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L’amicizia siriana e la cattura di Öcalan

2. La seconda fase del conflitto 1993-1999

2.2 L’amicizia siriana e la cattura di Öcalan

La Siria fu uno degli Stati che maggiormente supportò il PKK sin dal suo inizio. Le relazioni fra lo Stato e il leader curdo iniziarono nel 1979 quando Öcalan, pochi mesi prima del colpo di Stato turco del 1980, prese accordi con organizzazioni marxiste palestinesi78 e stanziò militanti e guerriglieri del partito nella Valle di Bekaa, situata nel

Libano settentrionale ma, al tempo, sotto controllo siriano. Il PKK godeva della simpatia di alcuni movimenti palestinesi grazie alla sua ideologia marxista-leninista e all’opposizione nei confronti di Israele, il che permise al movimento di addestrarsi nei campi dell’Esercito Popolare di Palestina. La guerra del 1982 e l’occupazione del Libano da parte di Israele produssero una nuova finestra di opportunità. Sebbene le operazioni israeliane sembrassero minacciare le forze di guerriglia nei campi libanesi, tuttavia diedero al PKK la possibilità di rafforzare la sua presenza nella Valle. Di fatti dopo l’abbandono del territorio da parte dei palestinesi il partito istituì luoghi di formazione politica e militare che si rivelarono fondamentali ai fini della guerriglia: i militanti addestrati tornavano in Turchia e ricoprivano ruoli chiave nelle operazioni armate79. Il PKK fu quindi presente nella Valle di Bekaa sotto il controllo del regime di

Ḥāfiẓ al-Asad il quale fornì al leader curdo appoggio, protezione e finanziamenti. La tutela siriana al partito e al suo leader possono essere spiegate attraverso tre questioni strategiche che opposero Damasco ad Ankara: le risorse idriche dei fiumi millenari, la questione di Hatay e la cooperazione militare turco- israeliana.

L’idea iniziale di sfruttare ed utilizzare le acque del Tigri e dell’Eufrate venne ad Atatürk. Negli anni Trenta la necessità di energia elettrica era una questione politica prioritaria, per questo il Governo nel 1936 con l’istituzione di un comitato80 per gli studi

sull’elettricità iniziò a studiare in che modo i fiumi potevano essere utilizzarti per sopperire alla mancanza di elettricità. Negli anni Settanta prende vita il Southeastern

Anatolia Project, un programma di sviluppo che, tuttora, investe non solo nel settore

dell’energia elettrica ma anche in quello dell’agricoltura, irrigazione, silvicultura e infrastrutture, un programma multisettoriale di sviluppo sociale ed economica per

78 M.Gunter, The Kurds and the future of Turkey, St Martin’s Press, New York, 1997, p. 93. 79 Ivi.

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l’intera regione sud-orientale81. Iniziò così la costruzione di dighe, quella di Keban nel

1974, Karakaya nel 1987 e Atatürk nel 1990, che ridussero l’approvvigionamento idrico influenzando negativamente il settore agricolo di Siria ed Iraq e di conseguenza le tensione fra gli Stati in questione non tardarono ad arrivare.

La questione di Hatay ebbe origine nel 1923 quando Atatürk rifiutò di riconoscere tale territorio come parte del mandato francese in quanto sosteneva che la regione fosse terra turca da oltre Quaranta secoli82. Nel 1939, dopo un anno dalla partenza dell’esercito

francese da Siria e Libano la Turchia annesse la Regione provocando l’ira di Damasco. Fin da subito la Siria rifiutò l’atto e rivendicò la sovranità sia per una questione geografica, la regione non appartiene geograficamente alla penisola Anatolica, sia culturale: questa terra ha due delle città più celebri della storia, quella che fu un tempo la capitale dell’antico regno ellenistico di Siria nonché sede di un patriarcato cristiano, Antiochia (oggi Antakya), e l’importante centro portuale di Iskenderun o Alessandretta, fondato da Alessandro Magno nella sua spedizione contro la Persia83.

