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L’aggressività come componente fisiologica o strategia adattativa

CAPITOLO 4 MANIFESTAZIONI AGGRESSIVE DEFINIZIONE E

4.1 L’aggressività come componente fisiologica o strategia adattativa

Secondo Konrad Lorenz (1986): “l’espressione di Darwin «la lotta per

l’esistenza» (...) è in prima linea la concorrenza fra parenti prossimi (lotta intra- specifica). Al pericolo che, in una parte del biotipo a disposizione, una troppo densa popolazione di una specie animale esaurisca tutte le sorgenti di nutrimento e soffra la fame, mentre un’altra parte resti inutilizzata, viene ovviato da una mutua ripulsione che agisce negli animali della stessa specie influenzando il normale spacing out (...) Questa è in parole povere la più importante funzione dell’aggressività intra-specifica per la conservazione della specie. (...) il combattimento conduce a un’utile selezione soltanto quando alleva i combattenti che non siano solo calibrati per i regolamentari duelli intra-specifici, ma anche per gli scontri con nemici extra-specifici. La sua più importante funzione sta nella selezione di pugnaci difensori delle famiglie, il che presuppone un’altra funzione dell’aggressione intra-specifica: la difesa della covata. Un principio ordinatore, senza il quale non può evidentemente svilupparsi una qualunque convivenza comunitaria fra animali superiori è il cosiddetto principio gerarchico. (...) L’ampia diffusione dell’ordinamento gerarchico è prova della sua estrema importanza per la conservazione della specie, e ci dobbiamo quindi domandare in che cosa esattamente consista. La risposta più immediata è naturalmente questa: argina la lotta fra i membri di una comunità. Si può però opporre un’altra domanda, se cioè non sia meglio inibire totalmente l’aggressività fra gli individui appartenenti alla stessa società. In primo luogo può avvenire che, (...) una società, come per esempio un branco di lupi (...) necessiti imperiosamente di

aggressività nei confronti di comunità della stessa specie, e che il combattimento debba quindi venire evitato solo all’interno del gruppo. Secondariamente però è possibile che sia i rapporti di tensione, che sorgono in una comunità dalla pulsione aggressiva e dalle sue conseguenze, sia l’ordinamento gerarchico, le conferiscano una struttura e una solidità, benefiche per certi aspetti. Guardiamo indietro a tutto quello che abbiamo imparato (...) dalle osservazioni obbiettive circa il modo con cui l’aggressività intra-specifica è utile alla conservazione di una specie animale: lo spazio vitale viene distribuito fra gli appartenenti alla specie in modo tale che ognuno possa trovare di che campare. Il miglior padre, la miglior madre vengono scelti per il bene dei discendenti. I piccoli vengono protetti. La comunità viene così organizzata: ad alcuni saggi maschi, al “senato”, viene attribuita l’autorità necessaria non soltanto a prendere decisioni per il bene della comunità, ma anche per metterle in atto. Non abbiamo mai trovato che lo scopo dell’aggressività sia l’eliminazione degli appartenenti alla specie in discussione, anche se per caso sfortunato può capitare che un comportamento aggressivo abbia effetti disastrosi, come quando nel corso di un combattimento territoriale o fra rivali, un corno penetra in un occhio, o un dente in un’arteria, oppure quando si verifichino circostanze non naturali- ossia non previste dai «costruttori» dell’evoluzione, per esempio in cattività.(...) Proprio il sapere che la pulsione aggressiva è un vero istinto indirizzato prima di tutto alla conservazione della specie, ce ne lascia riconoscere tutta la pericolosità: è la spontaneità dell’istinto a renderlo così pericoloso. (...) Per principio ogni vero movimento istintivo, privato (...) della possibilità di sfogo, ha la proprietà di rendere tutto l’organismo animale inquieto e di fargli cercare attivamente gli stimoli che innescano quel movimento. Nel caso più semplice questa ricerca può consistere solo in aumento di locomozione a caso, (...) in quello più complicato può coinvolgere tutti i meccanismi dell’apprendimento e del discernimento, ed è stata definita da Fallace Craig comportamento d’appetenza o appetitivo. (...) attraverso il processo di ritualizzazione40 filogenetica, nasce ogni volta un nuovo istinto completamente autonomo, che per principio è indipendente esattamente quanto qualsiasi altra delle cosiddette «grandi» pulsioni- la fame, la sessualità, la fuga e l’aggressività-, e che, esattamente come queste ha seggio e voto nel grande

