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IL PKK DI ÖCALAN: IDEOLOGIA RIVOLUZIONARIA E LOTTA ARMATA (1978-2010)

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UNIVERSITÀ DI PISA

DIPARTIMENTO DI SCIENZE POLITICHE

Corso di Laurea Magistrale in Studi Internazionali cl. LM-52

TESI DI LAUREA

Il PKK DI ÖCALAN: IDEOLOGIA RIVOLUZIONARIA

E LOTTA ARMATA (1978-2010)

CANDIDATA

RELATORE

Teresa Zappelli

Prof. Francesco Tamburini

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2

Indice

Introduzione ... 4

Abbreviazioni ... 7

Capitolo primo ... 9

I curdi: da popolo a minoranza ... 9

1. Premessa geopolitica ... 9

1.1 Religione ... 10

1.2 Lingua ... 11

2. Le origini del popolo senza terra ... 11

2.1 Una nuova coscienza nazionale ... 15

3. Il Kurdistan e la Prima Guerra Mondiale ... 19

3.1 La fine delle ostilità e la rinascita del movimento nazionalista ... 22

3.2 La questione curda nelle trattative di pace ... 24

3.2.1 Dalla speranza di Sèvres alla costernazione di Losanna ... 26

4. La Turchia di Atatürk ... 28

4.1 La nascita della «questione curda» ... 30

Il disegno rivoluzionario del PKK ... 35

1.La genesi del PKK ... 35

2. Il disegno rivoluzionario ... 40

2.1 L’Unione Sovietica come archetipo ... 42

2.2 L’oppressione coloniale ... 47

2.3 Autodeterminazione e indipendenza ... 50

3. Reclutamento e lotta armata ... 53

3.1 Guerra di guerriglia ... 56

Capitolo terzo ... 65

Il cambio di paradigma ... 65

1. La ridefinizione del socialismo sovietico ... 65

1.1 Il socialismo di Apo ... 67

1.2 L’abbandono della richiesta d’indipendenza ... 71

2. La seconda fase del conflitto 1993-1999 ... 75

2.1 Il PKK e la diversificazione strategica ... 77

2.2 L’amicizia siriana e la cattura di Öcalan ... 81

3. La nascita del KCK ... 87

3.1 La triade della democrazia radicale: autonomia, repubblica e confederalismo ... 95

3.2 La società democratica ... 102

3.2.1 L’ecologia sociale ... 103

3.2.2 La jineologia ... 105

3.2.3 La libertà degli antichi ... 107

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3

Conclusioni ... 111 Bibliografia ... 113 Linkografia ... 119

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Introduzione

La questione curda affonda le radici nella storia remota. Insediandosi in una regione aspra ed impervia, la popolazione curda, al fine di salvaguardare e custodire una propria cultura e una propria lingua, ha dovuto difendersi nel corso dei secoli dai reiterati tentativi egemonici da parte di arabi, persiani e turchi. La configurazione geografica dello stesso Kurdistan ha rappresentato per i suoi abitanti un valido baluardo, se da una parte garantiva una certa sicurezza e li preservava da contaminazioni esterne, dall’altra favoriva anche, con le sue valli e le sue alture, divisioni interne e contrasti. Il sistema sociale dei curdi, articolato secondo un’organizzazione di tipo tribale, in cui l’autorità morale e politica risiedeva nei capi tribù, faceva si che tra le stesse sorgessero attriti, spesso tramutatisi in aperta rivalità. Questo rimase uno degli elementi caratterizzanti della società curda tanto da impedirne il processo di formazione di una coscienza della loro comune identità e il coagularsi in un forte ed unitario movimento nazionale.

Da un rinnovato fervore intellettuale, favorito dall’apparente clima di tolleranza che si respirava nell’Impero Ottomano, agli inizi del Novecento sorgeranno le prime organizzazioni culturali curde, queste promuoveranno una valorizzazione della cultura curda, con particolare riferimento alla lingua, quale fattore aggregante e base su cui si reggeva la rinascita politica del Kurdistan. Il tentativo fallì proprio a causa di quelle divisioni ataviche, intrinseche alla società che impedirono il costituirsi di un forte e coeso movimento nazionale. Nel primo quarto del XX sec. le neonate aspirazioni nazionali curde, alimentate dalle Potenze vincitrici del primo conflitto mondiale, furono mortificate, il tanto osannato diritto all’autodeterminazione dei popoli non rimase che un principio vacuo e privo di qualsiasi realizzazione concreta. Nell’arco di tempo di tre anni, dal 1920 data della firma del Trattato di Sévres al 1923 anno della ratifica del Trattato di Losanna, le speranze si tramutarono in amara delusione. Le responsabilità delle potenze occidentali furono pesanti, queste attuarono una vera e propria spartizione del Medio Oriente, mirante a tutelare i propri interessi, senza tenere conto delle conseguenze deleterie per la stabilità della regione. Divisi fra quattro Stati, i curdi divennero all’interno di questi minoranze non riconosciute sulle quali si eserciterà una continua ed oppressiva politica d’assimilazione. Dalla dissoluzione della Sublime Porta

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5

la storia dei curdi di Turchia, Iran, Iraq e Siria è stata caratterizzata da rivolte contro i poteri centrali regolarmente represse, da guerre intestine tra confederazioni tribali curde, tra curdi di diverse nazionalità e non ultimo da una costante collaborazione di parte del popolo curdo con le proprie autorità nazionali.

In Turchia l’imperativo nazionalista di Kemal ha sempre negato l’esistenza della minoranza curda. Fin dalle grandi rivolte storiche degli anni Venti e Trenta, gli strumenti usati dall’establishment per affrontare il problema furono la repressione più feroce, la deportazione e l’assimilazione forzata ai valori kemalisti arrivando ad impedire fino agli anni Novanta persino l’uso della lingua madre a quelli che ufficialmente venivano chiamati «Turchi di montagna». Da parte loro molte delle autorità tradizionali curde, gli agha, a capo delle grandi famiglie tribali e gli sceicchi, autorità religiose dell’Islam sunnita e delle confraternite sciite minoritarie, collaborarono con le autorità di Ankara per salvaguardare i propri interessi economici, soprattutto quelli fondiari.

Sino alla fine degli anni Settanta in Turchia non si è assistito ad uno scontro netto tra nazionalismo turco e nazionalismo curdo, bensì ad una feroce polarizzazione tra interessi partitici turchi che contemporaneamente si radicavano nel Bakur e strumentalizzavano le ragioni dei curdi al superiore interesse della politica nazionale. Le cose cambiarono a partire dal 1978 quando emerse dalla sinistra rivoluzionaria curda il

Partîya Karkerén Kurdîstan, facendosi portavoce della liberazione del popolo curdo il

giovane Öcalan e i suoi seguaci iniziarono la lunga e sanguinosa lotta contro lo Stato.

Dal punto di vista ideologico, il partito si fondava sullo scritto di Öcalan del 1978, La via della rivoluzione in Kurdistan, esso delinea un impianto teorico tipicamente marxista-leninista, con la centralità del partito e l’obbiettivo ultimo della costruzione di uno Stato curdo indipendente dove applicare i principi del socialismo reale. Lo Stato è quindi dato per scontato, come inevitabile alleato nella lotta per libertà, in un tempo in cui l’interpretazione in base alla quale ad ogni Nazione dovesse associarsi uno Stato era ritenuta scontata, giusta e inevitabile. Era tra l’altro difficile, se non impossibile all’epoca, uscire da quell’immaginario: sono gli anni della fine della Grande Distensione e del riaccendersi della Guerra fredda, gli anni in cui l’URSS raggiunge l’apice della sua capacità produttiva e della sua influenza, sono anni in cui tanti altri movimenti di liberazione ispirati al

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marxismo-6

leninismo hanno successo, anni dove i termini come guerriglia e lotta armata risultano familiari. Sin dai primi giorni dell’insurrezione ad opera del PKK la Turchia mise in atto rigide soluzioni militari senza mai prendere sul serio la possibilità di una soluzione politica, evitando persino la negoziazione che caratterizzerà la linea politica del partito negli anni Novanta. Nel 1999 il leader Öcalan viene incarcerato e condannato a morte, la sua pena viene commutata in ergastolo e per il partito ha inizio una nuova metamorfosi. Grazie all’ampia letteratura che quest’ultimo ha prodotto nel corso della sua prigionia, la nuova situazione geopolitica e gli stravolgimenti portati dalla lotta al terrorismo, la rotta del movimento è passata dal violento scontro contro lo Stato, da cui si pretendeva l’indipendenza, ad una mediazione verso una meno pretenziosa autonomia locale, per finire con il superamento di entrambe le soluzioni in favore dell’obiettivo di un graduale abbattimento dei forzati confini politici e delle istituzioni verticali. Questa soluzione non è solo un’ideologia ma innanzitutto un progetto organizzativo politico e sociale che si afferma grazie al superamento dell’istituzione statuale e alla conseguente riforma del potere e delle relazioni umane.