La terza questione riguardava la cooperazione fra Ankara e Tel Aviv avviata negli anni Novanta. L’avvicinamento tra i due Stati fu una delle conseguenze dei nuovi equilibri di potere generati nella regione dalla fine del bipolarismo, dalla Guerra del Golfo del 1991 e dalla rafforzata presenza militare statunitense nell’area. Tuttavia, proprio per la differenza politica e culturale tra i due paesi la costituzione della partnership turco- israeliana ebbe un notevole impatto sulle relazioni di potere nella regione mediorientale. L’alleanza consentì a Israele di uscire dall’isolamento regionale e per la Turchia rappresentò un primo passo verso l’abbandono della tradizionale politica di disimpegno negli affari mediorientali promossa dal Kemal e adottata negli anni della Guerra fredda. Nel 1996 oltre a firmare un accordo di libero scambio, i due Stati strinsero un accordo di cooperazione militare che prevedeva: il trasferimento di tecnologia, condivisione di

intelligence, operazioni navali e addestramenti congiunti, l’utilizzo dello spazio aereo

turco per le esercitazioni delle forze aeree israeliane e della base militare di Konya

81 Ibidem, p. 337. 82 R. Olson, op.cit.,p.88. 83Ibidem, p. 90.

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nell’Anatolia centrale84. Se nella prima metà degli anni Novanta furono enfatizzati gli

aspetti economici della relazione, nella seconda metà prevalsero le considerazioni di carattere militare e di sicurezza. Israele era il solo paese dell’area in grado di fornire assistenza militare alla Turchia, in ragione anche del fatto che i tradizionali alleati occidentali, Stati Uniti ed Europa, avevano bloccato la cooperazione in campo militare, in particolare il trasferimento di tecnologia sofisticata, a causa delle tensioni tra Ankara e Atene (entrambi membri della NATO) e della difficile situazione dei diritti umani all’interno del paese85. Inoltre il vuoto di potere nelle regioni curde irachene dopo la

guerra del 1991 e l’istituzione della no fly zone, creando di fatto un’autonomia curda nel nord dell’Iraq, contribuirono ad acuire il problema. Per la Turchia dunque l’alleanza con Israele significò un rafforzamento della sua capacità di deterrenza nei confronti dei suoi nemici regionali, in primis la Siria, che nel 1995 aveva firmato un accordo di cooperazione con la Grecia, l’Iran e l’Iraq86.

L’alleanza fra la Siria e il PKK fu producente per entrambi: il partito godette della tutela siriana e al-Hasad si servì del PKK in chiave anti-turca ma ciò provocò non pochi contri fra i due paesi. Nel 1987 per la prima volta i governi di Ankara e Damasco si incontrarono per redigere un protocollo di sicurezza ma l’incontro si trasformò nei mesi successivi in un nulla di fatto. La Siria continuò a fornire sicurezza al partito e la Turchia non fece passi indietro rispetto alle rivendicazioni siriane sulle risorse idriche dei fiumi millenari87. Nel 1992 entrambi gli Stati firmarono un accordo di sicurezza in

cui promisero di impedire ai terroristi di attraversare i propri confini, di smantellare campi di addestramento ed estradare coloro che erano stati catturati sul territorio dell’altro Stato, inoltre la Siria riconosceva il PKK come un’organizzazione terroristica e si impegnava a perseguitarne i membri88. Anche questo accordo si trasformò in un

nulla di fatto, in rare occasioni la Siria adempì ai suoi obblighi dati dall’accordo e il suo territorio continuò a costituire una base per l’organizzazione curda. Il 1998 fu l’anno di

84 V. Palvot, Turchia e Israele: verso la fine della partnership strategica?, in “Osservatorio di Politica

Internazionale”, N.14, Luglio 2010, p.2.

85 O. Bengio, The Kurdish-Israeli Relationship: Changing Ties of Middle Eastern Outsiders, Palgrave

Macmillan, London, 2004, p.60.

