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LA TORTURA NEGLI STANDARD DEL COMITATO EUROPEO PER LA PREVENZIONE DELLA TORTURA

2. L’uso dei termini

Su un piano squisitamente teorico, nell’uso dei termini – quali «tortura», «maltrattamenti», «inumano», «degradante» – il CPT, non essendo un organo giudiziario, non è legato né alla formulazione letterale dell’art. 3 CEDU, né all’interpretazione fiorita in seno alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo. Anzi, non avendo funzioni di applicazione delle norme, non è nemmeno obbligato a qualificare le pratiche che riscontra negli Stati sussumendole nei diversi tipi di violazione.

Tuttavia, nella pratica, i termini utilizzati assumono un’importanza non trascurabile. Innanzitutto, tra Comitato e Corte esiste un rapporto bidirezionale, per cui il primo è guidato dalla seconda, ma a sua volta le fornisce stimoli per

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1st General Report, CPT/Inf (91) 3, § 96.

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CPT/Inf/E 2002.

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R.MORGAN - M.D.EVANS (a cura di), Protecting prisoners, cit., p. 31.

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Per l’analisi degli standard, è stato seguito l’ordine di esposizione studiato da Morgan e Evans in numerosi loro scritti sul tema, in particolare: R.MORGAN - M.D.EVANS, The European Convention for the prevention of torture, in International and Comparative law quarterly,, 1997, pp. 663 ss., M. D.EVANS –R.MORGAN, Preventing torture. A study of the European Convention for the Prevention of Torture and Inhuman or Degrading Treatment or Punishment, Oxford 1998; R.MORGAN - M.D. EVANS (a cura di), Protecting prisoners, cit.; R.MORGAN –M.EVANS, The CPT’s standards on police and pre-trial custody, in ASSOCIATION FOR THE PREVENTION OF TORTURE (a cura di) The Prevention of Torture in Europe, Ginevra 2001; R. MORGAN – M. EVANS, CPT standards regarding prisoners, in ASSOCIATION FOR THE PREVENTION OF TORTURE (a cura di) The Prevention of Torture in Europe, Ginevra 2001;R.MORGAN –M.EVANS, Combating torture in Europe. The work and standards of the European Committee for the Prevention of Torture, 2006. Nelle note seguenti, a fronte di contenuti identici, citerò solo le fonti più recenti.

l’applicazione dell’art. 3 CEDU; quindi il linguaggio utilizzato dai due organi necessita di un minimo di omogeneità. In secondo luogo, ai destinatari ed ai lettori dei rapporti elaborati dal CPT preme capire se è stato rilevato in concreto un comportamento passibile di condanna ai sensi dell’art. 3 CEDU. Per queste ragioni è importante considerare in che modo il Comitato ha utilizzato le parole «tortura» e «trattamento inumano e degradante» nei suoi rapporti9.

2.1. La tortura e i maltrattamenti.

Il Comitato per la prevenzione della tortura riconosce che la tortura e i maltrattamenti possono essere sia fisici che psicologici, sia effettivi che minacciati; ma raramente ha utilizzato il termine «tortura» nei suoi rapporti10.

Quando lo ha fatto, la parola era spessissimo associata all’espressione «severe

ill-treatment»11. Il significato che il CPT intende attribuire a questa locuzione, che non

appare né nell’art. 3 CEDU, né nei lavori della Corte europea, non è chiaro. Potrebbe trattarsi di un eufemismo per parlare di tortura; forse invece comprende un’area ampia che abbraccia, oltre alla tortura, anche i trattamenti inumani più gravi; o – infine – si riferisce a una terza condotta di mezzo, più grave dei trattamenti inumani, ma meno grave della tortura12.

