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OS: Perché la rete non è che deve sempre riunirsi, la rete c’è anche quando non si riunisce. Faccio un esempio del foyer: l’utente ha un appuntamento medico, lui però non riesce a comunicarlo e spero che il foyer ci chiama e ce lo comunichi. E qui formi già la rete comunque. Il foyer o il curatore vuole dire qualcosa in rete, che ce lo comunichi questo bisogno. Non è che aspetta un anno e noi non facciamo niente. Non so, tramite mail, tramite il telefono... Però la comunicazione è fondamentale. Se ognuno lavora solo per sé e non avvisa gli altri, è dura.

KS: Si tratta di avvisare gli altri degli avvenimenti?

OS: Avvisare sulla problematica che sta succedendo. Perché se succede qualcosa al laboratorio, lo teniamo solo per noi e non avvisiamo il foyer, non avvisiamo gli altri… Magari il foyer vede qualcosa d’altro, magari il foyer continua il lavoro che stiamo facendo noi. Ma se non avvisiamo nessuno, non funziona.

KS: Ci sono degli altri aspetti?

OS: La trasparenza. Bisogna essere onesti. Qua anche l’utente stesso, se fa delle triangolazioni… La cosa delle triangolazioni purtroppo succede spesso. Però dobbiamo essere noi bravi professionisti per non farlo succedere.

KS: Le triangolazioni?

OS: Per esempio quando l’utente si lamenta del foyer al laboratorio e al laboratorio del foyer. Ecco, lì la comunicazione è importante. Noi, fra il foyer e il laboratorio dobbiamo sentirci. Non ascoltare solo la parte dell’utente, ma sentire anche l’altro, assicurarsi che cosa sia vero. Quello è appena successo.

KS: Hai parlato della comunicazione, della trasparenza...

OS: Poi bisogna volere farla la rete. Se non hai voglia di farla è dura. Non devi sentirti obbligato, deve essere una cosa, secondo me, normale, non obbligatoria.

KS: Dal tuo osservatorio, quali sono gli aspetti critici dell’attuale modo del lavorare in rete?

OS: Quando ci sono tante persone, la rete diventa più dispersiva. KS: Succede?

OS: A me, personalmente, no, però può capitare. Scusa, una criticità… Io non vedo bene le reti con doppie figure, tipo due educatori dello stesso laboratorio, due educatori del foyer. KS: Potresti approfondire?

OS: Secondo me, basta un educatore per ogni struttura, altrimenti mi sembra un doppione. Alla fine è un educatore che ha un progetto che ha con l’utente, poi gli altri un po’ collaborano. Però quello che dirige il progetto è uno. Io faccio fatica a vedere due educatori che dirigono un progetto di una persona. Perché ci sono troppi punti di vista, poi differenziati. E poi penso alla fiducia che instauri con l’utente… Se l’utente ti racconta certe cose vuol dire che ha fiducia in te. Io non mi immagino due operatori dello stesso posto che raccontano una cosa dell'utente in rete.

KS: Parlando della fiducia… L’utente ti racconta certe cose, ma dopo tu le condividi con la rete, giusto?

OS: Sì, vengono condivise con i colleghi non solo con la rete, però è diverso. Voglio vedere anche te o me a parlare davanti a cinquanta persone o parlare davanti ad una persona. Fa la differenza, tanta differenza.

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KS: Hai parlato dei diversi punti di vista e quando abbiamo fatto la pausa hai parlato dei diversi modi di lavorare tra i servizi. Da una parte hai parlato dell’assistenzialismo, dall’altra del lavoro sull’autonomia dell’utente che, secondo te, si cerca di portare avanti al laboratorio Cabla. Potresti approfondire questo aspetto?

OS: Sì, ci sono diversi modi di lavorare. Ogni istituzione chiaramente ha il suo modo di lavoro. Al Cabla puntiamo sull’autonomia della persona, dove comunque le diamo tanto spazio alla persona. Ci sono dei foyer che sono più assistenziali, dove magari gli utenti non possono cucinare, ma trovano il pranzo pronto, magari anche già la biancheria pronta. Io vedo difficoltoso questa collaborazione fra il laboratorio che lascia l’autonomia e il foyer che è più assistenziale. Questo non vuole dire che, come dicevo prima, che uno lavora bene l’altro lavora male. Poi ci sono dei scalini grandi e forse lì andare d’accordo tra le due istituzioni è difficile. Non sempre si è accordo.

KS: Questo è un problema?

OS: Può essere un problema, perché influisce sull’utente. Perché l’utente, magari, non ha un curatore, si sente autonomo, si sente libero. Quando torna in foyer si trova servito, si sente in un albergo, e poi dice “non faccio più niente”. Dopo, ripeto, non so cosa è giusto e cosa sbagliato. Però l'utente in ventiquattro ore vede le due realtà: la realtà di autonomia e la realtà di assistenza. Dopo sai che l’utente è bravo, lui si adatta. Può essere che l’autonomia piaccia all'utente, però, quando magari torna a casa gli piace essere servito.

KS: Pare che, in questo caso, l’utente sia confrontato con due tipi di accompagnamento molto diversi.

OS: Sì, molto diversi, da una parte viene incoraggiato all’autonomia e dall’altra parte usufruisce della maggior presa a carico. L’organizzazione dell’istituzione fa tanto, però se tu lo dici in rete, di regola ci sono degli adeguamenti da diverse parti.

KS: Come viene affrontata al livello di rete questa differenza tra come viene interpretata la presa a carico?

OS: Lo affronti che noi, sicuramente, non cambiamo il loro metodi di lavoro, però e giusto che si sanno. Il foyer dovrebbe sapere come lavora il laboratorio e il laboratorio dovrebbe sapere come lavora il foyer. E anche lì… Siamo delle persone intelligenti, ricordiamoci che c’è l’utente in mezzo e dobbiamo conviverci.

KS: In questo caso, il progetto che si sviluppa al foyer va a influire sul progetto al laboratorio o viceversa?

OS: No, quello non penso. Sono due progetti distinti, uno lavorativo, uno abitativo. KS: I due progetti così possono coesistere senza entrare in conflitto?

OS: Per quello dico che la comunicazione è importante tra di noi. Perché se il laboratorio comunica come lavora, il foyer comunica come lavora… Faccio un esempio: Noi al laboratorio prevediamo che se una persona è malata, allora al mattino ci chiama. Noi ci aspettiamo da parte della persona che ci chiama. Però questa cosa qua, se non la diciamo in rete, può succedere che, se noi prendiamo il metodo di lavoro di un foyer, che dice all’utente “no, tu non chiami, chiamo io…”, perché magari la persona è stanca e non riesce ad alzarsi,

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