86 M. Orhan Transborder violence: the PKK in Turkey, Syria and Iraq, Dynamics of Asymmetric

Conflict, in “Dynamics of Asymmetric Conflict”, Vol.7, N.1, Routledge, 2014, pp. 31.

87 R. Palvot, op.cit., p.4. 88 R. Olsen, op.cit., p. 75.

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svolta nei rapporti fra i due paesi e per lo stesso partito. La Turchia, stanca della situazione e in vantaggio militarmente sulla guerriglia del PKK, dispiegò un gran numero di truppe al suo confine con la Siria. Con questo atto Ankara intendeva esercitare pressioni su Damasco affinché smettesse di sostenere il PKK una volta per tutte. Ciò che avrebbe potuto scatenare una guerra fu finalmente risolto quando, il 20 ottobre 1998, entrambi i paesi firmarono l’accordo di Adana. La Siria invitò Öcalan a lasciare il paese e convenne di interrompere la fornitura di armi, supporto logistico e finanziamenti all’organizzazione terroristica89. L’accordo inferse un duro colpo a

Öcalan e alla sua organizzazione, dalla sua stipula il leader iniziò a cercare rifugio in altri Stati sperando di ottenere asilo politico.

Dopo un soggiorno di poche ore in Grecia, le cui autorità rigettarono la sua richiesta di asilo, Öcalan giunse a Mosca il 10 Ottobre. Sebbene la Duma russa acconsentì a riconoscergli lo status di rifugiato politico, la decisione non venne resa esecutiva dal Primo Ministro e Öcalan si dovette spostare a Roma dove gli fu promesso asilo politico. Al suo arrivo fu arrestato per esecuzione di un mandato di cattura internazionale emanato dall’autorità giudiziaria tedesca, la Turchia chiese l’estradizione del terrorista ma l’Italia rifiutò visto che in Turchia vigeva ancora la pena di morte. A tal proposito è interessante il punto di vista di Luigi Saraceni che divenne, insieme a Giuliano Pisapia, avvocato del leader curdo durante il suo soggiorno nel nostro paese:

«Nessuno lo voleva processare Öcalan, tutti i paesi avevano lo stesso atteggiamento: scansare la palla. Il governo italiano non voleva questo processo D’Alema voleva che noi avvocati lo convincessimo ad andarsene. Se il processo si fosse tenuto in Italia, sarebbe stata una tribuna incredibile per i curdi, per la causa curda. E se anche Öcalan avesse dovuto scontare un periodo in prigione, non sarebbe mai Stato paragonabile a una detenzione in Turchia. Ma Öcalan e soprattutto i suoi consiglieri dicevano di non poter accettare un processo: il suo popolo non poteva vederlo alla sbarra degli imputati o in galera [...]90».

La ritorsione dal governo turco fu immediata e i due Stati entrarono in forte scontro diplomatico: i prodotti italiani furono boicottati e molti degli accordi con aziende

89 Ivi.

90 C.Cruciati, L’asilo politico di Apo è valido, scandaloso il Governo Italiano, “Il Manifesto”,

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italiane furono annullati. Questa pressione indusse il Governo a costringere il leader a lasciare l’Italia e a respingere la richiesta di asilo. Saraceni a tal proposito racconta:

« Qui sta la beffa. Sullo Stato di rifugiato decide una commissione ministeriale, ma noi sostenemmo che l’asilo politico si può ottenere per via giudiziaria perché è un diritto soggettivo perfetto, assicurato dall’articolo 10 della Costituzione. Avevamo dunque presentato domanda a un tribunale ordinario. Che ci diede ragione. È ancora valido: Öcalan è assistito da asilo politico italiano. È scandalosa l’indifferenza con cui l’Italia tollera in silenzio da 20 anni che un cittadino del mondo al quale ha accordato asilo politico sia sottoposto a un regime carcerario certamente inumano e degradante. Ma con la Turchia non si vogliono problemi: all’epoca ci fu una caduta verticale dei rapporti commerciali, è inimmaginabile che oggi il governo intervenga91».

