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2. La tutela della biodiversità nel quadro comunitario

2.1. La Direttiva Habitat

2.1.1. L’approccio “funzionale”

L’ottica in seno alla quale è nata e si è sviluppata la Direttiva Habitat richiama quindi quanto già emerso dalle Conferenze di Rio del 1992: come le conoscenze

200 Considerando 3: “considerando che la presente direttiva, il cui scopo principale è promuovere il mantenimento della biodiversità, tenendo conto al tempo stesso delle esigenze economiche, sociali, culturali e regionali, contribuisce all'obiettivo generale di uno sviluppo durevole; che il mantenimento di detta biodiversità può in taluni casi richiedere il mantenimento e la promozione di attività umane”.

201 Ma non solo: la conservazione ambientale è intesa in stretto collegamento con le “esigenze economiche, sociali e culturali, nonché nelle particolarità regionali e locali” dei singoli territori protetti anche ai sensi dell’art. 2, par. 3.

202 Ciò ha comportato l’estensione della dimensione extraterritoriale anche all’azione di tutela dello strumento della VINCA.

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acquisite dalle scienze ecologiche e biologiche della conservazione hanno messo sempre più in evidenza, per garantire una tutela efficace della biodiversità è necessario operare in una prospettiva di rete di aree in grado di assicurare e conservare la continuità degli scambi genetici tra specie e, di conseguenza, la biodiversità e la vitalità degli habitat naturali.

Habitat ed ecosistemi, infatti, sono distribuiti in porzioni di territorio di dimensioni naturalmente adeguate e collegati tra loro da un sistema di corridoi naturali e stepping stones (letteralmente: pietre di guado-frammenti residui di habitat) che

unisce falde contigue funzionalmente connesse tra loro203: come insegna la più moderna teoria di conservazione della natura, infatti, le aree protette, per quanto importanti per la conservazione della natura, non sono sufficienti da sole a tutelare la biodiversità e a mantenere l’efficienza dei processi evolutivi di flora e fauna.

A conferma di ciò, si fa comunemente riferimento alla teoria della biogeografia

insulare204, elaborata nel 1967 da due biogeografi americani, Mc Arthur e Wilson.

Questi ricercatori, in sintesi, scoprirono che più le isole erano piccole e lontane dalla terraferma, maggiore era la diminuzione, in termini di ricchezza e diversità, delle specie vegetali e animali ivi presenti. Di lì a breve, altri ricercatori constatarono che le aree naturali protette potevano essere paragonate a vere e proprie isole circondate da territori spesso densamente popolati ed antropizzati, che fungevano da barriere per le connessioni ecologiche naturali, comportando

203 L. FILESI, A. FIDUCCIA, Un modello per la valutazione degli effetti delle trasformazioni dell’uso del

suolo sulla configurazione delle reti ecologiche, in M. MUNAFÒ, M. MARCHETTI (a cura di) Recuperiamo

terreno. Analisi e prospettive per la gestione sostenibile della risorsa suolo: Analisi e prospettive per la gestione sostenibile della risorsa suolo, 2015, Milano, Franco Angeli, p. 221.

204 Secondo la teoria della biogeografia insulare, il numero di specie che si possono trovare su una certa isola dipende dal bilancio dinamico dei fenomeni di immigrazione ed estinzione, che risultano a loro volta condizionati dalla distanza di ciascuna isola dalla c.d. sorgente di colonizzazione (che può essere il continente o un'altra isola). Più un’isola è isolata, minore probabilità ha di ricevere coloni provenienti da tali sorgenti, con conseguente diminuzione degli scambi genetici. Il tasso di estinzione delle specie stabilitesi sull'isola dipende invece dalle dimensioni dell'isola stessa. Isole di maggiore estensione avranno habitat geograficamente più estesi e caratterizzati da una maggiore varietà. Ciò si traduce in una minore probabilità di estinzione a causa di fenomeni casuali e più alte probabilità di colonizzazione a seguito di immigrazione.

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problemi per la flora e la fauna autoctone analoghi a quelli osservati nei sistemi

insulari205. Tra questi, J. M. Diamond (1975)206 solleva proprio la questione relativa

alla gestione c.d. “a isole” delle aree protette, da considerarsi fallimentare dal momento che non considera l’elemento imprescindibile della continuità ambientale e delle connessioni ecologiche207.

Sul punto, l’IUCN (Unione Internazionale per la Conservazione della Natura) si è espressa in occasione del V World Park Congress (Durban, Sud Africa, settembre 2003) intitolato «Benefits Beyond Boundaries»208. Il Congresso, organizzato con

l’intenzione di discutere il ruolo delle aree protette quali oggetti «esportatori» di qualità ambientale ed economico-sociale al di fuori dalla loro dimensione insulare209, ha espresso preoccupazione210 dal momento che “le aree protette

sono spesso isole sperdute in un oceano di degrado, private delle risorse naturali che si trasmettono attraverso i bacini fluviali, i corridoi di migrazione e le fertili

205 Sull’impatto della metafora dell’isola sulla disciplina delle aree protette, Aa. Vv., ADI Sassari,

Ricerca in vetrina. Originalità e impatto della ricerca scientifica di dottorandi e dottori di ricerca,

2015, p. 123.

