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13 vedere cosa è meglio fare, la possibilità di ri-discutere poi questa cosa Perchè ognuno può

migliorare il modo in cui partecipa alla rete. È come se manca un pezzo che ti permette di dire “ok questa rete è andata così, ma mi piacerebbe adesso…”. Un po’ lo faccio con i colleghi e con la responsabile, ma con una figura esterna, per adesso, questa modalità non c’è.

KS: Avresti un’ipotesi di miglioramento rispetto a questo aspetto?

OS: Magari ci vorrebbe una figura professionale esterna che potesse un po’ coordinare. KS: Che tipo di coordinamento intendi?

OS: Un po’ il modo di come impostare meglio un incontro di rete. Ma non è che ci sia un modo giusto, ci sono più modi, che si sottostanno, che si scambiano. Sarebbe interessante sapere che ci sono i modi a, b, c, d, e, perché le strutture coinvolte sono diverse e magari hanno le finalità diverse. Potrebbe essere un responsabile di ogni servizio che si occupa di coordinare un po’ con un minimo di procedure.

KS: In questa situazione, magari ti chiedo se hai un approccio personale che ti guida nella collaborazione in rete.

OS: Di solito l’accento io lo porto sull’ascolto di norma. Questo in generale. Ecco, assistendo alle reti della Pro Infirmis, che ti ho descritto prima, ho visto questo metodo che prediligo. Ho preso spunto dal loro modo di organizzare le reti e sto’ imparando ad utilizzare di più alcune tecniche.

KS: Vorresti aggiungere qualcosa rispetto agli aspetti critici?

OS: Quando non c’è la collaborazione reale, quando ognuno e arroccato sulle sue posizioni, quando tutti pensano di essere nel giusto e che la loro è la verità. In quel modo si blocca il lavoro. Succede, per esempio che uno dice “questa qua è la cosa, l’utente è così” e punto. “L’utente e così, l’altro e così.”. Succede. Questo potrebbe essere una criticità. Finché realmente non si mettono in gioco le cose e non si crea una dinamica, potrebbero crearsi delle visioni fisse. Ogni specialista vede la sua cosa fissa, lo psichiatra con Y [nome utente] le sue medicine, l’altro vede nel foyer la sua cosa e ognuno arriva lì e punto. Ognuno ha il suo ruolo, il suo metro per agire ma non va un attimino in là e un attimino di là. E l’utente sta lì in mezzo.

KS: E come affrontare la cosa?

OS: Buona domanda… Bisogna essere meno fissi, uscire un po’ di sé stessi sempre, andare un pezzettino avanti, aprirsi un attimino e far entrare un po’ di luce, cercare di uscire un po’ dalle proprie convinzioni. Magari c’è qualcosa che può cambiare le cose. È difficile perché nella vita di tutti i giorni al lavoro uno si fissa sulle cose e vuole andare avanti con impegno come Don Chisciotte. Però se quello mi poi obbliga a non fare un passo avanti, vuol dire che se abbiamo magari una rete di quindici persone e sono tutti che si ancorano così, non possono andare avanti. Questo può essere una criticità.

KS: Grazie. OS: Grazie a te.

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Allegato VI

Intervista nr.6 ad un operatore di laboratorio a giugno 2018

OS: Operatore sociale KS: Karolina Sokala

KS: A che cosa serve il lavoro in rete?

OS: Sicuramente per condividere i progetti. Poi per avere dei pareri delle altre persone, e poi dipende. Noi vediamo la persona da un lato in laboratorio, il foyer vede la persona da un lato abitativo, il curatore o il tutore la vede da un lato finanziario. Secondo me è importante quando ci vediamo ognuno dal suo parere su come vede l’utente in quel periodo li.

KS: Quindi serve per avere una visione più completa?

OS: Una visione più completa, sì, della situazione sia al livello lavorativo, personale, anche fisico, psichico. C'è anche una psichiatra di solito in una rete. E lì è una visione più completa della persona.

KS: Da quando lavori al Cabla si è sempre lavorato con le reti degli utenti?

OS: Si è sempre lavorato con le reti degli utenti. Cerchiamo sempre di farne i più possibili. KS: Gli incontri?

OS: Sì.

KS: È cambiato il modo di lavorare in rete rispetto al passato?

OS: Sì, è cambiato tanto. Abbiamo cercato noi del laboratorio di creare più reti possibili, con più persone possibile.

KS: Come avviene il processo di definizione di una rete di collaborazione?

OS: Dal nostro operato risulta che c'è, appunto, la parte lavorativa, la parte familiare...la famiglia deve esserci perché conosce la persona...e poi dipende. Non tutti hanno un medico psichiatra, però se c'è, è giusto che ci sia.

KS: In genere, quali sono gli attori che solitamente vengono implicati nella rete intorno ad un utente?

OS: Penso che comunque tutta la rete, perché sempre c'è già una rete. Perché la rete si costruisce, tra virgolette, automaticamente. Poi se non c'è, allora si cerca di crearla. Però, dalla mia esperienza, la rete esiste, dovrebbe esistere per ogni persona. Se vediamo in questa rete che c’è bisogno di un'altra figura, allora ne parliamo insieme in rete e dopo si cerca di coinvolgerla. Per esempio, a me è successo questo: una persona ha una mamma che non sta più bene, la persona non ha il tutore e la mamma che rappresenta la casa non può esserci, ma c'è un fratello.

KS: Perché la mamma rappresenta un ambito familiare e così anche il fratello? OS: La mamma rappresentava un ambito di casa, quindi sì.

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