Con questo elaborato si vuole approfondire lo sforzo ideologico, politico e militare che da oltre Cinquant’anni pone il PKK e soprattutto il suo leader Öcalan al centro della cronaca del mondo curdo. Nonostante il complicato e variegato mosaico di questo popolo, le differenti specificità degli Stati nazionali a cui sono sottoposti e l’attualità dei conflitti in Medio Oriente, il PKK si è dimostrato l’unico attore in grado di attirare costantemente l’attenzione della Comunità Internazionale la quale si è vista costretta ad interrogarsi, ripetutamente, sulle sorti del popolo curdo e a prendere in considerazione eventuali soluzioni atte a stabilire un nuovo ordine nella regione.

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Abbreviazioni

ADYÖD: Andkaras Demokratic Yüksck Öğredim Derneği, Associazione Democratica per l’Istruzione Superiore di Ankara

ARG: Artêşa Rizgariya Gelê Kurdistan, Esercito Popolare di Liberazione del Kurdistan.

DTK: Demokratik Toplum Kongresi , Congresso della Società Democratica

ERNK: Eniye Rizgariye Navata Kurdistan, Fronte di Liberazione popolare del Kurdistan

HPG: Hezen Parastnen Gel, Forza di Difesa del Popolo

KADEK: Kongreya Azadiya Democratika Kurdistan, Congresso per la Libertà e la Democrazia in Kurdistan

KCK: Koma Civakên Kurdistan, Confederazione delle Comunità del Kurdistan. KDP: Pārtī Dīmūkratī Kūrdistan, Partito Democratico del Kurdistan

KKK: Koma Komalên Kurdistan, Consiglio delle Associazioni del Kurdistan

MGRK: Meclîsa Gel a Rojavayê Kurdistanê, Assemblea Popolare del Kurdistan Occidentale

NES: Autonomous Administration of North and East Syria, Amministrazione Autonoma del Nord ed Est della Siria

PÇDK: Partî Çareserî Dîmukratî Kurdistan, Partito della Soluzione Democratica in Kurdistan

PJAK: Partîya Jiyana Azad a Kurdistanê, Partito della Vita Libera in Kurdistan PKK: Partîya Karkerén Kurdîstan , Partito dei Lavoratori del Kurdistan

PSKT: Partîya Sosyalista a Kurdistana Tirkiê, Partito Socialista del Kurdistan di Turchia

PWD: Partîya Walatpareziya Democratik, Partito Democratico Patriottico PYD: Partîya Yekîtiya Demokrat, Partito dell’Unione Democratica

TIP: Türkiye İşçi Partisi, Partito dei Lavoratori di Turchia

TSÎP: Türkye Sosyalist Ĭsçi Partisi - Partito Socialista dei Lavoratori della Turchia URSS: Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche

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YJA-STAR: Yekîneyên Jinen Azad , Unità delle Donne Libere

YJWK: Yekîtiya Jinên Welatparêzên Kurdistan, Unione delle Donne Patriottiche del Kurdistan

YKWK: Yekîtiya Karkerên Welatparêzên Kurdistan, Unione dei Lavoratori Patriottici del Kurdistan

YPG: Yekîneyên Parastina Jin, Unità di difesa delle Donne

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Capitolo primo

I curdi: da popolo a minoranza

1. Premessa geopolitica

La parola Kurdistan significa letteralmente «paese dei kurdi», si tratta di un territorio geograficamente unitario di circa 500.000 kmq. La parola Kurdistan è stata utilizzata per la prima volta nel secolo XIII da Marco Polo per descrivere una regione della Persia composta da sedici province: «Erzerum, Van, Diyarbekir, Amadia, Mossul, Shahrazur, Ardaladan1». Dopo anni di oppressioni e deportazioni, la realtà curda che vediamo oggi

non corrisponde più a quella storica: le numerose spartizioni fra Impero Ottomano e Impero Persiano, e soprattutto la Grande Guerra, hanno cambiato i confini della regione. Il paese dei curdi è stato smembrato e diviso tra Turchia, Iran, Iraq e Siria, mentre alcune comunità curde si trovano anche in Armenia e Azerbaigian.

Numerose località e città curde che fino alla prima ed alla Seconda Guerra Mondiale potevano essere considerate dal punto di vista storico, etnico e linguistico come territori curdi, oggi non hanno più tali caratteri a causa della «persianizzazione, turchizzazione e arabizzazione subite2». Oggi solo una piccola provincia in Iran viene chiamata

Kurdistan, mentre il territorio curdo in Turchia è chiamato Bakur, in Siria Gezirah, in Iraq Regione autonoma, diventando sempre più difficile tracciare con esattezza il suo confine territoriale3.

Considerando le materie prime di cui dispone, se fosse unito politicamente, lo Stato curdo potrebbe essere uno dei paesi più ricchi del Medioriente. Il petrolio viene estratto in tutti e quattro i paesi «curdi»: in Turchia è estratto nell’area di Siirt, Raman, Garzan, Diyarbakir, inoltre il Kurdistan anatolico è ricco di minerali, quali fosfati, ferro, argento, lignite, uranio e soprattutto cromo, di cui la Turchia è uno dei maggiori produttori mondiali4. In Siria è estratto nell’area di Giazira, con i pozzi petroliferi di Kerashuk,

Ramelan, Zarbe, Oda, Sayede e Lelak. In Iran i curdi sono insediati nelle zone petrolifere di Kirkuk, Mosul e Arbil, dove si concentra il 75% dell’intera produzione

1 B.Thomas, The religious of Kurds, in “The Encyclopedia of Islam”, Leiden, 1986, vol. V p.438. 2 J.Tawik Mustafa, Kurdi: il dramma di un popolo e la comunità internazionale, BFS Edizioni,

Firenze, 1994, p. 84.

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irachena; il petrolio qui prodotto, non avendo accesso diretto al mare aperto, viene trasportato verso il Mediterraneo per mezzo di tre oleodotti: due attraversano la Siria diretti al porto di Banias e a quello di Tripoli in Libia; molto più importante quello che attraversa il Kurdistan turco, lungo circa mille chilometri, che raggiunge le coste mediterranee.

Il Kurdistan riveste grande importanza per la presenza di un’altra risorsa strategica: l’acqua, infatti questa è la regione bagnata dai fiumi millenari: il Tigri e l’Eufrate, principali risorse idriche di Turchia, Siria e Iraq. Nel Kurdistan anatolico è inoltre situato il Lago Van, con una superficie di circa 3.700 kmq. Nel Kurdistan iraniano sgorgano i quattro fiumi principali e il Lago Urmia, con una superficie di circa 5.500 kmq e diverse dighe per la produzione di energia idroelettrica. Nel Kurdistan iracheno, oltre al Tigri, scorrono altri fiumi importanti quali il Grande Zab, il Piccolo Zab, il Sirvan e il Diyala; anche qui, come per i fiumi millenari, sono presenti sistemi di dighe e il loro controllo significa gestire le risorse idriche dell’intera regione5.

Nonostante la ricchezza di risorse la situazione socio-economica della regione è quella tipica del sottosviluppo, anche a causa dell’assenza di unità amministrativa e quindi di una relazione periferia-centro equilibrata: le risorse locali sono deviate verso il centro degli Stati attualmente sovrani, impoverendo le diverse regioni curde. A soffrire di questo sottosviluppo è certamente la popolazione, la quale in realtà potrebbe essere in sé un elemento di forza per un ipotetico Stato curdo: esso sarebbe forte di circa Ventiquattro milioni di persone. I curdi infatti risultano essere il quarto gruppo nazionale del Medio Oriente6. La posizione geopolitica dell’area ha condizionato non

poco le vicissitudini storiche dei curdi, influenzando la società, la lingua e la religione in modo tale da impedirne l’unità politica.

1.1 Religione

La religione originaria dei curdi era la religione zoroastriana, in seguito furono islamizzati e per la maggior parte aderirono al rito sunnita (circa il 70% della

5 F. Anghelone, A. Ungari (a cura di), Atlante 2017 Geopolitico del Mediterrano, Bordeaux Edizioni,

Roma, 2016, p. 345.

