• Non ci sono risultati.

La nascita della «questione curda»

4. La Turchia di Atatürk

4.1 La nascita della «questione curda»

Verso la fine del 1922 alcuni deputati curdi del parlamento ottomano, tra cui Yusuf Ziya, deputato di Bitlis, e il colonnello Halit Bey di Cebran, fondarono a Erzurum il Comitato d’indipendenza curda, tale esigenza che nacque dal naufragio del Trattato di Sèvres e dallo scetticismo con cui si guardava al programma politico di Kemal. Il Comitato riuscì in breve tempo a raggiungere un alto numero di consensi in tutta la regione curda, infatti poterono godere dell’appoggio di personalità religiose, timorose di una svolta in senso laico del nuovo governo turco che avrebbe compromesso il loro prestigio. I loro timori furono fondati, il 3 marzo 1924 venne abolito il Califfato e così facendo si cancellò l’unico riferimento al panislamismo, sentimento che per secoli aveva rappresentato un facile e suggestivo strumento di aggregazione fra le due etnie.

Nel frattempo il Comitato d’indipendenza curda, che aveva assunto il nome Azadi (Libertà), promosse un incontro a Diyarbakir con le autorità turche. Questo episodio assunse un importante significato in quanto fu l’estremo tentativo di giungere ad un compromesso con i turchi che avrebbe potuto evitare il precipitare degli eventi. Le richieste avanzate in tale occasione non furono dirette al raggiungimento di un’immediata indipendenza, ma furono volte a garantire una pacifica convivenza e l’abbandono di metodi coercitivi nei confronti dei curdi. Le richieste, più specificatamente, riguardarono: l’indicazione di aree a maggioranza curda nelle quali effettuare una speciale riforma amministrativa, l’erogazione da parte dello Stato turco di un prestito ai curdi, la dichiarazione di un’amnistia generale per i prigionieri curdi, il mancato obbligo di arruolamento dei curdi per almeno cinque anni; inoltre il governo turco doveva ripristinare le corti della Sharī’a e restituire tutte le armi confiscate in

31

Kurdistan e venne richiesto l’allontanamento dai territori curdi di alcuni ufficiali e funzionari turchi particolarmente intransigenti55 .

Sebbene i kemalisti si fossero mostrati disponibili al dialogo, il loro agire rivelò il contrario, essi erano fermamente convinti che l'unica soluzione capace di dirimere la questione curda fosse una completa «turchizzazione» delle province orientali, al fine di ottenere una completa omologazione alla cultura turca. Gli stessi leader di Azadi compresero di non poter giungere a nessun risultato concreto facendo affidamento solo sulle rassicurazioni turche e che, invece, i loro obbiettivi sarebbero stati raggiunti solo attraverso un’efficace mobilitazione, capace di formare un forte movimento nazionale curdo, che potesse dare vita ad una consistente rivolta.

Nel perseguire il loro intento ricercarono il sostegno di una Potenza straniera, avendo a questo scopo contatti sia con i britannici che con i sovietici. I primi, scottati dall’esperienza con lo Sheikh Mahmud, non erano disposti ad avventurarsi in imprese belliche dall’esito tutt’altro che scontato, mentre i sovietici non avevano ancora assunto una posizione chiara nei confronti del regime kemalista56.

Proprio durante le fasi di preparazione alla ribellione le acque si agitarono a causa di un’improvvisa sommossa scoppiata nella provincia di Bitlis, i turchi utilizzarono il fatto come pretesto per accusare il comitato Azadi e uno dei loro dirigenti, Yusuf Ziya, e procedettero all’arresto dello stesso e alla repressioni di alcuni componenti. Dopo questo fatto le redini dell’organizzazione furono prese dallo Sheikh Said Pirani, capo della confraternita locale Naqshbandiyya, figura carismatica, dotata di un forte ascendente tra le masse.

I turchi venuti a conoscenza dei piani sovversivi fecero in modo che un tumulto scoppiasse in anticipo sui tempi previsti per cogliere impreparato lo stesso Said57. La

rivolta si diffuse velocemente in tutte le regioni curde e numerose grandi città caddero in mano agli insorti. Il governo turco reagì promulgando la legge marziale nelle zone curde accompagnata da una serie di decreti «sul mantenimento dell’ordine e la sicurezza

55 K. Kirisci, G.M. Winrow, The Kurdish Question and Turkey: an Example of Trans-state Ethnic

Conflict, Routledge, Londra, 1997, p.95.

