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LA TORTURA NELLA GIURISPRUDENZA DEL COMITATO ONU PER I DIRITTI UMANI

1. Premessa.

Il Comitato ONU per i diritti umani (o Human Rights Committee, HRC) è l’organo istituito specificamente allo scopo di sorvegliare sulla corretta applicazione del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici del 1966 (o

International Covenant on Civil and Political Rights, ICCPR)1. Dalla sua sede di

Ginevra, il Comitato esercita il controllo sugli Stati, sia esaminando i rapporti periodici inviati da Paesi membri sullo stato di attuazione degli obblighi, sia esaminando le comunicazioni interstatuali, sia – se lo Stato convenuto è firmatario del Protocollo facoltativo al Patto – ricevendo ricorsi individuali2.

Un’analisi della sua giurisprudenza è indispensabile per comprendere appieno la portata del divieto di tortura contenuto nell’art. 7 del Patto, che recita: “Nessuno può essere sottoposto a tortura né a punizioni o trattamenti crudeli, disumani o degradanti. In particolare, nessuno può essere sottoposto, senza il suo libero consenso, ad un esperimento medico o scientifico”.

In realtà, nonostante il divieto di tortura sia sancito dall’art. 7 ICCPR, nei paragrafi che seguono non mancheranno rilievi giurisprudenziali relativi anche al complementare art. 10 ICCPR3. Quest’ultima disposizione, infatti, ponendo garanzie relative al trattamento delle persone in vinculis, spesso nella pratica affianca e completa il divieto di tortura, permettendo un’adeguata tutela dei prigionieri anche di fronte a maltrattamenti non sufficientemente gravi da integrare una violazione dell’art. 7. Esso prevede infatti che: “1) Qualsiasi individuo privato della propria libertà deve essere trattato con umanità e col rispetto della dignità inerente alla persona umana. 2) a) Gli imputati, salvo circostanze eccezionali, devono essere separati dai condannati e sottoposti ad un trattamento diverso,

1

V. supra, capitolo I, paragrafo 1.9.

2

C.ZANGHÌ, La protezione internazionale dei diritti dell’uomo, Torino, 2006, pp. 85, 99-100; C. DEFILIPPI -D.BOSI (a cura di), Codice dei diritti umani, Napoli, 2001, p. 223; M.R.SAULLE, Dalla tutela giuridica all’esercizio dei diritti umani, Napoli, 1999, p. 29.

3

consono alla loro condizione di persone non condannate; b) gli imputati minorenni devono essere separati dagli adulti e il loro caso deve essere giudicato il più rapidamente possibile. 3) Il regime penitenziario deve comportare un trattamento dei detenuti che abbia per fine essenziale il loro ravvedimento e la loro riabilitazione sociale. I rei minorenni devono essere separati dagli adulti e deve essere loro accordato un trattamento adatto alla loro età e al loro stato giuridico”. A ben vedere, l’art. 10 ICCPR non contiene norme esterne e ulteriori rispetto al divieto di tortura in senso lato. Infatti, come è possibile notare da un confronto con i capitoli II e III, in seno al Consiglio d’Europa gli stessi principi sanciti dall’art. 10 ICCPR, che legano tra loro il diritto alla libertà (art. 5 CEDU e art. 9 ICCPR) e il diritto all’integrità personale (art. 3 CEDU e art. 7 ICCPR)4, si sono fatti derivare creativamente dallo stesso art. 3 CEDU.

Va anticipato che l’analisi della giurisprudenza dello HRC deve essere letta in parallelo con un esame dell’attività giudiziaria del Comitato contro la tortura (CAT) – di cui si tratterà infra in questo capitolo – per diverse ragioni. In primo luogo, i due treaty bodies non sono reciprocamente indifferenti: sono nati in seno alla stessa realtà internazionale (quella delle Nazioni Unite) e si riferiscono spesso l’uno all’altro, cercando – se possibile – di non contraddirsi a vicenda. In secondo luogo, il Comitato per i diritti umani attinge spesso alla Convenzione contro la tortura (il documento che ha dato vita al CAT), poiché questa – essendo uno strumento dedicato esclusivamente alla lotta ai maltrattamenti – fornisce all’interprete definizioni e obblighi dettagliati, che al Patto mancano.