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popolazione), una minoranza a quello sciita (circa 3 milioni). Il 30% delle comunità curde sono Cristiane ed Ebraiche, mentre esistono anche numerose confraternite e sette autoctone come Naquishibadi, Quadiri e gli Yezidi7. Storicamente i curdi sono

conosciuti e considerati come una delle popolazioni più laiche del mondo musulmano, tanto che le forme di integralismo e intolleranza religiosa del nuovo fondamentalismo islamico non trovano all’interno della popolazione consenso e diffusione.

1.2 Lingua

Se esiste una sostanziale unità religiosa dei curdi, lo stesso non si può dire per la lingua. Il kurdo è una lingua di origine indoeuropea, di ceppo iranico, diversa dal persiano, dall’arabo e dal turco, ha una propria grammatica e una ricca letteratura scritta fin dal Decimo secolo. La lingua curda ha due dialetti principali: il kurmangi8 ,considerata la lingua dei ceti colti, è parlato nel Kurdistan settentrionale

(Turchia, Siria e la regione di Bahdinanal confine turco-iracheno e nei distretti occidentali iraniani nell’area del Lago Urmia); il sorani9, la lingua letteraria, che è

invece parlato nel Kurdistan meridionale (Iraq) e orientale (Iran centrale). Il kurmangi è scritto in caratteri latini, il sorani in caratteri adattati dall’arabo. I due principali dialetti hanno strutture grammaticali e lessicali diverse le une dalle altre e reciprocamente esclusive. Le differenze geografiche, sociali, economiche e soprattutto la divisione dei curdi all’interno di Stati con lingue ufficiali diverse dal curdo hanno impedito la nascita di una lingua franca curda, base di un’eventuale unità politica.

2. Le origini del popolo senza terra

L’identità storica e culturale del popolo curdo risale al I millennio a.C quando le tribù indoeuropee provenienti dalle zone caucasiche si spinsero fino all’alta Mesopotamia, sugli altopiani anatolici ed iraniani. A queste tribù appartenevano anche i Medi, fondatori di un grande impero alla fine del VII secolo a.C, considerati dalla storiografia diretti progenitori dei curdi.

7 Ivi, p. 336.

8 G.Chaliand (a cura di), Les Kurds et le Kurdistan, Maspero, Paris,1978, p.42. 9 Ibidem.

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Nel VII secolo d.C inizia nella regione l’espansione arabo-islamica che porta con sé l’islamizzazione dei popoli assoggettati: i curdi da seguaci dello Zoroastrismo aderiscono all’Islam. Dal XI secolo in poi vi sono state diverse dinastie di origine curda che, in maniera più o meno autonoma, hanno governato i territori dell’attuale Sud-est turco. La più importante fu quella degli Ayyubidi10, fondata da Salah al Din, noto in

Occidente con il nome di Saladino, musulmano sunnita di origine curda che sconfisse gli eserciti crociati nella battaglia per la riconquista di Gerusalemme nel 1187. Ancora oggi le sue gesta eroiche sono ricordate dalle comunità curde, è a lui che i curdi si riferiscono come esempio di un passato glorioso11.

A cavallo del XV-XVI secolo, in Iran e Turchia si instaurarono due Imperi centralizzati, il primo sciita e il secondo sunnita, in conflitto permanente tra loro per l’egemonia religiosa e politica, con il Kurdistan come campo di battaglia e le sue popolazioni utilizzate come deterrente per difendere i confini imperiali. Nel 1514 la Sublime porta sconfisse i persiani nella battaglia di Cialderan12e gran parte dei territori orientali del

Kurdistan caddero sotto dominio ottomano mentre i territori occidentali furono assoggettate all’Impero Safavide, spartizione sancita più tardi da numerosi accordi fra i due Stati13.

Una volta conquistati i territori la Sublime Porta, per assicurarsi l’appoggio e la difesa militare curda, concesse loro autonomia e una nuova divisione amministrativa in principati, feudi e tribù. Gli unici obblighi per i capi politici e militari curdi erano la difesa e la non modificabilità dei confini dell’Impero, garantita grazie alle proprie

10 Questi governarono a cavallo tra il XII e il XIII secolo su un territorio che si estendeva su gran parte

del Vicino oriente, dalle coste libiche fino al cuore del Medio Oriente, comprendendo i territori dell’attuale Siria, Libano, Giordania, Turchia meridionale, Yemen e le città sante di La Mecca e Medina. M.Galletti, Storia dei curdi, Jouvence, Roma, 2004, p.83.

11 S.M. Torelli (a cura di), Kurdistan, la nazione invisibile, Oscar Mondadori, Cles (TN), 2017, p.32. 12I due imperi del Vicino Oriente erano da sempre in contrasto tra loro; oltre alla motivazione

strettamente territoriale, in quanto confinanti, il conflitto principale si era determinato per motivazioni religiose. I persiani, sciiti, non accettavano di riconoscere la figura del Sultano-Califfo sunnita di Costantinopoli. Il Califfato, per gli sciiti, è giunto al termine alla morte di Ali, ultimo dei “Quattro Ben Guidati”, e l'appropriazione di un tale titolo da parte dei sunniti era un atto inconcepibile. Durante il XVI secolo le tensioni aumentarono, fino a sfociare nella battaglia di Cialderan del 1514, in cui i persiani uscirono sconfitti e il loro Impero ridimensionato a favore degli ottomani. Cruciale fu in questa circostanza il ruolo dei curdi: professando in maggioranza l’islam sunnita, questi decisero di schierarsi a fianco degli ottomani e, sconfitto l'esercito sciita, si ritrovarono sotto il controllo della Sublime Porta.

Ibidem.

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truppe, e divieto che avrebbe impedito la nascita di uno Stato curdo indipendente. Anche nel campo persiano si era creata un’analoga struttura feudale ed è proprio questa situazione che delineò una costante nella storia delle popolazioni curde: da un lato venivano sfruttati per la difesa da altre Potenze, dall’altro la lontananza dal centro degli imperi li rese meno assoggettabili. I feudi, divisi ed isolati, svilupparono una propria autonomia, non solo amministrativa ma anche sociale, tale da portare a relazioni conflittuali fra feudi e tribù, esacerbata dalla Sublime Porta, interessata a creare legami diretti con i singoli emiri accentuandone le reciproche gelosie e controversie14. Tale

situazione si protrasse fino al XIX secolo quando i confini ottomani si andarono a ridisegnare: l’assenza di istituzioni ed industrie moderne, la struttura amministratrice arcaica, la mancata eterogeneità etnica, religiosa e linguistica dei suoi popoli resero l’Impero vulnerabile alle minacce esterne ed interne. Per contrastare la propria debolezza l’Impero necessitò di maggiori risorse finanziarie e umane: i privilegi dei curdi furono ridimensionati, i principati scomparvero mentre aumentarono i poteri delle singole tribù e l’importanza della loro collocazione strategica, proprio a causa della loro natura transfrontaliera. La Persia agevolò la contrapposizione fra ottomani e curdi sperando in conquiste territoriali mentre le Potenze europee iniziarono ad interessarsi agli sviluppi politici e militari di quel determinato territorio.

Fu questo il contesto che spinse i curdi ad intraprendere la lotta per liberarsi dall’oppressione ottomana, rivendicando la loro libertà ed indipendenza. Le rivolte più significative furono: la rivolta di Baban, territorio diviso fra i due Imperi, la rivolta di Mir Mohamad in Kurdistan meridionale, la rivolta di Bedir Khan15. I fattori che

determinarono il fallimento di queste sommosse sono da ricercare nelle stesse caratteristiche della società curda: l’arretratezza socio economica, il territorio montuoso con carenti linee di collegamento; il carattere tribale e le rivalità familiari impedivano la crescita di un sentimento nazionale, la continuità della lotta e ostacolavano l’emergere di una rappresentanza politica nazionale. Una ulteriore causa può essere attribuita alla presenza, da oltre quattro secoli, degli Imperi Ottomano e Persiano, che impedirono con ogni mezzo la nascita di un movimento curdo unitario; inoltre, le penetrazioni europee

14 R. Mantran, Storia dell'Impero Ottomano, Edizioni Argo, Lecce, 1999, p. 135.

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nelle regioni per fini coloniali contribuì indirettamente alla repressione delle rivolte curde16.

