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interpellata. “Io non la chiamo più la mattina…” - ha detto. Anche lo zio che è il suo curatore. E la X stessa…

KS: Dopo aver preso questo tipo di decisione, come avviene il monitoraggio e la

valutazione rispetto a come stanno evolvendo le cose?

R: Certo, vengono per forza valutati. Ma, se parliamo del nostro progetto del PSI rimane il compito dell’educatore di riferimento e dell’utente.

KS: Rispetto a tale valutazione vengono interpellati altri componenti della rete?

R: No, viene solo condivisa con la rete dell’utente. Magari là dove si trovano dei temi dove la rete può contribuire all’evoluzione, magari si portano li delle piccole suggestioni… Io potrei magari vedere di fare questo, oppure raccontarlo al curatore, per esempio: “Visto che fa fatica a venire qua una volta la settimana può vederlo fra una settimana…[registrazione non udibile per 7 secondi] Dopo se lo faccia, non lo faccia… Questa rimane tanta responsabilità dell’utente. Noi non ci rendiamo conto quanto utente deve fare. Perché è alla fine lui che lavora. La strada in salita ce l’ha poi lui o lei… eh sì! Il protagonista resta comunque l’utente. Sì, monitoraggio ci può essere, io ti posso avvisare: “Attenzione, che se continui arrivare in ritardo e vuoi fare uno stage esterno…” Secondo me, bisogna lavorare sugli obiettivi concreti comunque, “perché devo dirgli di non arrivare in ritardo?” Non vorrei nascondermi dietro le quinte: “perché hai firmato il contratto”. Sì, ma… Questa è la regola. Usando le regole, devi dare il senso. Il senso è “tu vuoi uscire dal laboratorio…” Chiaro se un utente mi dice “Io non voglio lavorare tutta la mia vita in un laboratorio”, per me va bene così. È difficile prendere la posizione, perché da un lato noi siamo un laboratorio protetto, però allo stesso tempo dobbiamo anche...Io uso un discorso del tipo: “Ci sei tu, ma c’è anche il gruppo”. È la norma della società, porca miseria. Quando parlavo della norma, quella “normalità” entra anche al Cabla. Fai parte di un gruppo, quindi io proteggo te, me se tu mi dormi lì sul tavolo, proteggo anche gli altri, non possono vedere il collega che sta così, una collega che arriva alle nove, quando alle otto meno cinque sono tutti qua. Quindi, senza volerlo, riproduciamo lo stesso sistema della società in cui viviamo.

KS: Siamo per forza inseriti in un complesso sistema di dipendenze di cui occorre tener conto nel proprio percorso verso l’autonomia. Ci sono io, ma ci sono anche altre persone, le condizioni specifiche...

R: Occorre sapere cosa vuoi tu, cosa vuoi raggiungere. Chiaro, se uno mi poi dice “ma io voglio venire al Cabla quando voglio, andarmene quando voglio”, probabilmente non viene tenuta al Cabla una persona così. Qui non possiamo offrirti questo, il nostro mandato non è questo. Quindi ti consiglio un centro diurno o troviamo altro, ti accompagno a un altro. Ecco, bisogna essere molto puliti, anche nelle reti. Cos’è che si vuole raggiungere? Posso farlo, non posso farlo? Ma è questo il compito, molto importante. Cosa mi stai chiedendo? C'è qualcosa che io posso fare e qualcosa che non posso fare, e ti dico cosa. Non posso fare tutto. L’ambiente si deve modificare in certe cose, degli accorgimenti qua e là, rispetto al progetto individualizzato, però rimane comunque una linea del laboratorio protetto. Io ho avuto qui delle situazioni in cui una persona mi diceva “ma io non voglio un educatore di riferimento, voglio lavorare e basta”. In queste situazioni comunque mi fermo un attimo e ragiono. “Interessante quello che mi dici, ma possiamo farlo?” C’entrano tutti principi, scopi, mandato, eccetera.

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KS: Come vengono gestiti eventuali conflitti che si presentano al livello di rete? Se ci

sono...