Un’ultima premessa è doverosa, per spiegare la ragione di alcune incertezze che si incontreranno nel corso del capitolo. La giurisprudenza che ci si accinge a studiare risulta spesso astratta, contraddittoria, confusa e lacunosa, lontana dai ragionamenti approfonditi e lineari a cui ci abitua la Corte di Strasburgo. Già pareri più autorevoli del mio hanno evidenziato le difficoltà che questo approccio dello HRC causa ai tentativi di analisi sistematica del tema5, ma si cercherà ovviamente di

4

M.NOWAK, U.N. Covenant on Civil and Political Rights, CCPR Commentary, Kehl-Strasburgo-Arlington, 1993, pp. 183 ss.

5

V., ad es., S.JOSEPH-J.SCHULTZ-M.CASTAN, The International Covenant on Civil and Political Rights. Cases, materials, and commentary, 2^ ed., Oxford, 2003, pp. 215 ss; D.MCGOLDRICK, The Human Rights Committee. Its Role in the Development of the International Covenant on Civil and

focalizzare l’attenzione sulla parte di giurisprudenza, sicuramente presente, più costante e affidabile.

2. La portata assoluta della proibizione.

La portata assoluta della proibizione di cui all’art. 7 è espressamente sancita dall’art. 4 ICCPR e dall’attività interpretativa dello HRC.

L’art. 4.1 del Patto garantisce agli Stati Parte il diritto di adottare misure in deroga ai diritti tutelati dall’ICCPR “[i]n caso di pericolo pubblico eccezionale, che minacci l’esistenza della nazione e venga proclamato con atto ufficiale”. Il paragrafo successivo, però, si affretta ad aggiungere che “[l]a suddetta disposizione non autorizza alcuna deroga agli articoli 6, 7, 8 (paragrafi 1 e 2), 14, 15, 16 e 18”. Quindi, seguendo un’impostazione (che nel 1966 era stata preceduta solo dalla Convenzione europea sui diritti dell’uomo, ma che ora è) assolutamente consolidata nel panorama internazionale6, il divieto di tortura viene annoverato tra quelli assoluti, pienamente vigenti anche nelle situazioni di estrema emergenza. Essendo insuscettibile di qualsiasi sospensione o limitazione, il divieto di tortura si afferma come uno dei principi cardine accolti dalle Nazioni Unite e dalla comunità internazionale.

Anche il Comitato per i diritti umani ha sottolineato come “article 7 allows of no

limitation. [...] even in situations of public emergency such as those referred to in article 4 of the Covenant, no derogation from the provision of article 7 is allowed and its provisions must remain in force. The Committee likewise observes that no justification or extenuating circumstances may be invoked to excuse a violation of article 7 for any reason, including those based on an order from a superior officer

or public authority”7

Political Rights, Oxford, 1991, pp. 379 e 367 ss e i casi ivi citati, in cui il Comitato riscontra violazioni dell’art. 7 senza chiarirne la natura; oppure riscontra violazioni contemporanee di più disposizioni senza specificare quali aspetti del caso concreto sarebbero stati sufficienti ad attivare l’art. 7; oppure ancora evita in toto, senza alcuna comprensibile ragione, di pronunciarsi su determinati temi sollevati dalle parti. V. inoltre D.MCGOLDRICK, The Human Rights Committee, cit., p. 381, in cui l’autore arriva a sostenere che – a causa della sua incostanza e arbitrarietà – “the view of the HRC on these provisions have only been of marginal significance in terms of effective human rights protection”.

6

Se ne vedano numerosi esempi nelle fonti analizzate al capitolo I.

7

La previsione espressa di inderogabilità e assolutezza del diritto a non essere sottoposti a tortura delegittima alla radice qualsiasi tentativo degli Stati di sollevare giustificazioni o circostanze attenuanti di fronte a una violazione dell’art. 7 del Patto. Nessuna situazione di emergenza presente nel territorio del Paese, né l’obbedienza a ordini superiori, né la grave natura dell’illecito contestato alla vittima, né alcuna altra ragione devono essere prese in considerazione nel valutare la responsabilità dello Stato che si sia macchiato della lesione di uno dei più importanti diritti dell’uomo.