L’ultima insurrezione in ordine temporale, quella del 1880 guidata da Sheik Obeydullah, assume particolare importanza in quanto si arrivò alla consapevolezza che per ottenere libertà e indipendenza era necessario avere un’organizzazione e un programma politico. Con la guerra russo-turca del 1877-1878 la situazione del Kurdistan divenne sempre più tesa, le truppe imperiali terrorizzavano e saccheggiavano le popolazioni turche, spogliandole delle loro risorse. Ciò provocò lo scoppio di numerose sollevazioni guidate da Sheik Obeydullah, uomo carismatico e abile politico, che dopo aver tentato invano di raggiungere una soluzione pacifica con il Sultano, prese contatti con i notabili curdi, creò un’armata e nel 1880 convocò un’assemblea a cui parteciparono leader curdi sia iraniani che turchi. Egli era convinto che non vi fosse altra strada da seguire se non quella della sollevazione armata contro gli Imperi turco-persiani al fine di liberare il popolo della loro oppressione secolare e creare così uno Stato curdo indipendente. In una lettera inviata al governo inglese egli scrisse:

« Tutto il popolo curdo, le personalità del Kurdistan sia turco che persiano, le popolazioni del

Kurdistan, cristiani e musulmani, sono uniti e sono concordi nel non accettare più la situazione imposta dai governi turco e persiano. Noi vogliamo essere governati da noi stessi17».

Tra il 1880 e il 1882 le truppe curde si ritirarono dopo numerose battaglie, Sheik venne catturato e deportato in Arabia Saudita. In questi anni di rivolta l’ingerenza delle Potenze europee era già forte, la ricchezza e la posizione geografica avevano stimolato gli appetiti di Francia, Gran Bretagna e Germania fin da inizio secolo. Dopo il Trattato di Parigi del 1856 le Potenze si impegnarono ad assicurare l’indipendenza e l’integrità territoriale dell’Impero Ottomano, stabilendo gli amministratori locali e aumentando il capitale d’investimento nelle industrie del paese; nel 1881 fu creata una commissione franco-inglese con lo scopo di gestire il debito ottomano mentre in realtà prelevava la maggior parte delle imposte. Anche i tedeschi cominciarono ad aumentare l’impiego di capitale nell’Impero Ottomano: la concessione della costruzione della ferrovia di

16 Ibidem.

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Baghdad ai tedeschi, mise in allarme russi, inglesi e francesi, timorosi di perdere terreno nella corsa al controllo dei territori della Sublime Porta18. I tedeschi, studiando le risorse

e la posizione geografica del territorio curdo, aprirono un ingente numero di sedi diplomatiche ed entrarono in stretto contatto con la popolazione, misero a disposizione i loro capitali ed aprirono le porte al commercio con il Kurdistan.

La difficile convivenza tra popolazioni curde musulmane e popolazioni cristiane portarono a scontri e di conseguenza all’interessamento della Russia, la quale si dichiarò protettrice dei cittadini ottomani cristiani (armeni, greci e balcanici). Mosca iniziò a condurre una politica anti turca con lo scopo di assicurarsi le simpatie curde al fine di estendere l’influenza moscovita nelle province ottomane e persiane del Kurdistan. Infatti negli ultimi anni del XIX secolo iniziarono a comparire con sempre maggiore frequenza consolati russi, missioni scientifiche, archeologiche e militari19. Nacque così

un movimento russofilo tra le file curde, poiché la popolazione sperava in un sostegno moscovita contro l’Impero Ottomano, e la Russia fece di tutto per continuare ad alimentare questi sentimenti in suo favore, chiaramente solo per poter esercitare con più forza pressioni sui governi di Istanbul e Teheran20.

2.1 Una nuova coscienza nazionale

Alla fine del XIX secolo nell’Impero Ottomano si dette avvio ad una politica panislamica e di assimilazione promossa dal sultano Abdül Hamid II. Il suo progetto politico intendeva integrare i curdi nel nuovo sistema ottomano attraverso benefici e deleghe di potere, aprendo lo stesso Impero a spinte liberali ma in stile islamico, rifacendosi dunque a norme occidentali pur mantenendo la centralità della religione islamica, cardine fondamentale per i sultani e i sudditi della Sublime Porta.

Oltre alla politica del sovrano, la massiccia penetrazione politico-economica delle Potenze straniere diede ulteriore impulso alla mobilitazione dei movimenti nazionali in diverse aree dell’Impero. In tal senso, la politica d’assimilazione attuata dal sultano nei confronti dei curdi, rientrava all’interno di un disegno politico in cui la centralizzazione del potere mirava alla repressione di qualunque aspirazione nazionale: l’integrazione dei

18 Ivi, p.101.

19L. Nocera, La Turchia contemporanea, Carocci, Roma, 2011, pp. 17-18. 20Ibidem.

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vertici della società tribale curda nell’organigramma ottomano venne vista come una tappa interlocutoria, ma fondamentale, per raggiungere tale obiettivo. L’intenzione di Abdül Hamid II fu quella di utilizzare le capacità delle tribù curde sia come efficace barriera alle mire espansionistiche dei Paesi confinanti (Russia e Persia), sia come strumento di repressione dei nascenti movimenti nazionali. In quest’ottica nel 1890 fu istituito, secondo lo stesso modello dei cosacchi, il corpo degli «Hamidiyye21», forze

irregolari curde, formate sulla base della loro organizzazione tribale. Queste truppe avrebbero dovuto fornire un contributo essenziale alla politica panislamica del sultano, a cui dovevano massima fedeltà ed obbedienza assoluta. A conferma delle aspettative, gli Hamidiyye si distinsero nella repressione del movimento armeno del 1896-1898, durante la quale furono massacrate decine di migliaia di persone. In seguito furono addirittura protagonisti nel soffocare le ribellioni curde di Dersim e del Kurdistan meridionale22, scoppiate contro la tirannide del sultano. Successivamente se ne

servirono i Giovani Turchi, ribattezzandoli «achiret hafif suvari alaylari» ovvero reggimenti tribali di cavalleria leggera23.

Contestualmente all’iniziativa politica panislamica e assimilatrice di Abdül Hamid II si diffondeva e si sviluppava un movimento che, più di altri, contrastò la Costituzione del 187624e che nel 1889, pur diviso all’interno da diverse correnti, assunse il nome di

Giovani Turchi25, il cui fondatore e ideologo fu il curdo Abdullah Djewdet26. Da questo

nuovo gruppo prese le mosse il movimento unionistadel «İttihat ve Terakki Cemiteti»,

21 V. F. Minorsky, Kurde et Kurdistan, in “Encyclopédie de l’Islam”, N.5, 2006, p. 465. 22 Ibidem

23 N. Kendal (a cura di), Les Kurdes sous l’Empire Ottoman, Pèreès, Paris, 1978,p.54.

24 I Giovani Ottomani criticarono aspramente la costituzione del 1876 perché basata su modello di

quella belga e non sull'esempio francese; il che si esplicava nella mancata affermazione della legittimazione popolare del potere e nell'assente divisione dei poteri. In concreto il sultano aveva stabilito in via costituzionale che l'unica fonte di potere realmente ammissibile era quella divina, e che pertanto soltanto lui possedeva il diritto di esercitarlo, senza alcuna ingerenza o controllo da parte degli altri poteri dell'Impero. In ogni caso la Costituzione ebbe vita breve: nel 1878, con il Congresso di Berlino, il documento venne sospeso, e i possedimenti ottomani iniziarono ad essere fortemente ridimensionati I Giovani Ottomani vennero costretti all'esilio e si dovette attendere fino al 1889 per assistere alla nascita del movimento dei loro successori, i Giovani Turchi. M.Galletti, Storia dei curdi, op.cit., p. 99.

25 La prima cellula dei Giovani Turchi si chiamava Itihad Osmanli Djemhieri, Società per l’unità

ottomana, fu fondata da due curdi, Abdullah Djewdet e Isaq Skutti a cui in seguito aderirono albanesi, arabi e turchi. Nel primo Congresso del 1902 si ebbe la scissione fra i sostenitori del centralismo dell’Impero ed i sostenitori dell’autonomia per i popoli non turchi. V. F. Minorsky, op.cit., p.24.

26 Abdullah Djewdet 1869- 1932, medico, giornalista, politico, fu considerato uno dei più grandi

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noto come Comitato per l’Unione e Progresso (C.U.P), che diverrà il fautore delle istanze di rinnovamento politico di fine Ottocento.

Nel frattempo in Kurdistan era emersa una intellighenzia moderna formatasi in Europa e ad Istanbul, considerata con ostilità e sospetto dai capi feudali e tribali curdi, fautrice di idee progressiste. A tutto questo si sommò un crescente fervore letterario che favorì un risveglio culturale curdo, enfatizzato anche vasta pubblicazione di testi della poesia tradizionale. In questo contesto, nel 1897 venne pubblicata al Cairo la prima rivista curda «Kurdistan», inizialmente ebbe un indirizzo culturale ed educativo, in seguito si propose come il centro catalizzatore del movimento nazionale curdo, nei suoi articoli erano contenute aspre critiche verso il governo del sultano e contro il suo apparato oppressivo. Le circostanze politiche costrinsero la rivista a migrare, venne stampata in diverse località europee e terminò le pubblicazioni nel 1902.

