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L’ampia portata della norma: quattro tipi di violazione

LA TORTURA NELLA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

6. L’ampia portata della norma: quattro tipi di violazione

Il divieto di cui all’art. 3 della Convenzione tutela un diritto fondamentale non suscettibile di deroghe, assoluto: un diritto quindi che – con alcuni altri – costituisce una sorta di ‘nocciolo duro’ della Convenzione98. Come accennato

supra99, da questa centralità del divieto di tortura deriva una certa disponibilità

della Corte a darne un’interpretazione ampia: le condanne per violazione dell’art. 3 abbracciano casi in cui lo Stato convenuto non si è reso direttamente autore dei maltrattamenti. Proprio nella giurisprudenza relativa al divieto di tortura è nata la tecnica di protezione cd. par ricochet, che consente di condannare anche pratiche che non rientrerebbero direttamente nella sfera di applicazione della norma100. In questo modo, all’interno del genus del divieto, si vengono a delineare quattro diverse specie di violazione della norma101:

1. Violazioni dirette. Sono ovviamente vietati i maltrattamenti compiuti direttamente dallo Stato, attraverso i suoi organi, su un privato cittadino. Si tratta di quei comportamenti che rientrano già nel campo di applicazione della norma nella sua interpretazione più stretta.

97

Saadi c. Italia, cit., §§ 143 e 146.

98

V. supra, paragrafo 2.

99

V. supra, paragrafo 3.3.

100

A. ESPOSITO., Proibizione della tortura,cit., p.55.

101

2. Violazioni dirette di secondo grado. Sono proibite anche condotte lesive operate da organi non statali, ma collegati all’apparato pubblico (perché rispondono allo Stato o ne sostituiscono le funzioni). Ma sono violazioni dirette di secondo grado anche i maltrattamenti compiuti interprivatamente, poiché lo Stato ha l’obbligo positivo di prevenire, prima, e sanzionare, poi, comportamenti dei privati cittadini che integrino atti di tortura o trattamenti o pene inumani o degradanti102. La Corte rilevò la responsabilità di uno Stato per violazioni dell’art. 3 commesse da privati per la prima volta nel 1998, in relazione al caso A. c. Regno Unito. L’anonimo ricorrente era un minore che aveva subito gravi percosse dal patrigno; la legislazione vigente nel Regno Unito qualificava come ragionevole la punizione inflitta, così comportando il proscioglimento dell’autore. La Corte rispose con una sentenza che limpidamente affermava l’esistenza di una responsabilità dello Stato per non aver impedito né punito i maltrattamenti interprivati: “in combinato disposto con l’art. 3, l’obbligo che l’art. 1 della Convenzione pone a carico delle Alte Parti contraenti di garantire ad ogni persona soggetta alla loro giurisdizione i diritti e le libertà sanciti nella Convenzione impone loro di adottare tutte le misure idonee ad impedire che le suddette persone siano sottoposte a torture o a pene o a trattamenti inumani o degradanti, anche se inflitti da privati cittadini”103.

3. Violazioni indirette. Dal leading case Soering c. Regno Unito104 discende un dovere dello Stato di non estradare, espellere o comunque allontanare chi, nello Stato di destinazione, sarà o rischierà di essere sottoposto a trattamenti contrari all’art. 3 della Convenzione.

Rinviando al paragrafo 3.1.3 per un racconto più dettagliato della vicenda vissuta dal ricorrente, basti qui ricordare che Jene Soering aveva commesso un duplice

102

A. ESPOSITO., Proibizione della tortura,cit., p.63. V. infra, paragrafo 7.2, in merito agli obblighi positivi che gravano sullo Stato.

103

A. c. Regno Unito, cit., § 22. Cfr., per una più ampia analisi del caso, B. EMMERSON-A. ASHWORTH, Human rights and criminal justice, London, 2001, pp. 538 ss. Cfr. anche C. eur. dir. uomo, sent. 14 dicembre 2010, Milanovic c. Serbia, in cui le autorità non avevano assunto le misure necessarie ad impedire che il ricorrente fosse per l’ennesima volta vittima di aggressioni motivate da odio religioso.

104

Soering c. Regno Unito, cit.. A. ESPOSITO., Proibizione della tortura,cit., pp. 65 ss; F. TRIONE, Divieto e crimine di tortura, cit., pp. 43 ss.

omicidio premeditato negli Stati Uniti, in Virginia, in cui il codice penale prevedeva per questo reato la pena di morte. Aveva poi confessato il delitto mentre si trovava in stato di detenzione nel Regno Unito. A seguito di una richiesta di estradizione avanzata del Governo statunitense, le autorità britanniche – che non avevano ottenuto dagli Stati Uniti sufficienti garanzie in merito alla non esecuzione della pena di morte sul signor Soering – disposero l’estradizione. Tuttavia, ne sospesero l’esecutività in attesa della pronuncia della Corte di Strasburgo, nel frattempo adita. I giudici europei dichiararono che il Regno Unito avrebbe commesso violazione dell’art. 3 in caso di esecuzione dell’estradizione verso gli USA.

