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Lo standard probatorio richiesto

LA TORTURA NELLA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

5. Lo standard probatorio richiesto

Per quanto la distinzione non sia sempre rigorosa e costante nella giurisprudenza di Strasburgo, è possibile affermare che la Corte richiede normalmente uno standard probatorio piuttosto rigido (“beyond reasonable

doubt”), che viene decisamente attenuato quando il ricorso provenga da un

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Cfr. P. VAN DIJK-F. VAN HOOF-A. VAN RIJN-L.ZWAAK, Theory and Practice of the European Convention on Human Rights, Londra, 2001, pag 408: “The difference between inhuman treatment or punishment and degrading treatment or punishment is likewise one of gradation in the suffering inflicted, though it should be kept in mind that the Court dose not always draw a sharp distinction and often uses qualifications such as “inhuman and degrading treatment””. Cfr., ad es., Tomasi c. Francia, cit., § 115; Ribitsch c. Austria, cit., § 36.

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Gäfgen c. Germania, cit., § 91.

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Aksoy c. Turchia, cit., § 63; Selmouni c. Francia, cit., § 96; Gäfgen c. Germania, cit., § 90; Gurgurov c. Moldavia, cit., § 59; Irlanda c. Regno Unito, cit., § 167.

individuo che, al tempo delle condotte lamentate, si trovava in vinculis.

5.1. Lo standard probatorio normale.

Nel caso di ricorso interstatale (ex art. 33 CEDU) o quando il privato individuo ricorrente (ex art. 34 CEDU) si trovava in libertà al tempo dei presunti maltrattamenti, la prova richiesta è parametrata allo standard dell’“oltre ogni ragionevole dubbio”85. La condanna di uno Stato per violazione dell’art. 3 comporta una grave onta a suo carico. Per questa ragione, gli organi della Convenzione sono sempre stati piuttosto rigorosi nel richiedere indizi sufficientemente gravi, precisi e concordanti. Diverse pronunce ricordano che “le affermazioni di maltrattamento devono essere sorrette davanti alla Corte da elementi di prova idonei. Per l’accertamento dei fatti sostenuti, la Corte utilizza il criterio della prova «oltre ogni ragionevole dubbio»; tale prova può anche risultare da una serie di indizi o di presunzioni non confutate, sufficientemente gravi, precise e concordanti”86.

È opportuno anticipare fin da ora che quando le carenze probatorie dipendono da un comportamento negligente delle autorità statali, la Corte non permette che questo si risolva in uno svantaggio per il ricorrente e può arrivare a condannare il governo convenuto per una violazione procedurale dell’art. 3, di cui si tratterà

infra87.

5.2. Lo standard probatorio per il soggetto in vinculis.

All’esigenza di evitare condanne particolarmente infamanti in assenza di prove certe, si contrappone l’esigenza di rendere effettiva la tutela della vittima in condizioni di limitazione della libertà personale. Il privato ricorrente è infatti parte debole nel procedimento e, se si trovava in vinculis al tempo delle violazioni, si trova facilmente nell’impossibilità di provare le sofferenze subite, a causa dell’assenza di testimoni, delle reticenze e dello spirito di corpo della polizia, della

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A. ESPOSITO., Proibizione della tortura,cit., p. 60; A.COLELLA, C’è un giudice a Strasburgo, cit., p. 1820; F. TRIONE, Divieto e crimine di tortura, cit., pp. 56 ss.

86

Labita c. Italia, cit., § 121; Indelicato c. Italia, cit., § 33; Altun c. Turchia, cit., § 42; Gäfgen c. Germania, cit., § 92.

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compiacenza delle autorità. In tali ipotesi, la giurisprudenza europea ha stabilito che bastino supporti logico-probabilistici per invertire l’onere della prova88.