Il C.U.P, negli stessi anni, fece opera di proselitismo in modo particolare tra i militari appartenenti a tutte le etnie musulmane. Nell’esercito era presente un corpo di ufficiali, forgiato nelle accademie militari dei paesi europei, con un elevato grado culturale, che non tollerava il ruolo subordinato della Sublime Porta alle Potenze straniere. La maggior parte degli intellettuali curdi confluì nelle sue fila assumendo un ruolo di primo piano all'interno del movimento dei Giovani Turchi, ma nel 1902 al primo Congresso del C.U.P, svoltosi a Parigi, emersero due correnti divergenti che portarono a una significativa scissione: da un lato vi era chi sosteneva il centralismo dell’Impero (Turchi); dall’altro vi era chi avallava il decentramento del potere a favore dell’autonomia dei popoli non turchi (arabi, greci, curdi).

Il programma dei Giovani Turchi era incentrato sul principio di reale uguaglianza tra i cittadini, il ripristino della Costituzione del 1876 (la prima Costituzione moderna turca) e l’abbattimento della corruzione nello Stato, il movimento intendeva riformare e modernizzare il paese affermando l’uguaglianza e la fratellanza di tutti i popoli dell’Impero. I primi risultati iniziarono ad arrivare soltanto con il secondo Congresso nel 1906, quando sia i militanti curdi, le organizzazioni politiche nazionaliste dell’Impero Ottomano, sia i turchi, concordarono tutti nel ritenere prioritario l’abbattimento del sultano Abdül Hamid II. Egli, sapendo del successo del movimento, iniziò una guerra silenziosa e fortemente repressiva contro i Giovani Turchi e i loro

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sostenitori. Da qui nacque la coscienza della forza che il movimento stava assumendo, forza che si manifestò nel 1908 con la marcia su Istanbul che costrinse Abdül Hamid II al ripristino della Carta e alla sua, successiva, destituzione a favore di Mehmet V. Tale evento passa alla storia come la Rivoluzione dei Giovani Turchi, mossa da ideali liberali di uguaglianza per tutti i popoli oppressi dell’Impero.

La svolta democratica innescata dai Giovani Turchi incentivò l’attività degli intellettuali curdi che si prodigarono nella divulgazione e codificazione della loro cultura. L’evolversi e il maturare di una nuova coscienza nazionale curda fece sorgere numerose attività politiche e culturali, in concomitanza con i moti rivoluzionari dei Giovani Turchi, nel 1908 fu fondata ad Istanbul la prima associazione curda denominata «Taali

we Teraki Kurdistan» , per lo sviluppo e per il progresso del Kurdistan, a cui sarà legato

il giornale «Kurt Teavun we Terakki Gazetesi», la gazzetta curda per la solidarietà e lo sviluppo27. Contemporaneamente si costituiva un Comitato curdo per la diffusione

dell’istruzione, «Kurt nechri maarif Jemiyeti», che aprì una scuola curda ad Istanbul28.

Queste associazioni non rappresentarono mai un soggetto politico ben definito denotando, come per le rivolte di inizio secolo, la mancanza di una precisa strategia politica. L’inadeguatezza delle strutture determinò l’assenza di un programma univoco, in cui delineare ed esplicitare con chiarezza obiettivi e finalità politiche. Inoltre l’ideologia nazionalista non ebbe una diffusione capillare così da potersi radicare nei diversi strati sociali. Era evidente che il movimento nazionalista non rappresentava che un élite dalle scarse capacità d'incidere sul tessuto sociale.

Sebbene inizialmente l’avvento al potere del C.U.P. concesse alle nazionalità non turche il diritto d'insegnare e pubblicare nella propria lingua, successivamente il movimento dei Giovani Turchi attivò per mano del nuovo sultano una politica repressiva e di stampo nazionalista29, si trasformò rapidamente in un movimento

tutelante esclusivamente gli ideali panturchi e fortemente repressivo, il tutto in reazione

27 E. Anchieri, La Diplomazia contemporanea, Cedem, Padova, 1959, pp. 38-41. 28 Ibidem.

29Sebbene il sultano rimase in carica fino al 1918, la sua autorità s'indebolì notevolmente divenendo

meramente simbolica. Infatti, dopo un intermezzo di pochi mesi in cui il governo venne affidato al liberale Kamil Pascià, il C.U.P. dal 1913 s’impossesso definitivamente del potere. L’Impero passò virtualmente nelle mani di un triumvirato composto da Enver, Talat, Gamal Pascià. J. Tawik, op. cit., pp 115-116.

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ai crescenti spiriti indipendentisti delle province. Il nazionalismo era ormai diventato il collante del nuovo apparato ministeriale turco, che abbandonò il progetto della fondazione di una nazione multietnica e si concentrò solo sulla protezione e sull'esaltazione dei valori panturchi, creando diverse organizzazioni nazionaliste.

3. Il Kurdistan e la Prima Guerra Mondiale

Alla vigilia del conflitto mondiale il malcontento dilagava in tutto il Kurdistan e momenti di tensione sfociarono in rivolte. Per tutto il 1914 una vasta insurrezione interessò la regione di Bitlis, il popolo sfruttò il clima di tensione dato dal contesto mondiale e, con l’aiuto degli armeni, si sollevò contro Istanbul. Sempre nel medesimo anno un’altra rivolta scoppiò nella regione di Barzan che capitolò con l’impiccagione pubblica del capo della rivolta, Sheik Abdusalam Barzani.

Gli ottomani, intenti a preparare la guerra a fianco dell’Intesa, non ebbero nessuno scrupolo ad attuare rappresaglie nelle aree tumultuose: compirono massacri e violenze sulla popolazione, bombardarono i centri abitati e uccisero pubblicamente i rivoltosi. Inoltre, essendo impregnati della loro ideologia ultranazionalista, si apprestavano a lanciarsi nel conflitto mondiale con lo scopo di liberarsi dall'ingerenza delle Potenze straniere, recuperando i territori persi in Europa, al fine di creare un immenso impero pan-turanico30. Nonostante le continue vessazioni di cui furono vittime, il governo di

Istanbul aveva la necessità di coinvolgere i curdi nella guerra e lo fece sfruttando il fattore religioso: una gran parte di curdi, persuasa «dalla mistificatoria propaganda islamica che propugnava il gihad e la fratellanza turco-curda31» rispose all’appello del

sultano, partecipando in prima linea al conflitto. Alcune frange, tra le quali le tribù del Kurdistan meridionale e gli abitanti di Dersim, si rifiutarono di prendervi parte.

Per anni il Kurdistan divenne teatro militare della contrapposizione tra Turchi, Russi e Inglesi. Molteplici erano le ragioni per le quali il Kurdistan attirava l’attenzione delle

30 L’ideologia turanica che prende il nome dalla regione asiatica Turan, aveva un carattere prettamente

nazionalista. Il movimento si sviluppò tra la fine del 19° e l’inizio del 20° sec., mirante a valorizzare l’affinità culturale e a promuovere la solidarietà politica fra le diverse popolazioni di lingua turca e fra queste e le altre, come i Mongoli o i Magiari, appartenenti alla più ampia famiglia linguistica uralo-altaica (detta anche turanica). Diffuso soprattutto in ambienti intellettuali ottomani, esercitò una certa influenza a partire dalla Prima guerra mondiale. M. Galletti, op.cit. p. 40.

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Potenze straniere. Sintetizzando si possono individuare due elementi principali: la presenza, ormai accertata, nel suo sottosuolo d’ingenti quantità di petrolio32, già

all’epoca riconosciuta risorsa dalle immense potenzialità; la sua posizione strategica, fondamentale per gli equilibri geopolitici del Medio Oriente. A testimonianza dell’interesse suscitato da quest'area, sono noti gli intensi rapporti diplomatici che avevano come argomento principale la spartizione dell’Impero Ottomano.

Nel frattempo i russi e curdi avevano intrapreso numerosi contatti e gli stessi russi favorirono in molti casi il sorgere di ribellioni. In questi quattro anni di guerra non mancarono contatti, tanto che alcune tribù curde combatterono nelle fila dell’esercito russo33, come già era accaduto in precedenti conflitti russo-turchi. L’atteggiamento

amichevole e il sostegno alle rivendicazioni curde erano in ogni caso mosse da un secondo fine: l’intento al quale aspirava la Russia zarista era quello d'annettere l’intero territorio curdo; analoghe erano le intenzioni delle altre Potenze imperialiste, quali Gran Bretagna e la Francia, come risultò chiaro da precisi accordi presi in merito.