206 Diamond applica i principi della Teoria della biogeografia insulare alle aree protette, paragonandole a “isole” immerse in un “mare” frammentato e alterato dall’uomo. J. M. DIAMOND, 1975, The island dilemma: lessons of modern biogeographic studies for the design of natural

reserves. Biol. Conserv., 7: 129-14.

207 E’ ormai assodato, quindi, che uno dei rischi maggiori per la sopravvivenza dei sistemi naturali è costituito da azioni e/o processi di frammentazione degli habitat (come usi agricoli, infrastrutture, urbanizzazione, degradazione, crescita insediativa, reti di trasporto, eccetera): proprio per contrastare tale fenomeno, gli studi di ecologia del paesaggio suggeriscono il mantenimento o, ove necessario, il ripristino della naturale interconnessione tramite interventi mirati, come l’introduzione di “corridoi naturali verdi” in grado di facilitare o ristabilire la comunicazione e gli scambi tra popolazioni di specie. Sul tema, C. BATTISTI, Frammentazione ambientale, connettività, reti

ecologiche. Un contributo teorico e metodologico con particolare riferimento alla fauna selvatica,

Roma, Provincia, 2004.

208 L’iniziativa dell’IUNC sul tema delle connessioni ecologiche è proseguita con il Congresso di Barcellona del 2008, nei cui documenti di Resolutions and Raccomandations è incluso il capitolo 4.062 intitolato “Enhancing ecological networks and connectivity conservation areas”.

209 Le connessioni tra ambienti marini e terrestri (Linkages in the Landscape e Seascape) hanno costituito uno degli argomenti portanti, con lo Stream I interamente dedicato, e con oltre dieci sessioni plenarie e parallele articolate su tre giornate.

210 Proprio in tale occasione, M.A. Sanjayan, esponente di TNC-The Nature Conservancy, nella prima sessione plenaria relativa agli aspetti chiave delle connessioni ambientali, sottolineando l’importanza dei corridoi ecologici, ha addirittura affermato: «without them the parks are just the

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correnti oceaniche. Siamo preoccupati perché i piani di sviluppo non tengono conto delle aree protette”211.

Un ulteriore stimolo al riconoscimento di questa nuovo approccio alla tutela della natura212 si è avuto col Manifesto Europeo della Natura (Manifesto di Apeldoorn),

elaborato da European Environmental Bureau (EEB), Eurosite, Europac, European

Centre for Nature Conservation (ECNC) in occasione della European Nature Conference e concluso nel 2005213, col quale si è voluto sollecitare tutti i cittadini

europei a “connettere […], la natura con la natura […], l’uomo con la natura […], le

politiche con la pratica”.

Si è definita “non più procrastinabile” la necessità di garantire la continuità ambientale attraverso un collegamento, sotto forma di “rete” ecologica, che risulti al tempo stesso una struttura e una strategia214, in grado di mettere in

connessione le esigenze ambientali e quelle antropiche, attraverso modalità gestionali in grado di scongiurare il processo (deleterio) di frammentazione e isolamento delle aree di interesse naturale, all’insegna di un moderno e più ampio concetto di ecosistema, in grado di comprendere anche il fattore umano.

Una tale ottica proattiva permette così non solo di superare i tradizionali modelli vincolistici di salvaguardia della natura (“connettere la natura con la natura”), ma anche di recuperare e mantenere l’equilibrio tra le azioni antropiche e le esigenze di tutela del territorio (“connettere l’uomo con la natura”), inserendo nuovi approcci conservativi dell’ambiente tra gli strumenti di governo del territorio (“connettere le politiche con la pratica”)215.

211 Tratto dal Durban Accord.

212 Il Manifesto si apre con queste parole: “L’Europa ha urgentemente bisogno di un nuovo approccio alla conservazione della natura. Il nostro messaggio è: Connettere”.

213 La Conferenza I nostri paesaggi: spazio alla natura, opportunità all’uomo, Apeldoorn, Paesi Bassi, 23 settembre 2005. Il fine di tale iniziativa è stato quello di stimolare l’interesse e il coinvolgimento dei cittadini europei relativamente alle questioni ambientali, promuovendo l’attuazione delle politiche europee a favore della natura e favorendo gli scambi tra le aree naturali europee. 214 V. TODARO, Reti ecologiche e governo del territorio, Milano, Franco Angeli, 2010, p. 15.

215 Sulla scorta di tali constatazioni, come visto, la Comunità europea ha voluto inaugurare una nuova forma di conservazione della natura, stabilendo la “territorializzazione diffusa” della conservazione della natura, proprio tramite la creazione di una Rete Ecologica composta da:

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3. La tutela della biodiversità nel quadro nazionale, tra isole e