Il criterio, che contribuisce a rendere maggiormente effettiva la previsione convenzionale dell’art. 3, risale alla sentenza Tomasi c. Francia. In quel caso, il ricorrente, dopo circa quaranta ore di interrogatori, presentava segni di sevizie sul corpo. La Corte argomentò come segue: “Il Governo riconosce di non poter dare alcuna spiegazione sulla causa delle lesioni, ma, a suo giudizio, queste non derivano dai trattamenti denunciati dal signor Tomasi. [...] Vi sarebbe un dubbio evidente che non potrebbe giustificare una presunzione di causalità. [...] Nessuno sostiene che i segni osservati sul corpo del ricorrente possano risalire ad un periodo anteriore all’arresto o dipendere da un’azione dell’interessato contro se stesso o ancora da un tentativo di evasione. [...] Quattro diversi medici – dei quali uno era dell’amministrazione penitenziaria – esaminarono l’imputato nei giorni seguenti il termine del fermo. I loro certificati contengono osservazioni mediche precise e concordanti e indicano il periodo a cui risalgono le ferite, che corrisponde ai giorni in cui fu trattenuto al commissariato. Una tale conclusione dispensa la Corte dall’interrogarsi sugli altri atti addebitati ai funzionari in questione.”89.

Emerge dunque che, se il ricorrente si trovava in buona salute prima di essere – a qualunque titolo – privato della libertà personale, e fornisce referti che attestano le lesioni subite, si forma una presunzione di causalità e di colpevolezza in capo allo Stato convenuto. La presunzione può essere vinta dal governo solo provando che non è stata superata la soglia minima di gravità richiesta per la violazione dell’art. 3; oppure dimostrando la diversa origine delle lesioni certificate, che possono essere pregresse alla limitazione della libertà personale o autoprocurate dalla vittima90.

Sentenze più recenti testimoniano l’applicazione ormai stabile di questo criterio. La Corte è abbastanza costante nel sostenere che “quando un individuo si trovava in buona salute all’inizio dello stato di custodia cautelare [o altra limitazione della

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A. ESPOSITO., Proibizione della tortura,cit., p. 60; A.COLELLA, C’è un giudice a Strasburgo, cit., p. 1821; F. TRIONE, Divieto e crimine di tortura, cit., p. 60.

89

Tomasi c. Francia, cit., § 108-111.

90

A.COLELLA, C’è un giudice a Strasburgo, cit., p. 1821; F. TRIONE, Divieto e crimine di tortura, cit., p. 66.

libertà personale, N.d.A.] alla quale viene sottoposto, e si rileva che sia ferito al momento della sua liberazione, incombe allo Stato fornire una spiegazione plausibile sull’origine delle ferite, senza la quale l’art. 3 della Convenzione trova manifestamente applicazione”91.

5.2.1. I limiti alla presunzione.

La presunzione di colpevolezza che grava sullo Stato quando il ricorrente si trovava in vinculis al tempo dei maltrattamenti denunciati incontra limiti rilevanti in due ordini di casi92.

In primo luogo, un limite sorge quando lo Stato provi che la vittima ha tenuto un comportamento molto violento o ha tentato seriamente la fuga: queste circostanze giustificano l’uso di modalità di arresto particolarmente violente e di tutte le misure repressive necessarie a contenere la condotta della vittima e proporzionate alla condotta stessa. Di conseguenza, solo un maltrattamento eccessivo (prolungato oltre la necessità o spropositato rispetto al comportamento illecito) potrebbe integrare violazione dell’art. 3. In questi casi, l’onere di provare l’eccessività della repressione, e quindi la colpevolezza dello Stato convenuto, viene posto dalla Corte in capo al ricorrente93.