I Turchi, sapendo della mancata lealtà dei curdi, attuarono una politica definibile di «pulizia etnica», effettuarono una massiccia deportazione di civili curdi, circa 700.00034,

verso le zone occidentali dell’Anatolia; e dopo il ritiro nel 1917 delle truppe russe, ripresero il controllo della regione compiendo numerose stragi.

A fare da cornice a questi eventi, a partire dal 1915, si intavolarono una serie d’incontri diplomatici in cui si discuteva il disfacimento, o più propriamente la spartizione, dell’Impero Ottomano, che portarono alla stipulazione di accordi segreti noti con il nome dei due diplomatici, rappresentanti dei due Paesi nei negoziati, l’inglese Mark Sykes e il francese Georges Picot. Questi patti, cui aderirà nel maggio 1916 la Russia, stabilirono fra l’altro una suddivisione del Kurdistan in tre zone

32 Proprio a Londra nel 1912 fu fondata la Turkish Petroleum Company (T.P.C.) che doveva svolgere

ricerche nell’Impero ottomano, per accertare l’eventuale presenza di giacimenti petroliferi. Le azioni della società erano possedute per il 50% dalla Anglo-Persian Oil Company, per il 25% dalla Royal Dutch-Shell e con la stessa quota del 25% dalla Deutsche-Bank. M.Galletti, Storia dei curdi, op.cit.,p.100.

33 J. Tawfik, Kurdi, op. cit., p. 108 .

34 La deportazione curda veniva motivata dalle autorità ottomane come un’evacuazione della

popolazione civile a causa dell’avanzata russa. Durante il viaggio molti perirono per le asperità che comportò questa lunga marcia. Tutto rientrava nell’ottica della politica d’assimilazione: disperdere i curdi nei villaggi turchi, con una percentuale del 10% sugli abitanti di ogni villaggio, sotto lo stretto controllo della polizia. M. Emiliani, op.cit., p. 10.

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d'influenza: il Kurdistan meridionale venne assegnato alla Francia; il Kurdistan settentrionale alla Russia e il Kurdistan occidentale alla Gran Bretagna35.

Fra il 1916 e il 1917 i Russi, agevolati dalle sporadiche ribellioni, avanzarono nei territori curdi, dando la possibilità alle forze anglo-francesi di insediarsi in Siria ed Iraq e a prendere anch’essi contatti con le popolazioni curde. A disfare l’intero scenario bellico fu un evento dai risvolti e da conseguenze epocali: la Rivoluzione d’Ottobre del 1917 dopo la quale la Russia si ritirò dal conflitto; la sua posizione fu rilevata dagli Inglesi, anche per quanto riguardava gli accordi Sykes-Picot. L’assetto post-bellico dell’Impero Ottomano ideato dall’Intesa non subì comunque radicali revisioni, permaneva infatti la volontà di operare un forte ridimensionamento della Sublime Porta.

Intanto gli eventi bellici volgevano verso una completa disfatta per le forze degli Imperi centrali, soprattutto dopo la decisiva entrata in guerra di una potenza emergente come gli Stati Uniti.

Il 30 ottobre 1918 con l’armistizio di Mudros si sancì la fine della guerra tra Intesa e Impero Ottomano: al Governo di Istanbul vennero sottratte tutte le ex province e le Potenze europee occuparono numerosi territori. L’area di Mosul finì sotto controllo britannico, la parte dell’Egeo venne divisa tra Italia e Francia e la provincia di Izmir andò alla Grecia36. La popolazione musulmana accolse l’armistizio come l’ennesima

lotta tra l’Occidente cristiano e l’Oriente islamico e si dichiarò «pronta a difendere i diritti del popolo turco musulmano contro le ingerenze degli europei infedeli37». Dopo la

firma dell’accordo nacquero cellule segrete di società per la difesa dei diritti nazionali: il loro scopo iniziale fu quello di risvegliare l’opinione pubblica nazionale e internazionale sulle reali implicazioni dell’armistizio di Mudros; dal maggio del 1919 vennero guidate da membri del C.U.P e divennero presto vere e proprie basi di resistenza al governo del califfo.

35 Nel frattempo venne a conoscenza degli accordi l’On. Sonnino, che fece pressioni sugli alleati,

affinché questi stabilissero ufficialmente in un memorandum , gli accordi formulati nell’art. 9 del Patto di Londra (9 maggio 1914), che riconosceva l’esistenza di interessi italiani nell’Impero ottomano. Si giunse nell’aprile del '17 quindi all’Accordo anglo-franco-italiano di San Giovanni di Moriana in cui furono riconosciuti i diritti dell’Italia su parte dell’Anatolia meridionale, Smirne, Adalia e Konia. Ibidem

36 M. Galletti, Alle radici del dialogo fra curdi e turchi, in “Kervan-rivista internazionale di studi

afroasiatici”, N. 1, Gennaio 2005, pp. 27-28.

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Contemporaneamente Mustafa Kemal comprese la necessità di unificare tutte le cellule segrete in un unico movimento nazionale dell’Anatolia contro il governo filo-occidentale, la resistenza venne così ufficializzata in due congressi, insieme all’elaborazione di un nuovo governo e di un nuovo parlamento rappresentativo. Il primo si tenne a Erzurum (23 luglio-17 agosto 1919), il secondo congresso fu tenuto a Sivas (4-11 settembre 1919). In entrambi furono adottate risoluzioni che chiedevano di preservare l’integrità delle aree islamiche dell’Impero Ottomano e l’indipendenza nazionale. A Erzurum si strinsero rapporti con i capi curdi, e si fornirono garanzie rispetto ai loro diritti e alla loro esistenza. Il rapporto di questo congresso riporta: «In queste province i turchi non possono agire senza i curdi e i curdi senza i turchi. Impossibile non tener conto che turchi e curdi hanno condiviso e condivideranno la stessa storia, gli stessi interessi e lo stesso stile di vita38»; Mustafa Kemal, da quel

momento venne riconosciuto come capo indiscusso della resistenza turca.

3.1 La fine delle ostilità e la rinascita del movimento nazionalista

All’indomani dalla fine delle ostilità un nuovo fermento si produrrà anche in Kurdistan, dove sorsero nuove organizzazioni per promuovere la divulgazione della propaganda nazionalista curda. Le società più influenti, in cui si concentreranno le maggiori personalità curde, che si mobilitarono per un pronto riconoscimento, sotto forme differenti, dei diritti nazionali del popolo curdo furono: «Istikhlass Kurdistan» (Liberazione del Kurdistan), «Kurd Istiqlal Djemhieti» (Società per la liberazione del Kurdistan), e «Kurdistan Taali Djemhieti» (Società per lo sviluppo del Kurdistan), guidata da Sheik Abdul Qadir Sciamzini39; quest’ultima fu la più attiva ed influente40.

Tali formazioni rispecchiavano le diversità ideologiche e regionali della società, il movimento curdo era rimasto paralizzato dalla guerra, la cui fine aveva lasciato enormi difficoltà organizzative. Questo rinnovato fervore politico venne alimentato dalla

38 W. Jwaideh, The Kurdish national movement: its origins and development, Syracuse University

Press, Syracuse-New York, 2006, pp. 130.

39 Fu senatore ed ex presidente del Consiglio dello Stato Ottomano. J. B. Duroselle, Storia

diplomatica, dal 1919 ai giorni nostri, LED, Roma, 1998, p.417.

40 Importante fu anche l’Associazione per l'organizzazione sociale del Kurdistan, costituitasi da una

successiva dissociazione della famiglia BedirKhan dalla suddetta società. Cfr. J. Tawfik, Kurdi, op. cit., p. 109.

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speranza di veder sorgere uno Stato curdo, grazie alla promessa di una repentina attuazione dei quattordici punti wilsoniani41 che avrebbero dovuto rappresentare le linee

guida da seguire nella ricomposizione dei nuovi equilibri mondiali. Contemporaneamente i nazionalisti turchi iniziarono a rivolgersi ad armeni e curdi, rimasti sotto la loro autorità. Verso i curdi vennero ripresi argomenti già utilizzati in passato e di cui si conoscevano le grandi capacità persuasive: il popolo curdo essendo parte integrante dell’Umma, era loro compito e dovere riconquistare i territori sconsacrati dall’infedele. La campagna nazionalista, infatti, ebbe inizio proprio dal Kurdistan dove a Erzurum, come già citato precedentemente, nel 1919 si svolse il secondo Congresso Mustafa Kemal, dove si espresse il proprio sostegno alla difesa dei territori musulmani dagli aggressori occidentali. La decisione assunta in tale assise determinò un successo sia dal punto di vista politico che strategico per i kemalisti che poterono contare sull’apporto dei curdi nel contrastare l'eventuale avanzata delle truppe anglo-francesi assestatesi nei distretti di Kirkuk e Mosul.