Anche l’uso dello stesso termine «tortura» appare impreciso. Ad esempio, nonostante il Comitato abbia accertato, in Stati diversi, condotte analoghe (quali pestaggi, colpi sulle piante dei piedi ovvero falaka, soffocamenti, scariche elettriche, sospensioni), i rapporti relativi alle visite in alcuni di questi Stati (come Bulgaria13 e Romania14) parlano di «tortura», mentre i rapporti sui sopralluoghi in altri Paesi (come Polonia15 e Ungheria16) non usano questo termine. Le ragioni alla base di questa incostanza potrebbero essere molteplici. Questi ultimi Stati potrebbero aver fornito delucidazioni soddisfacenti sull’impiego di determinate

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R.MORGAN –M.EVANS, Combating torture in Europe, cit., p. 59.

10 Ivi, p. 60. 11 Ibidem. 12 Ibidem. 13 CPT/Inf (97) 1 (Bulgaria), § 27. 14 CPT/Inf (98) 5 (Romania), § 22. 15 CPT/Inf (98) 13 (Polonia). 16 CPT/Inf (96) 5 (Ungheria).

pratiche17. Oppure i maltrattamenti erano solo sospettati ma non accertati, in quanto gli indizi relativi erano insufficienti o potevano essere spiegati con l’uso legittimo della forza (si pensi ai segni sul corpo provocati da calci e pugni, che possono apparire anche a seguito di un arresto particolarmente violento)18.

Trascurando le eccezioni evidenziate, e volendo estrapolare dai rapporti la portata più o meno costantemente attribuita dal CPT al termine «tortura», questa comprende l’intenzionale inflizione di intenso dolore, con lo scopo di estorcere informazioni o confessioni o per intimidire o umiliare la vittima. In genere sono coinvolte tecniche speciali (come la sospensione o la falaka) o strumenti speciali (come la strumentazione per l’elettro-shock) o particolari forme di preparazione (come il bendaggio della vittima o la copertura del volto del torturatore, perché non venga riconosciuto)19. Difficilmente invece i rapporti classificano espressamente come tortura quei maltrattamenti che non presentano i citati elementi tangibili di premeditazione e intenzionalità (come le percosse semplici), perché questi potrebbero essere stati inflitti durante un episodio di uso legittimo della forza, ovvero a causa di un momentaneo impulso incontrollato d’ira20.

2.2. I trattamenti inumani o degradanti.

La locuzione «trattamenti inumani o degradanti», come si è visto21, viene usata dalla Corte europea per descrivere condotte analoghe alla tortura, ma meno gravi di essa: così, i «trattamenti degradanti», i «trattamenti inumani» e la «tortura» si vengono a trovare, in quest’ordine, lungo un continuum di gravità crescente. Nel linguaggio del CPT, invece, i maltrattamenti meno gravi della tortura vengono chiamati semplicemente «ill-treatments». Le parole «trattamenti inumani o degradanti» descrivono piuttosto aree grigie, ibride, in cui la sofferenza dei

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Ciò sarebbe certamente in linea con la natura preventiva, di dialogo e collaborazione spontanea, del lavoro che il CPT cerca di instaurare con gli Stati: R.MORGAN –M.EVANS, Combating torture in Europe, cit., p. 63. 18 Ivi, p. 61. 19 Ivi, pp. 60, 63. 20

Tuttavia, è legittimo aspettarsi che la spinta evolutiva propria sia della Corte europea, sia del Comitato, renderà la soglia di gravità necessaria per parlare di tortura via via più bassa: ivi, p. 63.

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prigionieri è provocata dalla negligenza e dalla disorganizzazione pratica delle condizioni di detenzione, anziché dalla volontà di infliggere sofferenza22.