56 M. Pallis , A people without a country . The Kurds and Kurdistan, London, 1993, p. 56.

32

della Patria58», come la soppressione di giornali, la costituzione di Tribunali Speciali

con potere di vita e di morte. Dopo poco il governo chiese la mobilitazione generale, 200 mila soldati regolari muniti di armamenti moderni bombardarono senza pietà centri abitati. Il governo e la stampa turca fecero una massiccia campagna propagandistica contro la rivolta, accusando i curdi di fanatismo religioso, di essere « briganti e banditi, di andare contro il progresso e la civiltà59».

Dopo una strenua difesa lo Sheikh Said capitolò e fu catturato. Condannato a morte venne impiccato il 4 settembre 1925, come lui centinaia di militanti, politici intellettuali ed insegnanti curdi furono condannati all’impiccagione dai Tribunali speciali. Il primo ministro turco Ismat Pascià il 28 aprile dichiarò:

« […] è necessario turchizzare tutto il popolo, il governo distruggerà tutti gli elementi che si oppongono a questa opera nazionale […] i briganti si sono mossi dietro il fanatismo religioso, contro la politica laica del governo60».

Il presidente del Tribunale Speciale di Diyarbakir fu più esplicito:

« Alcuni di voi si sono ribellati contro la corruzione dei funzionari governativi, altri per la difesa e per la restaurazione del Califfato, ma tutti voi eravate d’accordo su un punto, cioè sulla creazione di un Kurdistan indipendente, per questo voi tutti meritate la condanna a morte61».

La ribellione di Sheikh Said creò il pretesto per eseguire le purghe del 1925, in questo anno iniziò la massiccia deportazione dei curdi e la confisca dei loro beni. Molti esponenti del movimento di liberazione curdo emigrarono all’estero, e dopo pochi anni mossi dalle mai sopite aspirazioni d’indipendenza e da un profondo risentimento, nell’ottobre del 1927, si riunirono in congresso nella città libanese di Bihamdun. In questa sede si andarono a delineare precise linee politiche per la formazione di un’unica organizzazione che raggruppasse tutti coloro che intendevano lottare per un Kurdistan indipendente, per tessere eventuali alleanze politico-militari e per concentrare i propri

58 K. Kirisci, G.M. Winrow, op,cit, p. 56. 59 Ibidem.

60 D. McDowall, op. cit., p. 219 61 Ibidem

33

sforzi sulla parte del Kurdistan turco62; nacque così una nuova formazione politica

denominata Khoyibun (Indipendente).

In un primo momento si cercarono contatti con le autorità turche con il fine di esigere l’evacuazione delle forze d’occupazione del Kurdistan, in un primo momento l’atteggiamento del governo sembrò accondiscendente, le deportazioni in atto dal 1925 cessarono, numerosi detenuti politici furono scarcerati. Ma il prestigio che andava assumendo l’organizzazione dissuase i turchi, spingendoli verso una soluzione di forza che estirpasse definitivamente il «male curdo63». Un cospicuo contingente militare

turco, formato da due corpi d’armata di 60.000 uomini fu spedito in Kurdistan col compito di rendere vano ogni tentativo di ribellione. Khoyibun, ormai insediatasi con i propri militanti in una vasta area a nord del Lago Van, riuscì ad opporsi con successo grazie all’apporto proveniente dai compatrioti iraniani, a questo proposito Ankara stipulò un accordo con Teheran, per avere la possibilità di accerchiare i guerriglieri curdi, costringendo nell’estate del 1931 Khoyibun alla resa64.

Queste due sollevazioni furono le uniche che ebbero come finalità e massima priorità la costituzione di un Kurdistan indipendente. L’importanza della rivolta di Khoyibun consistette nel far percepire ai leader il bisogno di un manifesto politico che si inserisse nel contesto politico-internazionale al fine di incidere concretamente sugli equilibri geopolitici, come conferma l’accordo siglato con il Partito nazionalista armeno Dachnak, in occasione della sua costituzione. Allo stesso tempo si rivelò determinante il fatto di non riuscire a coinvolgere le Potenze presenti nella zona le quali, dopo aver risolto le dispute pendenti con Ankara, pensarono a tutelare invece i loro interessi, per non compromettere i risultati raggiunti.