La risposta dei curdi e dei loro sostenitori non tardò ad arrivare. Un’ondata di violente proteste ebbe luogo in diverse città europee, nonché in alcune parti della Turchia, dell’Iran e dell’Iraq. La Grecia, che aveva mantenuto contatti con il leader fu l’unico paese europeo che si offrì di aiutarlo. Öcalan fu trasferito all’ambasciata greca in Kenya ma seguito di un’operazione che molti non esitarono a descrivere come una cospirazione anti-curda progettata dagli americani, dai servizi di intelligence israeliani e, indirettamente, da altri stati europei, Öcalan fu catturato dalle autorità di Nairobi e trasferito in Turchia e rinchiuso nell’Isola di Imrali. Secondo Saraceni:

«Non ci fu un complotto ma una precisa, dichiarata, militante volontà politica turca, americana e israeliana di catturarlo [...] Ma è successo perché Apo ha lasciato l’Italia, se non se ne fosse andato non sarebbe successo. È vero che eravamo minuto per minuto controllati da otto servizi segreti ma D’Alema sapeva di non poterlo cacciare, era giuridicamente impossibile espellerlo perché c’era una domanda d’asilo pendente. Il governo italiano aveva provato a “mollarlo” alla Germania che aveva spiccato il mandato di cattura, ma Berlino si rifiutò per la presenza di un milione di curdi e un milione di turchi sul proprio territorio. In Turchia non lo si poteva mandare per la pena di morte. Se Öcalan fosse rimasto in Italia, la cosa peggiore sarebbe stata affrontare un processo qui92».

Nell’aprile del 1999 la Corte di Sicurezza dello Stato di Ankara emise nei confronti del

leader un atto d’accusa per tradimento e attentato all’unità e alla sovranità dello Stato

91 L.Saraceni, op.cit., p. 110. 92C.Cruciati, op.cit., p. 3.

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turco, fu condannato alla pena di morte in base all’articolo 125 del codice penale turco, con l’accusa di essere il responsabile di tutti gli atti terroristici del PKK e la morte di migliaia di persone93. La condanna non fu comunque eseguita, Bülent Ecevit, allora

presidente della Turchia, si oppose per evitare di compromettere le trattative della Turchia per entrare nell’Unione Europea. Nel 2002 la Turchia abolì la pena di morte e la pena di Öcalan fu commutata in ergastolo94.

93 M. Van Bruinessen, Turkey, Europe and the Kurds after the capture of Abdullah Öcalan, in “ The

ISIS Press”, 2000, p. 1.

