e passivo, di temporeggiamento e spaziamento, di donazione e di ritrazione.53 Un movimento cioè che, per riprendere quanto abbiamo già visto a proposito del trascendentale nell’Introduzione, rende possibile ciò che rende impossibile. Archi-scrittura e différance indicano quindi uno stesso principio che è condizione e struttura della storia e dell’evoluzione della vita, «a tutti i livelli di organizzazione della vita», scrive Derrida, e prosegue dicendo «cioè dell’economia

della morte».54 O meglio, archi-scrittura «è l’apertura della prima esteriorità in generale, l’enigmatico rapporto tra il vivente e il suo altro e tra un dentro e un fuori: la spaziatura. Il fuori, esteriorità spaziale e oggettiva non apparirebbe senza il gramma, senza la differenza come temporalizzazione, senza la non-presenza dell’altro iscritta nel senso del presente, senza il rapporto alla morte come struttura concreta del presente vivente».55 Si delinea qui la prospettiva evoluzionista di una vita che si produce solo esponendosi alla morte, tollerando l’assenza, il rischio.

53 In Positions, Posizioni troviamo raccolta la stesura del colloquio che Derrida ebbe con Henri Rose nel 1967, in cui realizza una sintesi efficace di ciò che intende con il termine différance: «Il participio presente del verbo différer (differire) su cui si forma il sostantivo différance, raccoglie una configurazione di concetti che, secondo me, è sistematica e irriducibile.

In primo luogo, différance rinvia a un movimento (attivo e passivo) che consiste nel differire:

mediante dilazione (délai), delega, rinvio (sursis), rimando (renvoi), diversione (détour), ritardo, riserva (mise en réserve). In questo senso, la différance non è preceduta dall’unità originaria e invidiosa di una possibilità presente che si metterebbe da una parte come una spesa rimandata a più tardi, per calcolo o coscienza economica. Ciò che differisce la presenza è ciò a partire da cui, al contrario, la presenza è annunciata o desiderata nel suo rappresentante, nel suo segno, nella sua traccia.

In secondo luogo, il movimento della différance, in quanto produce i differenti (différents) e

differenzia, è la radice comune di tutte le opposizioni concettuali che scandiscono il nostro linguaggio, quali ad esempio, per prenderne solo alcune, quelle di sensibile/intellegibile, intuizione/significazione, natura/cultura, ecc. In quanto radice comune, poi, la différance è anche l’elemento dello stesso (meme) (che va distinto dall’identico) in cui tutte queste opposizioni si annunciano.

In terzo luogo, la différance è la produzione, se così si può dire, di quelle differenze, di quella

diacriticità che la linguistica uscita da Saussurre, e tutte le scienze strutturali che l’hanno presa a modello, ci hanno ricordato essere la condizione di significazione di ogni struttura. Queste differenze sono gli effetti della différance, non già sono iscritte nel cielo o nel cervello; il che non vuol dire, però, che esse siano prodotte dall’attività di un soggetto parlante. Da questo punto di vista, il concetto di différance, non è semplicemente strutturalista né semplicemente genetista, poiché tale alternativa è essa medesima un “effetto” di différance. Arriverei quasi a dire – ma forse riprenderemo il punto più avanti – che non è nemmeno semplicemente un concetto.

In quarto luogo, la différance nominerebbe provvisoriamente il dispiegarsi della differenza

ontico-ontologica heideggeriana» (J. Derrida, Positions, Posizioni. Scene, atti, figure della

disseminazione, a cura di G. Sertoli, Ombre Corte, Verona, 1999, pp. 47-48). 54 J. Derrida, De la grammatologie, Della grammatologia, op. cit., p. 101. 55 Ivi, p. 104.

Anche quando il vivente agisce in base a quel programma genetico che gli impone l’autoconservazione sta in realtà facendo un’economia della morte, si sta cioè conservando intatto per morire naturalmente. In tal senso è utile seguire il ragionamento di Francesco Vitale che, subito dopo essere giunto a queste stesse conclusioni, svolge una breve deviazione attraverso un altro testo derridiano, scritto negli stessi anni di Della grammatologia. Stiamo parlando di Freud e la scena

della scrittura,56 in cui il rapporto tra evoluzione della vita, différance e morte, emerge in modo chiaro.