Il periodo successivo alla ribellione guidata da Khoyibun fu, ancora una volta, caratterizzato dal tentativo turco di risolvere in maniera definitiva il problema curdo, perpetrando una spietata di repressione, sia contro i militanti che contro gli intellettuali

62 Il programma stabiliva fra l’altro: 1) Dissoluzione di tutte le organizzazioni patriottiche per amalgamarle in una sola. 2) Continuare la lotta per scacciare tutte le forze turche dal Kurdistan. 3) Creare un’efficiente organizzazione militare. 4) Definitiva rappacificazione con gli armeni. 5) Rapporto amichevole con la Persia. 6) Accontentarsi dei diritti assicurati ai curdi della Mesopotamia e Siria, non rivendicando alcun diritto politico. E. J. Zürcher, Storia della Turchia, Donzelli editore, Roma, 2007, pp. 203-204.

63 Ivi, p. 226. 64Ibidem

34

e con deportazioni della stessa popolazione curda nelle zone interne dell’Anatolia. La politica governativa si fece sempre più spietata, fino a giungere nel maggio 1932 ad una legge che stabiliva la deportazione e la dispersione dei curdi: il Kurdistan fu suddiviso in quattro zone65 nelle quali si sarebbero dovuti insediare popolazioni etnicamente

turche, mentre in alcune si doveva avviare, per ragioni di sicurezza, la completa evacuazione. Le massicce deportazioni continuarono fino al 1935, quando la popolazione di Dersim si ribellò, ma subì la stessa sorte delle precedenti, il governo turco per la prima volta utilizzò armi chimiche e il gas nervino, migliaia di curdi furono sterminati66.

Questa rappresentò l’ultimo effettivo sforzo da parte dei curdi di sottrarsi alle prevaricazioni del governo turco, di chi voleva privarli di secoli di cultura, negando loro qualsiasi diritto ad esprimere una propria distinta autonoma identità etnica e linguistica. Gli effetti della politica e dell’ideologia kemalista furono decisivi nell'ostacolare in ogni modo l’insorgere di un forte movimento di liberazione del Kurdistan, soffocando qualsiasi sentire nazionale, anche solo volto verso la semplice autonomia. Altro fattore che ostacolò il movimento fu la stessa società curda, da sempre lacerata dalla rivalità tribale, da sempre causa di insuccessi. Tutte le divisioni tribali, religiose, regionali persistettero tra i curdi e lavorarono contro la formazione di un'identità nazionale ed etnica curda.

La repressione degli anni 1925-1945 causò la morte di più di un milione di curdi, in questo periodo il governo turco cercò con tutti i mezzi di eliminare fisicamente la popolazione curda, di distruggere la loro cultura e patrimonio, ma non ci riuscì. Anche dopo la Seconda Guerra Mondiale, la politica dello Stato turco non cambiò, malgrado periodi di relativa democrazia e pluralismo di facciata, le varie Carte fondamentali e Codici Penali hanno impedito la formazione di partiti, organizzazioni, movimenti, associazioni culturali che si richiamassero al popolo curdo.

65 Le quattro zone erano così suddivise 1) zone in cui si desiderava incrementare la densità di popolazione etnicamente turca; 2) zone in cui si sarebbero stabilite popolazioni che avrebbero dovuto essere assimilate alla cultura turca; 3) zone che avrebbero costituito i territori in cui si sarebbero insediati gli immigranti culturalmente turchi, liberamente, ma senza l'assistenza delle autorità (la maggior parte delle terre fertili del Kurdistan vennero offerte in questo modo agli immigrati turchi) 4) zone che avrebbero incluso i territori che sarebbero stati evacuati per ragioni di pubblica sicurezza (questa categoria includeva le zone più inaccessibili del Kurdistan). M. Pallis , op.cit., p. 61.

35

Capitolo secondo

Il disegno rivoluzionario del PKK

1.La genesi del PKK

Dalla dissoluzione dell’Impero Ottomano la storia dei curdi di Turchia, Iran ed Iraq è stata caratterizzata da rivolte contro i poteri centrali regolarmente represse, da guerre intestine tra confederazioni tribali curde, tra curdi di diverse nazionalità e non ultimo da una costante collaborazione di parte del popolo curdo con le proprie autorità nazionali. In Turchia l’imperativo nazionalista di Kemal ha sempre negato l’esistenza della minoranza curda, fin dalle grandi rivolte storiche degli anni Venti e Trenta, gli strumenti usati dall’establishment per affrontare il problema furono la repressione più feroce, la deportazione e l’assimilazione forzata ai valori kemalisti arrivando ad impedire fino agli anni Novanta persino l’uso della lingua madre a quelli che ufficialmente venivano chiamati «Turchi di montagna». Da parte loro molte delle autorità tradizionali curde, gli

agha a capo delle grandi famiglie tribali e gli sceicchi, autorità religiose dell’Islam

sunnita e o delle confraternite sciite minoritarie, collaborarono con le autorità di Ankara per salvaguardare i propri interessi economici, soprattutto quelli fondiari.