In passato, un secondo limite si poteva sicuramente riscontrare nei casi di responsabilità c.d. indiretta dello Stato94. Poiché l’art. 3 della Convenzione ha una portata assoluta, la Corte si è dimostrata aperta a darne un’interpretazione estensiva, proibitiva anche di atti quali estradizioni, espulsioni, allontanamenti della vittima, dai quali discende il rischio che la vittima venga trattata nello Stato di destinazione in modo degradante, disumano o sottoposta a tortura. In questi casi, però, la responsabilità dello Stato estradante non poteva, fino a qualche anno fa, essere fatta dipendere da una presunzione: era il ricorrente ad essere gravato dell’onere di provare la gravità ed effettività del rischio derivante dal suo allontanamento. Una conferma si trova nel caso H.L.R. c. Francia del 1997, in cui,

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Aksoy c. Turchia, cit., § 61; e con formulazioni simili Assenov e altri c. Bulgaria, cit., § 92; Selmouni c. Francia, cit., § 87; Gurgurov c. Modavia, cit., §§ 55-56, Gäfgen c. Germania, cit., § 92.

92

F. TRIONE, Divieto e crimine di tortura, cit., pp. 67 ss.

93

Cfr. Altun c. Turchia,cit., § 64 e C. eur. dir. uomo, sent. 21 ottobre 2010, Maryin c. Russia.

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“[a] giudizio della Corte dovrà essere il ricorrente e non lo Stato convenuto a dimostrare che un provvedimento di espulsione emesso da una Alta Parte contraente avrebbe il “reale” effetto di esporlo al rischio effettivo di subire trattamenti contrari all’art. 3”95. La sentenza non riscontrò la violazione denunciata proprio per carenza di prove in questo senso (nonostante i rapporti di Amnesty International evidenziassero la presenza di un clima particolarmente teso e la grande diffusione di rappresaglie e maltrattamenti in Colombia), affermando: “occorre ancora dimostrare che il rischio esista davvero e che le autorità dello Stato di destinazione non siano in grado di ovviarvi attraverso una protezione adeguata”96, evidentemente rifiutando in questi casi una logica basata sulla presunzione.

In tempi più recenti, tuttavia, questo limite si è di molto attenuato, ed è possibile registrare un atteggiamento della Corte man mano più severo nei confronti degli Stati estradanti convenuti. Ne troviamo una conferma in un caso più attuale, come

Saadi c. Italia (datato 2008, quindi di undici anni successivo al caso H.L.R. c. Francia). Qui, la Corte ritenne che vi sarebbe stata violazione dell’art. 3 se la

deportazione del ricorrente verso la Tunisia (suo Paese d’origine) fosse stata eseguita. La decisione si basò semplicemente su rapporti di Amnesty International e altre ONG, che evidenziavano “numerous and regular cases of torture and

ill-treatment meted out to persons accused under the 2003 Prevention of Terrorism Act [accusa che riguardava anche il ricorrente, N.d.A.]. [...] It is reported that allegations of torture and ill-treatment are not investigated by the competent Tunisian authorities, that they refuse to follow up complaints and that they regularly use confessions obtained under duress to secure convictions. Bearing in mind the authority and reputation of the authors of these reports, the seriousness of the investigations by means of which they were compiled, the fact that on the points in question their conclusions are consistent with each other [...], the Court does not doubt their reliability. Moreover, the respondent Government have not adduced any evidence or reports capable of rebutting the assertions made in the sources cited by the applicant. [...] In these circumstances, the Court considers that in the

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HLR c. Francia, cit., § 37.

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present case substantial grounds have been shown for believing that there is a real risk that the applicant would be subjected to treatment contrary to Article 3 of the Convention if he were to be deported to Tunisia. That risk cannot be excluded on

the basis of other material available to the Court.”97 I giudici di Strasburgo si sono

quindi accontentati di materiale probatorio che, in passato, non avevano giudicato sufficiente. È chiaramente posto sul governo convenuto l’onere di provare che i rischi prospettati dai rapporti delle ONG non possano effettivamente verificarsi. In conclusione, anche questo profilo è sintomo di un’evoluzione della giurisprudenza europea nel tempo sempre più generosa nel concedere le sue tutele ai singoli individui.