R: Ci sono anche in rete i conflitti. Noi abbiamo assistito ad un conflitto in rete ma tra due entità. Tre. L’utente, la famiglia e un servizio di accompagnamento. C'è stato un conflitto durante la rete. In realtà quel conflitto non è nato in rete ma altrove, non è stato risolto e la madre durante tutta la rete alla fine voleva dire alle persone tutto quello che è successo, parlando però non alla rete, ma alla persona. Quindi c'è stato un conflitto. Io sinceramente non ho fatto niente. Lo psichiatra ha detto la sua, che era pro utente. Dopo ha ricevuto delle email da parte del servizio che volevano ripristinare la fiducia, che avrebbero fatto questo e questo. Lo psichiatra ha informato me. Però è rimasto tra di loro. Penso che con i conflitti bisogna valutare, non sempre c'è bisogno di intervenire di tutta la rete, dipende dove è nato il conflitto. Se è il conflitto della rete nei termini che qualcuno mette in discussione il funzionamento della rete, allora è da discutere, la cosa deve essere affrontata. Se uno mi dice “Io, in questa rete non mi sento assolutamente utile, per che cosa mi fate venire qua, a perdere tempo? Penso che tutti noi dobbiamo dire: “Ok, è importante che tutti stiano bene qua.” Non mi è ancora capitato. Mi è capitato di vederlo nel non-verbale, sì. Magari le situazioni dove qualcuno arrivava e non diceva niente, entrava, stava lì e andava. Sembrava quasi un obbligo per lui, presenzio ma…

KS: Le persone possono avere, per esempio, idee diverse, interessi o aspettative divergenti.

A quali strategie si ricorre per affrontare i conflitti rispetto alla presa di posizione?

R: Ho visto un conflitto interessante in una rete. Ero stata convocata dallo psichiatra, c’era l’utente che lavorava qua, c’era la sua educatrice di riferimento del foyer e la responsabile del foyer. C’era un conflitto dove la narrativa dell’educatrice era: “Tu mi trovi una soluzione, psichiatra, perché noi non ce la facciamo più”. Quindi hai tu la soluzione. “L’utente non arriva, sta male, non ci ascolta. Risolvi la situazione.” E lì ho osservato le parti e ancora questa volta non ho fatto niente. Osservavo… E’ chiaro che devi molto governare i tuoi pregiudizi, le tue rappresentazioni. Bravissimo, però, lo psichiatra, non si è scomposto. Però la mia lettura da fuori era che lei buttava addosso “adesso siamo stufi, perché non ci risolvi la situazione?” È vero che interessante che lo psichiatra non si è scomposto ma non è neanche entrato nella dinamica, non ha chiesto, per esempio, qual era la preoccupazione da parte del foyer. E ti veniva quasi da dire “Ma cosa che ti preoccupa?” , perché era frustrata l'educatrice, veramente frustrata. Secondo me, non trovavano la via d’uscita.

KS: Quindi l’educatrice l’ha condiviso in rete con altre persone. Come si è risposto di fronte a questa situazione?

R: Sì, ha condiviso ma, secondo me, in modo poco funzionale. Ti dico come io l’ha vissuta. Io mi sono sentita quasi presa in causa, cioè ascoltavo. Perché li dopo entravamo nello scollamento di cui dicevamo, siamo tutti uguali in rete, scusami, può mai avere la soluzione lo psichiatra? A proposito di questo, vorrei aggiungere qualcosa. A volte c’è un conflitto al livello di progetti, di modi di procedere, di modi di porsi. Mi ricordo una situazione dove un ragazzo è entrato in tilt, ha chiamato lo psichiatra e dopo, non so dov’era, in stazione, lo psichiatra ha detto: “Ok, come stai? Adesso tu prendi il treno, fai questi passi e vai...”. L’ha saputo la persona che lo seguiva nell’inserimento lavorativo:” No! Bisogna mandar la, bisogna andar a prendere... Che psichiatra è!”

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