Tutte queste differenze nella produzione della traccia possono essere reinterpretate come momenti della différance. Secondo un motivo che non smetterà mai di governare il pensiero di Freud, questo movimento viene descritto quale sforzo della vita che protegge se stessa differendo l’investimento pericoloso, vale a dire, costituendo una riserva (Vorrat). Il dispendio o la presenza minacciosa sono differiti grazie alla facilitazione (frayage) e alla ripetizione. Non è già questa la deviazione (Aufschub) che instaura il rapporto del piacere alla realtà? Non è già la morte al principio di una vita che non può difendersi contro la morte, la différance, la ripetizione, la riserva?57

Ma, proseguendo con le nostre conclusioni, potremmo ora porci una domanda: se différance e archi-scrittura sono le condizioni strutturali della vita, allora il vivente cos’è, come si dà, come può (se davvero è possibile) essere definito? La risposta a questo interrogativo fa entrare ufficialmente in gioco un’altra parola: la traccia. Potremmo dire che il vivente è traccia, o ancora che si traccia, a partire dal movimento della différance. Ma perché Derrida sceglie di utilizzare proprio questa parola? Perché, spiega, «la parola traccia deve fare di se stessa il riferimento per un certo numero di discorsi contemporanei con la forza dei quali intendiamo fare i

56 J. Derrida, Freud e la scena della scrittura, in L'écriture et la différence, La scrittura e la

differenza, Einaudi, Torino, 1990. 57 Ivi, p. 261.

conti».58 Riferendosi tanto al discorso filosofico, e in particolare a Lévinas, Heidegger, Nietzsche e Freud, quanto a quello scientifico, la traccia porta definitivamente al compimento di quel sodalizio strategico che Derrida cerca di stabilire tra scienza e filosofia, avendo come obiettivo la decostruzione del fono-logocentrismo tradizionale. Ovviamente però c’è di più: nella traccia si realizza in modo completo anche quel riferimento costitutivo alla morte, all’assenza, al rischio, che abbiamo visto profilarsi fin dall’inizio. Nella conferenza che tenne presso la Società Francese di Filosofia nel 1968, dal titolo La différance,59 Derrida spiega molto bene, e facendo riferimento al testo heideggeriano Il detto di

Anassimandro,60 che nella struttura stessa della traccia, come segno presente di qualcosa che non c’è più – un segno che peraltro è costitutivamente esposto al rischio del suo stesso cancellamento – presenza e assenza, vita e morte convivono e si compenetrano. Per concludere dunque possiamo dire che différance, archi-scrittura e traccia rendono possibili due movimenti. Da una parte, nominando il vivente tout court, sfumano i confini, supposti netti dalla tradizione, tra animalità e umanità. E dall’altra, essendo la scrittura già da sempre tecnica, come Derrida stesso afferma in Della grammatologia, sfumano anche i confini tra umanità e macchinalità, inscrivendo nell’organico, nella vita, il ritmo mortifero della tecnica.

Tuttavia, a questo stadio della riflessione derridiana, le conclusioni che abbiamo potuto trarre sono ancora provvisorie e, anzi, ci costringono necessariamente a rilanciare alcune questioni importanti. Si potrebbe infatti già qui muovere una facile obiezione alla posizione derridiana: pensando alla différance, all’archi-scrittura e alla traccia come condizioni di possibilità della vita stessa Derrida non è forse caduto vittima di un cortocircuito, affermando una legge trascendentale e quindi imboccando la strada di quella stessa metafisica che avrebbe voluto

58 J. Derrida, De la grammatologie, Della grammatologia, op. cit., p. 104.

59 Si tratta di una conferenza pronunciata alla Società francese di filosofia nel gennaio del 1968 pubblicata nella raccolta Margini (J. Derrida, Marges - de la philosophie, Margini - della filosofia, Einaudi, Torino, 1997).

60 M. Heidegger, Il detto di Anassimandro, in Holzwege, Sentieri interrotti, La Nuova Italia, Firenze, 1968.

decostruire?61 Per rispondere a questo interrogativo bisogna rivolgersi nuovamente alla scienza e porsi un’altra domanda: fino a che punto la biologia e la genetica sono state in grado di fare i conti con una tale scrittura originaria e di pensarla radicalmente, senza ridurla a mera metafora?

Si tratta di tematiche molto importanti, che trovano ampio spazio in un ciclo di seminari che Derrida tenne tra il 1975 e il 1976 e con cui ora proveremo a confrontarci.