Sino alla fine degli anni Settanta in Turchia non si è assistito ad uno scontro netto tra nazionalismo turco e nazionalismo curdo, bensì ad una feroce polarizzazione tra interessi partitici turchi che contemporaneamente si radicavano anche nel Kurdistan e strumentalizzavano le ragioni dei curdi al superiore interesse della politica nazionale. Il Kurdistan montuoso delle regioni sudorientali rimaneva una periferia sottosviluppata, faticosamente avviata alla modernizzazione sotto il controllo delle autorità tradizionali e proprio nella modernizzazione forzata, altro dogma kemalista, troviamo una delle radici più forti del successivo nazionalismo curdo.

Se i grandi esodi dalle regioni sudorientali fino agli anni Quaranta erano stati causati dalla repressione e dalle deportazioni, a partire dagli anni Cinquanta furono il risultato dell’espansione capitalista67. All’inizio di questo decennio la maggior parte dei

proprietari terrieri curdi iniziò ad integrarsi nell’economia politica turca attraverso

67 G.Yarkin, The ideological transformation of the PKK regarding the political economy of the

36

meccanismi di patrocinio e di concessioni fornite dallo Stato, gli stessi usarono il loro rapporto con contadini e mezzadri per integrarsi nell’establishment del potere divenendo deputati al parlamento turco. La meccanizzazione dell’agricoltura e le successive espropriazioni terriere spinsero i contadini e i mezzadri curdi a migrare verso le periferie delle città dove si stabilirono negli stessi quartieri per proteggere le proprie tradizioni, la propria identità e, non ultimo, i propri interessi di classe68: i curdi da

popolo di montagna divennero proletariato urbano. Attraverso queste comunità di immigrati interni la questione curda divenne una realtà visibile al resto della Turchia in termini totalmente nuovi: il curdo non era più il contadino ignorante fedele solo al richiamo ancestrale dei propri agha o sceicchi, lavorava in fabbrica e qualche volta riusciva anche a fare fortuna con gli affari, ma soprattutto mandava i propri figli a scuola e all’Università, benché così facendo li sottoponesse spontaneamente a quell’assimilazione che negli anni Venti e Trenta era stata osteggiata con le rivolte. Fu dunque negli ambienti urbani e nelle Università che cominciarono a formarsi i primi circoli intellettuali e le prime riviste semiclandestine che andavano a rivendicare un’identità curda in termini di moderno nazionalismo. Questo spiega in parte perché siano stati partiti dichiaratamente di sinistra a fornire, con il loro armamentario ideologico di lotta di classe, «il cavallo di Troia preferito ai moderni nazionalisti

curdi»69. È il caso del Partito dei lavoratori turchi, Turkiye Isci Partisi, il primo Partito

socialista a essere ammesso dalla costituzione del 1961 quando il potere tornò ai civili dopo il primo golpe dei militari nel 1960. Nel suo programma era inclusa una radicale riforma agraria che, se realizzata, avrebbe seriamente compromesso la base economica degli agha e degli sceicchi del Kurdistan, troppo spesso schierati con la destra; l’intero problema curdo si sarebbe risolto con l’avvento della società socialista e l’alleanza delle classi lavoratrici. Negli stessi anni emerse anche la Società culturale rivoluzionaria dell’Est, la prima organizzazione curda legale. In realtà il movimento curdo si stava sviluppando in due direzioni: l’ala nazionalista rappresentata dal Partito democratico del Kurdistan, che come obiettivo aveva l’autonomia, e l’ala più estremista, di ispirazione socialista, che rivendicava non solo l’indipendenza ma anche riforme sociali. Il golpe

68Ivi, p.31

69M. Emiliani, I curdi in Turchia: la soluzione mancata, in “Il Mulino, Rivista bimestrale di cultura e

37

del 1971 fu per il movimento l’ennesimo colpo di freno a causa anche delle contrapposizioni al suo interno, vennero messe fuori legge le organizzazioni curde così come il Partito dei lavoratori turchi; da questo momento la sinistra curda non fu mai più in grado di allearsi con quella turca: per la prima le istanze nazionaliste non erano incompatibili con quelle del proletariato, per la seconda invece lo erano70. Intanto il

regime di Ankara cercava di affrontare il problema da un punto di vista socio- economico, giustificando il malessere curdo puramente su basi sociali e non etnico- nazionali, tanto da reagire con violenza ad ogni tentativo del movimento, ma il seme oramai era gettato.