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parlamento degli istinti. (...) molto spesso è compito particolare degli impulsi formatisi da poco, attraverso la ritualizzazione, di opporsi in quel parlamento all’aggressività, di dirottarla in canali innocui e di frenare i suoi effetti dannosi alla conservazione della specie. (...) un modo di comportarsi per mezzo del quale una specie (...) affronta un fattore dell’ambiente esterno viene messo al servizio, con un tipico cambiamento di funzione, di un altro compito, quello di comunicare all’interno di quella determinata comunità. (...) Dalla comunicazione possono nascere due nuove funzioni ugualmente importanti che tutte e due contengono ancora in qualche misura prestazioni comunicative. La prima di queste è indirizzare l’aggressività a binari innocui, la seconda la formazione di un legame tra due o più individui.(...) La sua funzione primaria (...) è in grado di evitare effetti nocivi dell’aggressività provocando una comprensione reciproca fra gli appartenenti a una stessa specie. (...) la pulsione in generale utile anzi indispensabile viene lasciata invariata, per il caso specifico però nel quale si potesse dimostrare nociva vengono messi in moto dei meccanismi inibitori assolutamente specifici, creati ad hoc. Il primo passo dal combattimento cruento a quello ritualizzato consiste nell’allungamento degli intervalli di tempo che intercorrono fra l’esecuzione dei singoli movimenti minacciosi che si intensificano gradualmente e la violenza finale. (...) Via via che si allunga la durata dei singoli movimenti minacciosi, procede la loro ritualizzazione, che (...) conduce a mimiche esagerazioni, a ripetizioni ritmiche e a formazioni di strutture e colori che aumentano otticamente il movimento. (...) Il terzo processo infine che contribuisce in modo essenziale a trasformare il combattimento cruento nella nobile gara del combattimento ritualizzato è, per il nostro tema principale, perlomeno della stessa importanza della ritualizzazione: si sviluppano particolari meccanismi fisiologici del comportamento che inibiscono i movimenti d’attacco a carattere cruento. (...) Primo: c’è un rapporto tra l’efficacia delle armi d’una specie animale e l’inibizione che ne vieta l’uso verso conspecifici. Secondo: ci sono riti pacificatori41 che hanno per scopo di azionare nell’aggressivo compagno di specie appunto questi meccanismi inibitori. Terzo: non ci si può fidare ciecamente delle inibizioni che a volte possono fallire. (...) Dove però animali che uccidono grosse prede convivono costantemente in società, come per

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esempio i lupi o i leoni, devono essere all’opera meccanismi inibitori sicuri e di permanente efficacia, che siano assolutamente autonomi e indipendenti dagli umori variabili dei singoli individui. Così si arriva al paradosso singolarmente commovente che i predatori più sanguinari, soprattutto il lupo (...), siano fra gli animali forniti di più sicure inibizioni a uccidere che ci siano sulla terra.”

(Lorenz,1986)

Dalla lettura di Lorenz discende che:

a) l‟aggressività non è più forte nei predatori rispetto a quanto non lo sia nelle prede.

b) lo sviluppo di armi offensive va di pari passo coi meccanismi inibitori del comportamento aggressivo.

c) l‟aggressività è necessaria dal punto di vista evolutivo come strategia adattativa tesa alla conservazione della specie.

L‟aggressività deve infatti essere intesa come un comportamento dinamico. I primi studi sull‟aggressività risalgono agli anni 60, quando nacque il comportamentismo; ricordiamo:

J.P.Scott dimostrò che il comportamento aggressivo è influenzato dall‟esperienza diretta

Z.Y.Kuo affermò che si tratta di un modulo completamente appreso J.Dollard ipotizzò che tale comportamento fosse la conseguenza di stati

di frustrazione, vale a dire un comportamento reattivo

K. Lorenz rifacendosi alle teorie di S. Freud enunciò per primo la tesi di una base istintiva del comportamento aggressivo, dotato quindi di un‟appetenza endogena

Secondo Lorenz la mancanza o la forte scarsità di occasioni in cui l‟animale possa soddisfare tale appetenza, ovvero l‟impossibilità di esprimere il corretto modulo aggressivo, determina in questo un abbassamento della soglia di reazione, cosicché l‟aggressività può finire per essere diretta su obbiettivi e bersagli errati. Sottolineiamo ancora la centralità della strategia adattativa di ritualizzazione dell‟aggressività, quale mezzo di sicurezza degli incontri agonistici.

L‟aggressività:

è un comportamento indispensabile che rende possibili le relazioni sociali intraspecifiche.

permette la difesa personale, della prole e degli altri membri del branco. viene innescata dalla competizione.

è un modulo riscontrabile in tutte le specie di vertebrati. viene regolata dalla selezione naturale.

è una caratteristica quantitativa.

non costituisce una malattia, (il comportamento aggressivo è, per l‟animale, un comportamento normale. L‟aggressività del cane verso l‟uomo rappresenta evidentemente un problema, ma non è necessariamente una patologia di comportamento, spesso infatti è la manifestazione di un disturbo di relazione42).

permette il mantenimento del controllo sugli altri individui. è una forma di comunicazione.

(Antoni e Tarricone, 2006)