Il Comitato ha adottato una visione cumulativa degli standard che devono essere garantiti nella vita carceraria, così che elementi di disagio che – presi singolarmente – sarebbero accettabili, se si presentano in associazione con altre privazioni assurgono a trattamento inumano. Ad esempio, se viene riscontrato un solo elemento tra sovraffollamento, mancanza di igiene, di luce, di aria, eccessivo isolamento dal mondo esterno, la condizione è di solito valutata come tollerabile. Diventa inumana se sono compresenti due o più situazioni tra quelle elencate23. Un caso a sé stante di trattamento inumano è costituito dall’isolamento che nei Paesi scandinavi è imposto agli imputati, per impedire che – attraverso i collegamenti con l’esterno del carcere o con gli altri detenuti – possano inquinare gli elementi probatori o esercitare pressioni o intimidazioni su soggetti coinvolti nel processo. Anche se la segregazione non è realizzata allo scopo di infliggere una sofferenza psicologica o di spingere l’imputato alla cooperazione, queste sono le conseguenze che normalmente comporta24. Quindi, il CPT ha specificato che “solitary confinement can, in certain circumstances, amount to inhuman and

degrading treatment”25.

Un’ultima particolare sfumatura di linguaggio usata nei rapporti del CPT merita un’osservazione: spesso il Comitato si riferisce a certe condizioni detentive, dicendo che esse «potrebbero» integrare un trattamento inumano e degradante26. Generalmente, questa formulazione può indicare due circostanze: in alcuni casi, essa riguarda condizioni che si avvicinano solamente a quelle considerate inumane e degradanti (perché presentano solo alcuni elementi del maltrattamento e non altri); in altri casi intende evidenziare il fatto che le condizioni di privazione e

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R.MORGAN –M.EVANS, Combating torture in Europe, cit., p. 63.

23

Ivi, p. 64.

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V. CPT/Inf (91) 12 (Danimarca), § 25; CPT/Inf (97) 11 (Norvegia), § 29.

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2nd General Report, CPT/Inf (92) 3, § 56. Tuttavia, non l’ha qualificato come tale nei casi citati di Danimarca e Norvegia, raccomandando solo l’adozione di alcune garanzie procedurali: l’autorizzazione giudiziaria, una precisa motivazione, la periodica revisione della misura, una durata comunque ridotta della stessa, la presenza di contatti con il personale carcerario e la possibilità di svolgere attività fuori dalla cella. R.MORGAN –M.EVANS, Combating torture in Europe, cit., pp. 64-65.

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disagio di cui si parla sono solo sospettate ma non accertate, e che – se fossero provate – integrerebbero un trattamento inumano e degradante27. Si può presumere, inoltre, che, nei casi dubbi, il CPT eviti di sbilanciarsi in una qualificazione esplicita, per non incorrere in contrasti interpretativi con la Corte di Strasburgo. Infine, quando il Comitato parla di condizioni solo «degradanti», non indica tanto una forma meno grave di condizioni inumane, quanto pratiche che hanno uno spiccato carattere umiliante28. Più volte, ad esempio, l’espressione è stata usata per descrivere situazioni in cui la vittima era costretta a defecare in presenza di altre persone29.

2.3. Conclusioni.

Sembra, in conclusione, che il CPT usi i termini «tortura» e «inumani e degradanti» in modo ramificato, per indicare forme diverse di maltrattamento. Mentre la CEDU ne fa un uso lineare, ponendo i trattamenti degradanti, i trattamenti inumani e la tortura lungo un continuum di gravità crescente, il Comitato usa i diversi termini per riferirsi a lesioni di diversa natura.

I maltrattamenti fisici intenzionali più gravi costituiscono «tortura». Le sofferenze inflitte intenzionalmente che sono meno gravi della tortura non vengono chiamate «trattamenti inumani e degradanti» (come accadrebbe in una sentenza della CEDU), ma «severe ill-treatments». I disagi ambientali (involontari) sono etichettati come «inumani»; le situazioni umilianti sono invece descritte come «degradanti»; le carenze ambientali o le circostanze avvilenti che non sono sufficientemente gravi da integrare un trattamento inumano o degradante sono etichettate come «inaccettabili» o «inammissibili» o si dice che «potrebbero» essere descritte come inumani o degradanti30.