Non è invece compreso nel ‘nocciolo duro’ del Patto l’art. 10, perché non citato nel secondo paragrafo dell’art. 4. La disposizione, che – particolarmente nel suo primo paragrafo – completa il contenuto dell’art. 7, permettendo la protezione della vulnerabile categoria dei detenuti da maltrattamenti non sufficientemente gravi per costituire trattamento crudele, disumano o degradante, non ha quindi carattere assoluto. Tuttavia, deroghe all’art. 10 possono essere adottate solo alle precise condizioni dettate dall’art. 4: che vi sia un pericolo pubblico eccezionale in grado di minacciare l’esistenza della nazione; che il pericolo venga proclamato con atto ufficiale; che le misure derogatorie siano strettamente necessarie a fronteggiare quel pericolo; che esse non siano incompatibili con gli altri obblighi imposti agli Stati medesimi dal diritto internazionale e che non comportino una discriminazione “fondata unicamente sulla razza, sul colore, sul sesso, sulla lingua, sulla religione e sull’origine sociale”.

3. Le condotte vietate.

L’art. 7 ICCPR vieta quattro distinte condotte: le torture, le punizioni o i trattamenti crudeli, le punizioni o i trattamenti disumani e le punizioni o i trattamenti degradanti. Considerando che le torture sono forme intense e particolarmente acute delle punizioni o dei trattamenti crudeli, disumani o degradanti, le condotte vietate si possono distinguere in due gruppi: le punizioni da un lato, i trattamenti dall’altro8.

8

In questo modo, si segue la stessa sistematica già adottata per classificare le pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo nel capitolo II, paragrafo 3.

3.1. Le punizioni vietate.

Il divieto di tortura contenuto nell’art. 7, frequentemente affiancato dall’art. 10 (che pretende umanità e rispetto per tutti i prigionieri), incide sulla inflizione delle pene e punizioni in due direzioni. In un senso, vieta l’applicabilità in toto di determinate categorie di punizioni, ritenute intrinsecamente crudeli, disumane o degradanti. In un altro senso, impone che tutte le pene, seppur lecite, vengano eseguite con modalità tali da non risultare lesive della dignità umana e non comportare un livello di afflizione e umiliazione ulteriore rispetto a quello necessariamente insito nella pena stessa.

3.1.1. Le pene e punizioni corporali.

È vietata in ogni caso l’esecuzione di pene o punizioni corporali. Infatti, a parere del Comitato, “the [article 7] prohibition must extend to corporal

punishment, including excessive chastisement as an educational or disciplinary

measure”9.

Alcuni autori10 ritengono (o sollevano dubbi in merito al fatto) che le punizioni corporali non costituiscano sempre e di per sé un maltrattamento vietato dall’art. 7: a parer loro, l’inflizione del dolore fisico per punire si porrebbe in contrasto con la disposizione del Patto solo quando ammonta a “castigo eccessivo (excessive

chastisement)”. La tesi non convince affatto, in quanto il commento dello HRC

appena citato configura i castighi eccessivi come un sottoinsieme delle punizioni vietate (“[...]corporal punishment, including excessive chastisement [...]”), e non viceversa. Ne consegue che: le punizioni corporali sono sempre vietate; lo sono inoltre i castighi eccessivi, intesi come una particolare forma di punizione corporale in senso lato.

La giurisprudenza dello HRC sembra sostenere questa seconda interpretazione, riscontrando violazioni dell’art. 7 in presenza di punizioni che consistono nell’inflizione di dolore, senza richiedere né fare alcun riferimento alla necessità che queste ammontino ad excessive chastismet. Un esempio in proposito è fornito

9

Human Rights Comm., General Comment n. 20, cit., § 5 e Human Rights Comm., 30 maggio 1982, General Comment n. 7, § 2.

10

S.JOSEPH-J.SCHULTZ-M.CASTAN, The International Covenant, cit., p. 248; D.MCGOLDRICK, The Human Rights Committee, cit., pp. 374 ss., 365 ss.

dalla pronuncia Higginson c. Jamaica11, in cui il Comitato ha ritenuto che “the

imposition or the execution of a sentence of whipping with the tamarind switch [un

frustino di rami di tamarindo intrecciati, N.d.A.] constitutes a violation of the

author’s rights under article 7”.

In numerose occasioni, il Comitato ha interrogato gli Stati in merito alle loro pratiche relative alle pene e punizioni corporali, mantenendo un rigoroso

“anti-corporal punishment stance”12.