Alla luce di questi fattori, all’interno del movimento curdo, nel periodo di tempo che va dall’armistizio di Muduros al Trattato di pace del 1920, emersero due tendenze: gli autonomisti, che speravano di raggiungere un accordo con i Turchi al fine di un’effettiva autonomia in uno Stato ottomano che, al momento, non esisteva più, e gli indipendentisti, che volevano a tutti i costi la realizzazione di uno Stato curdo indipendente, garantito dalla tutela della Comunità internazionale.

Alfiere dell’autonomia curda in uno Stato turco fu Sheik Qadir, fondatore della Società per lo sviluppo del Kurdistan, che considerava l’appoggio alla causa turca rispettoso dei principi musulmani (autonomisti); mentre la famiglia BedirKhan (indipendentisti) era conscia del fatto che le promesse turche erano vacue, costituivano solo un pretesto per placare le aspirazioni nazionaliste curde, e quindi, confidando in un concreto sostegno e un’adeguata considerazione da parte dei paesi vincitori nell’ambito della Conferenza di pace di Parigi, auspicava il raggiungimento dell’indipendenza per l’intero Kurdistan.

41 In particolar modo del 12° punto: «Alle parti turche del presente Impero ottomano saranno

assicurate pienamente la sovranità e la sicurezza, ma le altre nazionalità che vivono attualmente sotto il regime di questo Impero devono, d'altra parte, godere una sicurezza certa di esistenza e potersi sviluppare senza ostacoli; l'autonomia deve essere loro data. […]».J. B. Duroselle, op.cit., pp. 437-438.

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Tali divergenze furono deleterie per la compattezza del movimento, rendendolo facile preda delle strumentalizzazioni, sia da parte dei turchi che degli inglesi e dei francesi, e inoltre furono utilizzate da entrambi gli schieramenti per raggiungere i loro obiettivi e favorire i propri interessi. La mancata coesione era anche sottolineata dall’insorgere di ribellioni sempre più circoscritte, che non avevano nessuna risonanza nazionale, e provocate, per la maggior parte, dalle tendenze conservatrici dei capi tribù locali. Appare di conseguenza evidente la scarsa incisività a livello locale della propaganda nazionalista.

3.2 La questione curda nelle trattative di pace

Le sorti dell’Impero Ottomano dopo l’armistizio di Mudros, dettero luogo ad una serie d’interminabili discussioni. L’interessamento alla questione curda da parte degli alleati favorì, nonostante le spaccature presenti nel movimento nazionale curdo, il costituirsi del Comitato per l’indipendenza curda il quale inviò alla Conferenza di pace di Parigi una propria delegazione a presentare le istanze curde, guidata dal generale Muhammad Sherif Pascià42; egli chiedendo la formazione di uno Stato curdo

indipendente precisava:

« […] noi preghiamo inoltre la Conferenza di nominare una commissione incaricata di tracciare la linea della frontiera secondo il principio di nazionalità per comprendere nel Kurdistan tutte le regioni dove vi è una maggioranza curda. Resta ben inteso però che se nelle regioni assegnate al Kurdistan si trovano agglomerazioni di altri allogeni, sarà loro accordato uno statuto particolare, conforme alle loro tradizioni nazionali43».

Gli alleati presero in considerazione le rivendicazioni curde, ma i contrasti fra di loro (la Francia era contraria alla creazione di uno Stato curdo) pesarono sulla richiesta d’indipendenza curda: pur non contemplando la nascita di uno Stato indipendente, si

42 In primo tempo a capo della delegazione turca che poi abbandonò per farsi portavoce delle

rivendicazioni curde. Fu grazie alle sue doti diplomatiche, affinate nei suoi anni di attività quale ambasciatore ottomano a Stoccolma, riuscì a portare la questione curda all’attenzione della Comunità internazionale. W. Jwaideh, op.cit., p. 133.

43 S. Pascià, Memorandum sur les revendications du peuple Kurde, Paris, 1919; Cfr. A.Giannni,

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mostrarono tuttavia favorevoli, come in precedenti occasioni, ad un regime di autonomia, che solo successivamente si sarebbe potuto trasformare in indipendenza.

Tutte le decisioni sulle diverse questioni aperte furono deferite alla Conferenza di Londra del Febbraio 1920. In tale clima fu subito chiaro che il mantenimento dell’integrità dell’Impero ottomano era impensabile. Un regime speciale venne concesso ai Greci nella regione di Smirne e furono formalmente riconosciuti gli interessi francesi in Cilicia e italiani in Adalia44. La nascita di uno Stato armeno sotto l’egida della

nascente Società delle Nazioni fu posta fra le priorità; si discusse inoltre della possibilità d’instaurare un regime transitorio d’autonomia per il Kurdistan.

Nella successiva Conferenza tenutasi nell’Aprile del 1920 a Sanremo, si delinearono i contenuti del futuro trattato di pace45, venne deciso di richiedere al Consiglio della

Lega delle Nazioni di instaurare nei territori ottomani ex imperiali dei «Mandati46» da affidare alle Nazioni vincitrici. In quest’ottica, già fin dal 1916, la Gran Bretagna e la Francia avevano segretamente stabilito, con l’accordo Sykes-Picot citato precedentemente, le rispettive zone di influenza nel Medio Oriente, con particolare riguardo a quelle ricche di risorse minerarie e di petrolio, ignorando completamente le altre Nazioni alleate nel progetto di spartizione. Ottenuto l’assenso dalla Lega delle Nazioni, venne assegnato alla Francia il Mandato sulla Siria e sul Libano, mantenendo il protettorato sulla Tunisia (che esercitava già dal 1881), mentre la Gran Bretagna si assicurò quello sulla Mesopotamia, la Transgiordania e la Palestina (già occupata dagli inglesi nel 1887), mantenendo i protettorati47che aveva su Cipro (dal 1878), sul Kuwait (dal 1899) e sull’Egitto (dal 1914)48. Inoltre si decise per la costruzione di uno Stato

Armeno indipendente e fu riconfermato il proposito di giungere alla costituzione di un Kurdistan autonomo.

44 E. Anchieri, op.cit.,p. 50.

45 Tenutasi dal 19 al 26 aprile; con essa si definiranno le clausole del Trattato imponendo una serie di

limitazioni territoriali e restrittive sanzioni economiche e militari (l’esercito fu ridotto a 50.000 unità) all’Impero Ottomano. G. Formigoni, Storia della politica internazionale nell’età contemporanea, il Mulino, Urbino, 2011, pp.258-259.

46Per «Mandato» si intende l’assegnazione amministrativa e legislativa di un territorio a una nazione

mandataria scelta dal Consiglio della Lega delle Nazioni. Ivi, p. 261.

47 Per «Protettorato» si intende

quel rapporto di tutela e protezione esercitato da uno Stato più forte a favore di uno più debole. Ibidem.

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Quando il si chiuse la Conferenza, la delegazione turca comunicò agli alleati le proprie riserve sul progetto di trattato e specificatamente sull'assetto territoriale che esso prevedeva; inoltre i nazionalisti turchi espressero la propria indignazione ritenendo che si stava profilando una grave iniziativa, non curante del principio dell'integrità territoriale ottomana come sancita dall’armistizio di Mudros. Come in passato, i turchi non riconoscevano l’esistenza delle pretese curde a costituirsi in Stato indipendente, adducendo il pretesto della fratellanza turco-curda, cementata da secoli di comune e “pacifica” convivenza. A luglio il Consiglio Supremo, dopo aver esaminato e respinto le richieste avanzate dalla delegazione turca, procedette con la ratifica del Trattato di Pace, nell’agosto del 1920 fu firmato a Sèvres la pace fra gli alleati e l’Impero Ottomano.

3.2.1 Dalla speranza di Sèvres alla costernazione di Losanna

Il Trattato di Sèvres fu infine accettato e firmato dal solo Governo di Costantinopoli, la cui autorità era ormai meramente simbolica, di fatto a reggere le redini del potere in Asia Minore era il Governo di Mustafa Kemal, che sin dalle prime fasi della conferenza di pace si era opposto con fermezza alle decisioni alleate.