La sentenza è significativa in merito alla qualificazione della pena di morte come trattamento inumano e degradante, come esposto supra105. Inoltre, ed è ciò che qui interessa, ha permesso di evidenziare la responsabilità indiretta dello Stato estradante (nel caso di specie, il Regno Unito), per un maltrattamento che potrebbe essere compiuto dallo Stato di destinazione (nel caso di specie, gli Stati Uniti). Nella sentenza, la Corte ricorda come l’art. 3 della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura stabilisca che l’estradizione di un latitante verso un altro Stato, dove rischierà di subire maltrattamenti vietati, comporta di per sé responsabilità dello Stato estradante contraente106. La Corte prosegue così: “Dal fatto che un trattato specifico in materia enunci dettagliatamente un obbligo preciso, a cui si accompagna il divieto di tortura, non deriva che un obbligo sostanzialmente analogo non possa dedursi dalla formulazione generale dell’art. 3 della Convenzione europea. [...] agli occhi della Corte, l’obbligo implicito di non estradare si estende anche al caso in cui il latitante rischierebbe di subire nello Stato di destinazione pene o trattamenti inumani o degradanti vietati dal predetto articolo. [...] Riassumendo, tale decisione può sollevare un problema rispetto all’art. 3, quindi impegnare la responsabilità di uno Stato contraente sulla base della Convenzione, quando vi sono motivi seri ed accertati per credere che l’interessato, se consegnato allo Stato richiedente, vi correrà un rischio reale di

105

V. supra, paragrafo 3.1.3.

106

Art. 3 Conv. ONU contro la tortura: “Nessuno Stato parte [...] estraderà una persona verso un altro Stato ove vi sono motivi seri di credere che rischi di essere sottoposta a tortura”.

essere sottoposto a tortura o a pene o trattamenti inumani o degradanti”107.

È importante rilevare che si prescinde totalmente dal fatto che lo Stato di destinazione sia direttamente responsabile o meno di una violazione del diritto internazionale generale, di convenzioni internazionali o della stessa CEDU, per la commissione dei maltrattamenti. Se lo Stato che è estrada è uno Stato contraente, e il suo atto di allontanamento costituisce condicio sine qua non per l’esposizione dell’individuo al pericolo reale di subire atti di tortura, questo basta perché si renda responsabile alla luce della Convenzione, poiché commette “un atto che ha per risultato diretto l’esporre qualcuno ai maltrattamenti proibiti”108. Lo Stato contraente che estrada si sottrae a una condanna della Corte solo non disponendo (o non eseguendo) l’estradizione: si può quindi parlare di un particolare obbligo negativo di astensione che discende dall’art. 3109.

Dopo il caso Soering c. Regno Unito, la giurisprudenza europea si è sempre mantenuta costante su questi principii, affermando, anche di recente, che “the

Court cannot accept the argument of the [...] respondent Government, that a distinction must be drawn under Article 3 between treatment inflicted directly by a signatory State and treatment that might be inflicted by the authorities of another State [...]. Since protection against the treatment prohibited by Article 3 is absolute, that provision imposes an obligation not to extradite or expel any person who, in the receiving country, would run the real risk of being subjected to such

treatment.”110

È interessante notare come lo stesso iter argomentativo sia applicato dalla Corte in casi in cui non si assiste a una vera estradizione, ma piuttosto a episodi di

extraordinary renditions, ossia deportazioni clandestinamente eseguite nei

confronti di soggetti sospettati di atti di terrorismo111.

107

Soering c. Regno Unito, cit., §§ 88 e 91.

108

Soering c. Regno Unito, cit., § 91.

109

V. infra, paragrafo 7.1.2.

110

Saadi c. Italia, cit., § 138. Sullo stesso tema, cfr. anche C. eur. dir. uomo, sent. 20 luglio 2010, N. c. Svezia; C. eur. dir. uomo, sent. 20 luglio 2010, A. c. Paesi Bassi; C. eur. dir. uomo, sent. 13 luglio 2010, Dbouba c. Turchia; C. eur. dir. uomo, sent. 21 ottobre 2010, Gaforov c. Russia; C. eur. dir. uomo, sent. 4 novembre 2010, Sultanov c. Russia.

111

Cfr. C. eur. dir. uomo, sent. 23 settembre 2010, Iskandarov c. Russia, in cui il ricorrente è stato rapito e trasferito dalla Russia in Tagikistan a dispetto del rischio di essere lì sottoposto a maltrattamenti a causa della sua attività politica.

4. Violazioni indirette di secondo grado112. L’applicabilità del divieto di tortura alle espulsioni (numero 3), combinata con la dimensione orizzontale interprivata dello stesso (numero 2), porta alla configurazione di una quarta tipologia di violazioni, che si realizzano quando dall’allontanamento della persona derivi un rischio che nel Paese di destinazione la stessa sia sottoposta a maltrattamenti da parte di cittadini privati113.