Il divieto di ricorrere a punizioni corporali per motivi educativi o disciplinari non riguarda solo i soggetti in vinculis: al contrario, “[i]t is appropriate to emphasize in

this regard that article 7 protects, in particular, children, pupils and patients in

teaching and medical institutions”13. A questo proposito, si può ricordare che, nella

giurisprudenza, quando la violazione dell’art. 7 consiste nell’uso di punizioni corporali sui bambini, essa integra spesso anche una violazione dell’art. 24 ICCPR, che garantisce ai fanciulli protezione adeguata da parte della famiglia, della società e dello Stato14.

3.1.2. Le modalità di esecuzione della pena legittima.

È possibile che pene non di per sé astrattamente contrarie alle disposizione del Patto diventino crudeli, disumane o degradanti quando, in considerazione delle concrete modalità di esecuzione, “the humiliation or debasement involved [...]

exceed a particular level and [...] entail other elements beyond the mere fact of

deprivation of liberty”15.

È bene ricordare che l’esecuzione di una pena detentiva con modalità che causano disagio al condannato, poiché coinvolge persone private della libertà personale, può comportare – da sola o in aggiunta ad una lesione dell’art. 7 – la violazione dell’art. 1016.

11

Human Rights Comm., com. 792/98, Higginson c. Jamaica.

12

D.MCGOLDRICK, The Human Rights Committee, cit., p. 365 e State Reports ivi riportati.

13

Human Rights Comm., General Comment n. 20, cit., § 5.

14

D.MCGOLDRICK, The Human Rights Committee, cit., p. 365. Lo stesso accade, più in generale, di fronte a violazioni degli artt. 7 e/o 10: v. ad es., Human Rights Comm., com. 1184/2003, Corey Brough c. Australia, §§ 9.4.

15

Human Rights Comm., com. 265/87, Vuolanne c. Finlandia, § 9.2.

16

Nella determinazione delle condizioni detentive che vanno considerate accettabili, lo HRC fa esplicito e frequente riferimento a documenti internazionali elaborati dall’ONU in materia di trattamento delle persone private della libertà17, come le Regole minime standard per il trattamento dei prigionieri18, il Codice di condotta per i funzionari che applicano la legge19; il Corpo di principi per la protezione di tutte le persone sottoposte a qualunque forma di detenzione o restrizione20 e i Principi di etica medica relativi al ruolo del personale sanitario, in particolare medici, nella protezione dei prigionieri e dei detenuti contro la tortura e gli altri trattamenti o punizioni crudeli, inumani o degradanti21. Così, norme che non sarebbero formalmente vincolanti per gli Stati firmatari quasi lo diventano, in quanto sono chiamate ad integrare in via interpretativa le disposizioni (obbligatorie) del Patto22.

Alcune violazioni degli artt. 7 e/o 10 del Patto relative alle modalità di esecuzione della sanzione penale interessano casi di sovraffollamento carcerario23 e inadeguatezza delle condizioni ambientali e igieniche di detenzione24. Il Comitato ha censurato situazioni in cui i detenuti si trovavano ammassati in celle di dimensioni ridotte25 oppure in luoghi di detenzione non adeguatamente aerati, illuminati o puliti26. Sono lesive dei diritti sanciti nel Patto anche la scarsa

senso lato. A ben vedere, in seno al Consiglio d’Europa gli stessi principi sanciti dall’art. 10 ICCPR si sono fatti derivare creativamente dallo stesso art. 3 CEDU.

17

V., ad es., Human Rights Comm., 10 aprile 1992, General Comment n. 21, § 5; Human Rights Comm., com. 458/91, Mukong c. Camerun; Human Rights Comm., com. 632/95, Potter c. Nuova Zelanda, § 6.3.

18

V. supra, capitolo I, paragrafo 1.7.

19

V. supra, capitolo I, paragrafo 1.13.

20

V. supra, capitolo I, paragrafo 2.4.

21

V. supra, capitolo I, paragrafo 1.15.

22

S.JOSEPH-J.SCHULTZ-M.CASTAN, The International Covenant, cit., p. 283 ss.; M.NOWAK, U.N. Covenant, cit., p. 185.

23

V., ad es., Osservazioni Conclusive sull’Italia, (2006) CCPR/C/ITA/CO/5, § 16.

24

V., ad es., ivi, § 15.

25

Ad es., nel caso Human Rights Comm., com. 188/84, Portorreal c. Repubblica Dominicana, § 9.2, il detenuto era stato tenuto per 50 ore in una cella di di 20 metri per 5 insieme ad altri 125 detenuti; nei casi Human Rights Comm., com. 49/79, Marais c. Madagascar e Human Rights Comm., com. 115/82, Wight c. Madagascar, i prigionieri erano custoditi in celle di 2 o 3 metri quadrati.

