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29 organizzazione “ideale” non sia troppo staccato dalla realtà esistente al di fuori dal contesto

della rete di cura. (Allegato I, p.19)

Integrazione delle soggettività: un percorso difficile

Quello che viene percepito come positivo potrebbe essere visto anche in negativo. Gli operatori osservano una difficoltà di far convergere sulla stessa finalità il lavoro che porta la rete composta da diversi soggetti. “Il punto debole sono troppe teste. Ogni tanto troppe teste

è difficile mettere insieme e far si che lavori con la stessa finalità.” (Allegato II, p.8) [...]“Molte

teste [...] complica la cosa. Probabilmente se sei da solo, hai un obiettivo e lo segui più facilmente, che se devi tener conto delle opinioni degli altri.” (Allegato IV, p.9) Una mancata

integrazione dei punti di vista sulla situazione è un elemento che impedisce la risoluzione del problema, motivo per cui viene convocata la rete. Come sostiene uno degli operatori (Allegato III p.10), per riuscire ad arrivare all’integrazione dei punti di vista e raggiungere gli obiettivi dell’incontro bisogna sviluppare una discussione approfondita. In realtà, però, si possono incontrare alcuni ostacoli. Gli intervistati vedono in luce critica le situazioni dove all’interno di una discussione le persone non sono disposte a mettere in discussione il proprio punto di vista. “[..] quando ognuno è arroccato sulle sue posizioni, quando tutti

pensano di essere nel giusto e che la loro è la verità [...] si blocca il lavoro.” (Allegato V,

p.10) Nella realtà di un équipe “temporanea”, i professionisti talvolta faticano a distanziarsi emotivamente dai propri modi di agire e conoscere abituali, il che può comportare l’insorgenza della competizione tra le posizioni, per cui si tentano di imporre dei punti di vista. (Olivetti Manoukian, 2005a;b) Il fatto che gli operatori intervistati ritrovano in questi fenomeni di arroccarsi sulle proprie posizioni un'attitudine disfunzionale all’interno della collaborazione, indica una certa disposizione al dialogo. “Bisogna essere meno fissi, uscire un po’ di sé

stessi sempre, andare un pezzettino avanti, aprirsi un attimino e far entrare un po’ di luce,

cercare di uscire un po’ dalle proprie convinzioni.” (Allegato V, p.14) Uno dei modi per

affrontare le difficoltà legate alla mancata integrazione dei punti di vista sarebbe attivare un processo di indagine circa le rappresentazioni che hanno i partecipanti della situazione da affrontare, rispetto alle ragioni che sottostanno gli interventi attuati o pianificati per una data situazione.

Un altro aspetto critico sollevato dagli operatori riguarda le situazioni dove, all’interno di una riunione, si verifica uno sbilanciamento dei tempi di parola tra i partecipanti della rete e la conseguente poca attivazione dell’utente, il quale rischia di essere trascurato e limitato nelle sue possibilità di autodeterminarsi. “[...] lasciare che una persona voglia imporre agli altri la

sua opinione non è proficuo per nessuno, soprattutto non per l’utente, a cui spesso viene data un’etichetta. Se l’utente non ha lo spazio per esprimersi, è inutile che lo si faccia partecipare.” (Allegato IV, p.8) In tali situazioni, gli operatori cercano di attivizzare l’utente a

livello comunicativo da una parte, dell’altra moderano la discussione con modalità più decise.

5.2 Riflessioni

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Il tempo e la complessità

“Allora sarebbe molto importante prendersi il tempo, che non c’è mai per parlare di queste cose. Cosa intendi tu per autonomia quando ne parli e cosa intende l’altro. [...] Mi viene in mente una discussione che è nata e che ho proposto come tema per la riunione d'équipe. Non ci prendiamo mai abbastanza tempo. [...] Questo sarebbe utile, ma proprio utile, sapere cosa intende la persona.” (Allegato V, p.10)

Nel luogo di lavoro l’operatore sociale viene confrontato con la complessità di situazioni di disagio, la quale può riguardare l’origine del malessere, il sistema di influenzamento reciproco in cui è inserito il soggetto, ma anche dei fini e i mezzi per raggiungerli. (Borgna, Camarlinghi, D’Angella & Sartori, 2008). Si potrebbe vedere le situazioni da affrontare nella loro dimensione temporale, lineare del passato-presente-futuro, oppure circolare e più “complessa”, dove i tre elementi “classici” del tempo “chrònos” si influenzano in continuazione. Gianni Garena (2004), partendo dalle riflessioni sulla concezione del tempo nella storia di filosofia, scrive su come l’ordine del tempo “chrònos” domina sempre di più il pensiero, circa come organizzare il lavoro nel sociale, inclusa la collaborazione in rete tra i servizi. In realtà, nonostante l’ottimizzazione dei tempi rispetto agli interventi specialistici, interazioni o altre azioni in cui viene declinato il lavoro sociale, il tempo viene sempre a mancare. “Spesso gli operatori non trovano il tempo per dirsi come intendono orientarsi

<<insieme>> nel labirinto del <<lavorare insieme>> [...] non si trova mai il tempo per affrontare le tematiche più spinose, a volte non si trova il tempo per lavorare insieme.” (p.26)

Gli operatori intervistati riconoscono il dispositivo di rete quale fonte di informazioni, sostegno e possibilità di confronto. Viene però relativamente poco riconosciuta l'opportunità che offre il lavoro in rete nell’avviare una progettazione congiunta. Tuttavia, se un'équipe aperta intende allinearsi a livello progettuale, dovrebbe investire del tempo per la conoscenza reciproca e la costruzione della condivisione nelle varie fasi del progetto. Una riflessione interessante dell’autore sopracitato riguarda la soggettività del tempo: “diciamo

che <<perdiamo tempo>> quando crediamo che questo tempo non abbia <<senso>>, diciamo che <<non abbiamo avuto tempo>> quando non siamo stati capaci di riempire di <<senso>> o di più <<senso>> il tempo.” (Ivi) Nel lavoro sociale “etica e senso del tempo in sostanza divengono questioni chiave del lavorare insieme.” (Ivi) Una volta consolidata la

percezione del senso della progettazione congiunta, potrà anche cambiare la prospettiva temporale in cui viene letto il lavoro svolto insieme.

Partire dai pregiudizi

Il punto forte del lavoro in rete è “poter [...] leggere negli altri le proprie fragilità [...] far da

specchio.” (Allegato I, p.19)

Un confronto in rete costituisce per un operatore sociale un’occasione per osservare gli altri e se stesso in interazione, stimolandolo a riflettere sugli atteggiamenti e sulle modalità comunicative e relazionali poco funzionali alle finalità del lavoro integrato. A tale proposito, gli autori Camarlinghi e d’Angella (2008) condividono alcune indicazioni a sostegno del processo di co-costruzione delle conoscenze in gruppo di lavoro. La prima indicazione riguarda mantenere il focus sull’oggetto del lavoro, in questo modo i conflitti presenti durante l’interazione tra più soggetti, vengono riportati sul piano di lavoro e non vengono interpretati

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