La recessione economica che colpì la Turchia negli anni Settanta, assieme ai costi sempre maggiori della modernizzazione, all’aumento demografico e della disoccupazione giovanile finì per favorire il moltiplicarsi dei gruppi della sinistra e il radicalizzarsi dello scontro tra la sinistra e la destra che portò poi nel 1980 al terzo golpe militare. È interessante sottolineare che nel corso degli anni Settanta soprattutto i giovani curdi aderirono in massa alle organizzazioni rivoluzionarie della sinistra, ma molti si arruolarono anche nei gruppi della destra come gli Ulkucular (gli Idealisti) meglio noti come Lupi Grigi (Bozkurtular) vicini al Partito d’azione nazionale di Alparslan Turkes. I Lupi Grigi erano e sono ferocemente ostili al comunismo e alla causa curda, in questa dinamica acquisì importanza un protagonista della vita politica e sociale della Turchia, l’Islam, che l’ideologia ufficiale sempre negò ma che non è mai scomparso. L’Islam negli anni Settanta (e Ottanta) ha fornito ai giovani in cerca di istruzione e lavoro una rete assistenziale fatta di scuole, circuiti economici e più in generale di punti di riferimento spirituali, politici e ideali. Per quanto riguarda i curdi, l’Islam ha marcato nettamente la frontiera tra «inurbati» e «rurali»71, tra nazionalisti di

sinistra e fedeli all’affiliazione religiosa d’origine, ovvero coloro fedeli agli agha e agli sceicchi, propensi a difendere lo status quo. Il Kurdistan, assieme ai campus universitari e alle baraccopoli di Istanbul e Ankara, fu il terreno di scontro privilegiato tra destra e sinistra, in una galassia conflittuale che non risparmiava l’origine etnica, la lotta di classe e l’affiliazione religiosa con i turchi contro i curdi, i sunniti contro gli sciiti, i

70 D. McDowall, A modern history of the Kurds, I.B Tauris, London, 2004 p.403. 71 G. Chaliand, Le Malheur Kurde, Seuil, Paris, 1992, p.83.

38

laici contro gli islamici, i proprietari terrieri contro le classi medie, i contadini e il proletariato urbano. L’esercito, che intervenne duramente nelle regioni sudorientali, non fece peraltro mistero di appoggiare e considerare con una certa benevolenza la destra, Lupi Grigi in testa72.

Se a desta dello specchio politico c’erano organizzazioni di stampo fascista, a sinistra dello stesso si stava formando, quasi contemporaneamente, quello che divenne il Partito dei lavoratori del Kurdistan. Il gruppo principale che diede vita al PKK inizialmente faceva parte dell’organizzazione studentesca Andkaras Demokratic Yüksck Öğredim

Derneği (ADYÖD, Associazione Democratica per l’Istruzione Superiore di Ankara).

L’associazione venne fondata da Türkye Sosyalist Ĭsçi Partisi (TSĬP, Partito Socialista dei lavoratori della Turchia) ma ben presto i simpatizzanti della sinistra rivoluzionaria assunsero il controllo di ADYÖD. Tra questi vi erano quegli studenti che avrebbero avuto un ruolo importante nell’istituzione del PKK: i curdi Abdullah Öcalan, Haydar Kaytan e Cemil Bayik ed i turchi Kemal Pir, Haki Karer e Ali Kalkan73. Öcalan aveva

incontrato Pir e Karer alla fine del 1972, dopo il suo rilascio dal periodo di prigionia74

egli fu presentato da un amico in comune ai due rivoluzionari della regione del Mar Nero che vivevano nel quartiere di Emek ad Ankara. Tutti insieme rimasero nascosti nella fitta rete di houses-rooms, luoghi di incontro e di studio clandestini messe insieme dalla sinistra rivoluzionaria, fra queste le più trafficate erano quelle nel quartiere Tuzluçayir, menzionato nella storiografia del PKK75in quanto a quel tempo era un

luogo povero ma con una grande percentuale di abitanti curdi, importante poiché costituì l’unico porto di reclutamento alternativo a quello delle Università. Anche ADYÖD era fondamentale come piattaforma di reclutamento, tuttavia i successi più importanti si tennero nelle riunioni all’interno delle houses-rooms fra il 1973 e il 1977. Le discussioni ideologiche che avvennero al loro interno contribuirono alla formazione di un pensiero distinto, all’arruolamento di nuove reclute e al forgiarsi di un serrato cameratismo. Kemal Pir avrebbe poi detto: «eravamo impegnati a convincere la gente a

72 M. Emiliani, op.cit., p.1122.