94 La Corte Europea per i Diritti Umani è stata chiamata a pronunciarsi in modo definitivo sulle

richieste presentate dal collegio difensivo di Öcalan fin dal 1999: riconoscere che la cattura di Öcalan era stata il frutto di un complotto internazionale, sancire la violazione durante la detenzione ed il processo di dodici articoli della Convenzione Europea sui Diritti Umani, condannare la Turchia al pagamento di un risarcimento di 1.190.000 euro per le spese processuali. In particolare, Öcalan ha presentato le seguenti doglianze: A)L’inflizione e/o l’esecuzione della pena di morte come violazione degli articoli 2, 3 e 14 della Convenzione; B)Le condizioni in cui è stato trasferito dal Kenya in Turchia ed è stato detenuto sull’Isola di Imrali concretano un trattamento inumano contrario all’articolo 3; C) La privazione della sua libertà; D) Non è stato tradotto al più presto davanti ad un giudice; non ha avuto accesso ad un ricorso che gli avrebbe consentito di contestare la legalità della sua detenzione, il tutto in violazione dell’articolo 5; E) Non ha beneficiato di un equo processo, in quanto non è stato giudicato da un tribunale indipendente ed imparziale, poiché vi era stata la presenza di un giudice militare all’interno della Corte di Sicurezza dello Stato (articolo 6 della Convenzione); F) in quanto i giudici sarebbero stati influenzati dai resoconti ostili dei mezzi di informazione sul suo caso; G) In quanto i suoi avvocati non hanno avuto un accesso sufficiente al fascicolo di causa per permettere loro di preparare correttamente la sua difesa; i suoi avvocati ad Amsterdam non hanno potuto mettersi in contatto con lo stesso ricorrente dopo il suo arresto e/o che il Governo turco ha omesso di rispondere alla Corte Europea dei diritti dell’Uomo a fronte dell’invito a fornire alcune informazioni, in violazione dell’articolo 34 della Convenzione. Inoltre ha invocato la violazione degli articoli 7, 8, 9, 10, 13, 14 e 18 della Convenzione. La decisione presa giovedì 12 maggio, con 11 voti a favore e 6 contrari, ha riconosciuto la violazione di 3 articoli della Convenzione, il 3°, 5° e 6° ed ha stabilito in 190.000 euro l’ammontare del risarcimento. Tenendo conto di queste violazioni la sentenza della Corte ha raccomandato la celebrazione di un nuovo processo. Il 18 marzo 2013 è stata pronunciata la seconda sentenza nel caso Öcalan che conferma la consacrazione di un principio fondamentale vigente in Europa : la proibizione assoluta delle pene o trattamenti inumani o degradanti. Il caso sollecita l’esame di questioni che riguardano le condizioni di detenzione e le restrizioni sulla comunicazione del detenuto con i membri della sua famiglia. La sentenza è diventata molto importante grazie al contributo derivante dall’analisi e dalla pronuncia dell’articolo 3 della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo che si riferisce ai trattamenti inumani e degradanti. Il verdetto è andato a sfavore del ricorrente. In questa seconda sentenza la Corte era chiamata a decidere se la pena inflitta al ricorrente fosse riducibile ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione. La Corte ha ritenuto fosse compito delle autorità nazionali quello di verificare se il mantenimento in detenzione fosse ancora necessario e giustificato anche dopo un lungo periodo, sia perché gli imperativi di repressione e di dissuasione non erano ancora interamente soddisfatti, che perché il mantenimento in detenzione dell’interessato era giustificato per ragioni di pericolosità. È stato rilevato che la pena di Öcalan non avrebbe potuto essere ridotta perché la legislazione vigente in Turchia vieta chiaramente il rilascio dei criminali condannati all’ergastolo aggravato che abbiano commesso crimini contro la sicurezza dello Stato. Öcalan è dunque Stato condannato e, secondo la legislazione turca, costretto a restare in carcere con la pena dell’ergastolo indipendentemente da ogni considerazione relativa alla pericolosità sociale o al percorso detentivo. Questo è dato dal fatto che l’ordinamento interno turco non prevede nessuna possibilità di libertà condizionale, neanche trascorso un lungo periodo di detenzione (ordinamento interno n.36). È stata la Grande Camera turca a rifiutare ogni possibilità di reinserimento sociale, anche in caso di grave malattia

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La cattura del leader, le sue successive dichiarazioni, il fallimento della guerriglia, la precaria struttura politica e la comparsa di controversie di potere all’interno dell’organizzazione, portarono il PKK a dichiarare un cessate il fuoco unilaterale e a ritirarsi sui monti Qandil, in territorio iracheno. Gli anni che seguirono furono segnati dalla riorganizzazione sia strutturale che ideologica. Il movimento non solo dovette far fronte alla mancanza di morale e spirito a causa della prigionia del suo leader, ma dovette anche tener contro del mutato contesto internazionale. Gli attacchi dell’11 Settembre 2001 posero la lotta al terrorismo internazionale in cima all’agenda mondiale, USA e Ue inserirono il PKK nel loro elenco di organizzazioni terroristiche mettendo il movimento in una situazione difficile. Durante un’intervista con i suoi avvocati Öcalan sostenne che l’etichettatura di organizzazione terroristica fu il risultato dell’accordo tra Londra e Washington al fine di inserire in quella lista qualsiasi organizzazione che avesse influenzato negativamente i loro interessi in tutto il mondo.