Questi accordi contenevano clausole di estrema importanza, sancendo per la prima volta a livello internazionale il sorgere di una entità statale curda. Gli articoli 62, 63, 64 disponevano la costituzione a Costantinopoli di una commissione interalleata (composta da un membro italiano, francese, inglese), alla quale veniva affidato il compito di elaborare un progetto di autonomia locale nelle regioni in cui era predominante l'elemento curdo. Secondo tali disposizioni il Kurdistan dopo un preliminare periodo di autonomia, e dopo l’esame e il consenso del Consiglio della Società delle Nazioni, sarebbe dovuto divenire uno Stato cuscinetto a ridosso della Turchia, Armenia, Persia, Mesopotamia e Siria.

Giannini49 ipotizza che il Kurdistan, una volta conseguita l’indipendenza, avrebbe

potuto essere sottoposto a mandato, consentendo in questo modo all’eventuale Potenza mandataria di rivestire un ruolo preminente in Asia Minore. Con molta probabilità la scelta di condurre verso la piena indipendenza un eventuale Stato curdo sarebbe

49 M. Giannini, L’ultima fase della questione orientale (1913-1939), Istituto per gli Studi di Politica

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ricaduta sull’Inghilterra, già presente nella zona, con la possibilità di estendere la propria egemonia su tutto il Vicino e Medio Oriente.

Secondo Jasim Tawfik, il trattato poneva diversi ostacoli e condizioni all’indipendenza curda quindi non risolveva assolutamente il problema, ma anzi disperdeva ancora di più il popolo curdo. A parere dell’autore il Trattato «non è stato solamente profondamente ingiusto ed umiliante per la Turchia, ma lo è stato anche per il popolo curdo50».

Quello che sarebbe dovuto essere il momento più alto delle aspirazioni indipendentiste curde, conteneva già in sè i fattori del fallimento dello stesso progetto di creazione statale. Innanzitutto, come già citato, il trattato che le Potenze europee firmarono con l’Impero Ottomano interessava solamente un governo, quello di Costantinopoli; inoltre il Kurdistan a cui faceva riferimento il trattato era già di per sé mutilato di buona parte del proprio territorio: secondo i disegni britannici tutta la regione meridionale era già parte del nascente Iraq, mentre le aree sotto controllo persiano rimanevano sotto l’autorità dell’Iran. Se per i kemalisti a Sèvres si complottò per mettere a tacere le aspirazioni nazionali turche, allo stesso tempo per i curdi rappresentò quella che comunemente viene definita come una “vittoria mutilata”.

Tre anni dopo le potenze europee si trovarono a contrattare con Atatürk e sacrificarono senza troppe esitazioni la causa curda al fine di una nuova pace nell’area. L’accordo del 1920 fu annullato con la vittoria kemalista contro greci ed europei, al suo posto si ebbe la firma del Trattato di Losanna del 24 luglio 1923, con cui la Turchia ottenne il ritorno ai confini del 1918 e la totale liberazione dall’occupazione straniera. Il Trattato di privò i curdi, come gli armeni, di qualsiasi tipo di autonomia, autodeterminazione e diritto, principalmente per colpa delle potenze europee. Gli articoli 37-45, sezione III, riguardavano la protezione delle minoranze e il diritto di usare la propria lingua nelle relazioni private, commerciali, nei tribunali, nella stampa, nelle scuole primarie; il riconoscimento di questi diritti sembravano tutelare il popolo curdo ma lo stesso art. 44 precisava che queste concessioni erano diretta ai soli sudditi non musulmani della Turchia51. Sulla base di questo articolo non fu riconosciuta

50J. Tawfik, Kurdi, op. cit., p.111 51 W. Jwaideh, op. cit., p.118.

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l’indipendenza o l’autonomia del popolo curdo. Il nuovo assetto del Kurdistan fu l’ennesima divisione in cinque parti, controllate rispettivamente da Gran Bretagna (Iraq), Iran, Francia (Siria), Turchia e URSS. I curdi in Turchia sarebbero rientrati nel confine del nuovo Stato turco: nasceva in questo istante quella che ancora oggi viene percepita come «la questione curda».

4. La Turchia di Atatürk

Il nazionalismo turco, manifestatosi nella sue forma più estrema con Mustafa Kemal Atatürk e supportato da una base ideologica che da questi prese il nome, il kemalismo, fu uno dei fattori che determinò il vanificarsi degli sforzi del movimento curdo.

Atatürk, fu a capo del movimento nazionale turco sin dal 1919 e il processo di

national-building che innescò si trasformò ben presto in un importante strumento di consenso.

Intuendo i possibili sviluppi delle conferenze di pace, promosse un’ampia campagna propagandistica al fine di ottenere, inizialmente, il sostegno di tutti i sudditi ottomani. L’Islam, che era Stato per secoli il fattore aggregante dell’Impero, fu funzionale al suo scopo: attraverso l’immagine del Califfo i nazionalisti turchi poterono contare su una massiccia adesione popolare alla loro causa, creando le basi per affermare la loro supremazia. Non a caso i citati Congressi di Erzerum e Sivas, che segnarono l’inizio della campagna nazionalista, si aprirono entrambi con preghiere, si enfatizzò la figura del Califfo, preda degli stranieri, e si proclamò la difesa dei territori musulmani dagli invasori52

I turchi ben presto si resero conto che, per consolidare il potere, dovevano assicurarsi l’appoggio dell’unica minoranza etnica rimasta nel territorio definito dall’armistizio di Mudros, i curdi. Il sentimento religioso fu quindi utilizzato per manipolare una parte dei curdi e dissuaderli dal sostenere chi, all’epoca, rivendicava l’indipendenza del Kurdistan, consentendo in tal modo a Mustafa Kemal di arginare il pericolo di una vasta insurrezione che avrebbe reso vani i suoi progetti e portato all'insuccesso il movimento di resistenza turco53.

52 H. Bozarslan, La Turchia contemporanea, il Mulino, Bologna, 2006, p.38. 53 Ivi.

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L’enfasi sulla religione era evidente anche nell’adozione il 28 gennaio 1920 del documento noto come Misak-i Milli o patto nazionale, approvato dall’ultimo mandato del Parlamento ottomano. Questo rappresentò una vera e propria dichiarazione d’indipendenza, in cui non si menzionava la parola Turchia e dove vi erano numerosi richiami alla Nazione, ma non intesa nel senso occidentale del termine, bensì identificandola nella Umma54. Quando venne nominato Presidente dell’Assemblea Nazionale, Kemal sostenne che lo scopo del suo mandato era la restituzione dell’indipendenza alla Nazione ottomana, definendo la Nazione stessa quale insieme di tutti gli elementi musulmani presenti nei confini stabiliti nel Patto nazionale. La propaganda di Kemal nel giro di pochi anni cambiò faccia, gli avvenimenti internazionali, l’appoggio delle Potenze europee e le mire imperialistiche dello stesso, radicalizzarono il suo pensiero: la nazione turca non venne più intesa come la comunità religiosa di tutti i musulmani, ma si identificò con coloro che vivevano nei territori turchi: Kemal e i suoi seguaci volevano formare una nuova identità nazionale, capace di surrogare ciò che in passato aveva rappresentato l’Islam per l’Impero Ottomano. Questo progetto politico aveva comunque bisogno di un ampio e consolidato consenso, per poter essere maggiormente incisivo e diventare esecutivo. Le elezioni del 1923 videro l’affermazione della compagine kemalista, comportò l’avvio di una fase contrassegnata da riforme radicali, accompagnate da un intenso sforzo mirato a creare un’identità nazionale. Il nuovo regime instaurato dai kemalisti era supportato da una base ideologica intrisa di un forte sentimento di rivalsa, provocato dalle profonde umiliazioni patite dai turchi nel periodo successivo alla prima guerra mondiale.

La vera svolta si ebbe con la vittoria della guerra d’indipendenza, legittimata dalla firma del trattato di Losanna, avvenimenti che condussero ad un tipo di nazionalismo arrogante e sprezzante nei confronti dei non turchi, che in seguito si tradusse in un’aperta discriminazione. Mustafa Kemal e i suoi seguaci si convinsero che per poter forgiare una nuova identità nazionale fosse necessario intraprendere una serie di riforme, atte ad uniformare ogni settore della vita pubblica, come l’introduzione di un nuovo sistema educativo e l’abolizione del Califfato. Nel 1924 alla soppressione del Califfato seguì una legge che impose la chiusura delle scuole religiose, l’interdizione di

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