26

Ad es., nel caso Human Rights Comm., com. 775/97, Brown c. Giamaica, § 6.13, il ricorrente ha trovato ragione lamentando, inter alia, “no adequate sanitation, ventilation or electric lighting” e la mancanza di materasso o altri supporti per il sonno; nel caso Portorreal c. Repubblica Dominicana, cit., § 9.2, alcuni dei detenuti mantenuti in condizioni di sovraffollamento erano costretti, a causa della mancanza di spazio, a sedersi sugli escrementi; nei casi Marais c. Madagascar, cit. e Wight c.

distribuzione di cibo ed acqua potabile27 e la mancanza o l’inadeguatezza delle cure mediche28, poiché, a parere dello HRC, l’obbligo sancito dall’art. 10 “encompasses

the provision of adequate medical care during detention”29. Anzi, una violazione

delle norme pattizie può derivare, secondo il Comitato, anche solo dal negato accesso del detenuto alla propria cartella clinica30.

Infine, lo HRC ha espresso la propria preoccupazione in relazione a regimi detentivi caratterizzati dalla restrizione di alcuni diritti fondamentali dei prigionieri (compresi la libertà d’espressione, la libertà di associarsi e la riservatezza), dall’arbitrarietà delle sanzioni disciplinari inflitte e dall’uso eccessivo di strumenti di controllo31.

3.1.3. L’isolamento e la detenzione incommunicado.

Una larghissima parte delle condanne per violazione degli artt. 7 e/o 10 del Patto riguardano casi di segregazione carceraria e di c.d. incommunicado detention. Lo HRC ha statuito che “prolonged solitary confinement of the detained or

imprisoned person may amount to acts prohibited by article 7”32 e molto di

Madagascar, cit., le celle erano spesso prive di illuminazione.

27

Cfr., ad es., il caso Portorreal c. Repubblica Dominicana, cit., § 9.2, in cui il ricorrente dopo l’arresto non ha ricevuto cibo né acqua fino al giorno successivo; il caso Mukong c. Camerun, cit., §9.4, in cui il soggetto in vinculis è stato “deprived of food”; il caso Brown c. Giamaica, cit., § 6.13, nel quale al detenuto era negata un’adeguata alimentazione e il caso Human Rights Comm., com. 1108, 1121/2001, Karimov e Nursatov c. Tajikistan, § 7.3, in cui due ricorrenti sono stati privati di cibo per i primi tre giorni di detenzione; Human Rights Comm., com. 1348/2005, Ashurov c. Tajikistan, § 2.2.

28

Ad es., nel caso Brown c. Giamaica, cit., § 6.13, il detenuto ha lamentato la distruzione delle medicine che gli erano necessarie per controllare l’asma di cui soffriva e la mancanza di una pronta assistenza medica durante un attacco asmatico; nel caso Human Rights Comm., com. 63/79, Sendic Antonaccio c. Uruguay, § 12, al ricorrente sono state negate le cure mediche di cui necessitava a causa si una grave ernia inguinale; nel caso Human Rights Comm., com. 90/81, Luyeye Magana ex-Philibert c. Zaire, alla vittima erano negate le cure mediche necessarie.

29

Human Rights Comm., com. 232/87, Pinto c. Trinidad e Tobago, § 12.7.

30

Nel caso Human Rights Comm., com. Zheludkov c. Ucraina, cit., § 8.4, lo Stato è stato ritenuto colpevole di una violazione dell’art. 10 in quanto, “despite repeated requests, direct access to the actual medical records was denied by the State party’s authorities” nel dubbio che i registri medici in questione avessero “relevance [...] for the assessment of the conditions of Mr. Zheludkov’s detention, including medical treatment afforded to him”. Una cuncurring opinion ha ritenuto che la violazione sussistesse indipendentemente dal fatto che il mancato accesso ai dati clinici avesse o meno conseguenze per il trattamento medico, poiché “[a] person’s right to have access to his or her medical records forms part of the right of all individuals to have access to personal information concerning them”.

31

Osservazioni Conclusive sul Giappone, (1998) CCPR/C/79/Add. 102; M. NOWAK, U.N. Covenant, cit., p. 187 e casi ivi citati relativi alla prigione “Libertad” in Montevideo.

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