Il leading case in materia è costituito dal caso H.L.R. c. Francia114 del 1997. Il ricorrente sosteneva che, se fosse stato espulso verso la Colombia, suo Paese di origine, sarebbe stato esposto alla vendetta dei trafficanti di droga, che l’avevano reclutato come corriere, tenuto conto del fatto che le informazioni fornite dal signor H.L.R. allo Stato francese sui suoi mandanti avevano permesso l’identificazione e la condanna degli stessi. I giudici di Strasburgo risposero al ricorso affermando che, “dato il carattere assoluto del diritto garantito, la Corte non esclude che l’art. 3 si applichi anche quando il pericolo provenga da individui o gruppi di individui che non svolgono funzioni pubbliche”115. È dunque ammessa astrattamente la possibilità che la Francia si renda responsabile per un atto che comporta maltrattamenti solo in modo indiretto (come conseguenza dell’espulsione) e solo da parte di privati116.

Le quattro possibili specie di violazione, nell’ordine in cui sono esposte, comportano un allontanamento sempre maggiore dal significato stretto della norma convenzionale, e quindi una protezione sempre crescente accordata alla persona. A questa ampiezza nella tutela fa da contrappeso la severità sempre maggiore con cui la Corte valuta la prova fornita e il superamento della soglia minima di gravità necessaria ad una condanna117. Mentre per una responsabilità diretta dello Stato chiamato in causa è facile che il ricorrente possa giovarsi di presunzioni e che

112

F. TRIONE, Divieto e crimine di tortura, cit., pp. 43 ss.

113 Ivi, p. 54. 114 HLR c. Francia, cit. 115 Ivi, § 40. 116

La Corte non riscontrò però concretamente le violazione nel caso di specie, poiché non era sufficientemente provato il reale pericolo a cui veniva esposto il ricorrente attraverso l’espulsione. Cfr. supra, paragrafo 5.2.1 e infra, in questo stesso paragrafo.

ottenga protezione anche da maltrattamenti lievi; di fronte a una violazione solo indiretta o solo orizzontale o sia indiretta sia orizzontale dell’art. 3, viene richiesta una prova piena, parametrata allo standard dell’“oltre ogni ragionevole dubbio”, e la presenza di un maltrattamento (compiuto o potenziale) molto grave.

Ne è una conferma il fatto che per le violazioni indicate al numero 4 la Corte richiede che lo Stato parte sia a conoscenza dell’esistenza di un pericolo reale, che non sarebbe corso senza l’allontanamento del ricorrente; il pericolo, inoltre, deve essere attuale, effettivo, e riguardare personalmente la vittima118. Per queste ragioni il signor H.L.R. non ha trovato tutela a Strasburgo: a parere dei giudici europei esiste astrattamente una tutelabilità contro allontanamenti che comportino maltrattamenti da parte di privati, ma “occorre ancora dimostrare che il rischio esista davvero e che le autorità dello Stato di destinazione non siano in grado di ovviarvi attraverso una protezione adeguata”119. Dai paragrafi seguenti della sentenza emerge chiaramente un atteggiamento rigidissimo della Corte in merito: “la Corte può solo constatare la situazione generale di violenza esistente nel paese di destinazione. [...] Le prove [...] forniscono informazioni sul clima teso in Colombia ma non contengono alcuna indicazione sull’esistenza di situazioni analoghe a quella di H.L.R. Se talvolta, in caso di delazioni, i narcotrafficanti cercano di vendicarsi, nessun elemento pertinente prova, in relazione a H.L.R., l’effettività del preteso rischio. Le lettere di sua zia [che lo informavano del fatto che il suo mandante era libero e ansioso di vendicarsi, N.d.A.] non sono, di per sé, sufficienti a concretare la minaccia. [...] La Corte non ignora le difficoltà incontrate dalle autorità colombiane per arginare la violenza. Dal canto suo, il ricorrente non ha dimostrato che tali autorità sono incapaci di offrirgli una protezione adeguata”120. In conseguenza di questa severa valutazione, i giudici europei hanno ritenuto conforme alla Convenzione l’espulsione del ricorrente.

Va però dato atto del fatto che – in generale – il pensiero della Corte di Strasburgo si evolve nel tempo in senso sempre più severo nei confronti degli Stati e – parallelamente – sempre meno esigente rispetto agli individui ricorrenti. Operando

117

F. TRIONE, Divieto e crimine di tortura, cit., pp. 43 ss.

118

Ivi, p. 73.

119

un confronto tra la sentenza relativa al caso H.L.R. c. Francia121 (del 1997) e quella relativa al caso (molto più recente, datato 2008) Saadi c. Italia122, entrambe relative a violazioni indirette – rispettivamente di secondo e di primo grado – dell’art. 3, emerge con chiarezza come la tutela europea venga concessa oggi in presenza di elementi probatori che in passato non erano ritenuti sufficienti123. La differenza di trattamento nei due casi non sembra potersi giustificare solo alla luce della considerazione del diverso tipo di violazione: il gap è così marcato da essere sintomo di una vera trasformazione evolutiva nella valutazione della prova.