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3. Verso una nuova frontiera: i principi eco-giuridici

3.2. Il principio di resilienza

La resilienza, come già anticipato, dipende da quanto ‘disturbo’ il sistema può assorbire conservando il proprio stato (persistenza), da quanto il sistema è in grado di auto regolarsi (adattabilità), e da quanto il sistema è in grado di apprendere e di cambiare (trasformabilità).

Nonostante le variabili caratterizzanti un ecosistema siano molteplici, ve ne sono alcune, definibili principali, che determinano le traiettorie di evoluzione dello

347 Una proposta di legge presentata il 19 maggio 2015 alla Camera dei deputati (n. 3126) e vertente sulle “Modifiche alla parte prima del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, concernenti le disposizioni comuni e i princìpi generali della disciplina in materia ambientale” proponeva l’espressa introduzione del principio di non regressione all’art. 3, co. 3, inserendo il seguente comma: “2-bis. Le norme che abrogano o modificano le disposizioni di cui al presente decreto legislativo si conformano al principio della non regressione del diritto ambientale per una progressiva migliore tutela dell'ambiente come definita dall'articolo 2”.

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stesso e lungo le quali sono posizionate delle soglie oltre le quali il sistema diventa vulnerabile. La resilienza, dunque, può essere definita come la misura della distanza da queste soglie, entro le quali il sistema è in grado di adattarsi senza trasformarsi.

Il principio -giuridicamente inteso- di resilienza348 imporrebbe agli attori pubblici e

privati di verificare il grado di resilienza degli ecosistemi interessati dai loro interventi, cioè il livello e il tempo della loro capacità di risposta, adattamento e assorbimento dei disturbi, che varia da ecosistema ad ecosistema, e, nel tempo, anche con riferimento al medesimo ecosistema. Tale valutazione dovrebbe essere effettuata prima, dopo e durante la condotta interessata, vietando le condotte che si avvicinano eccessivamente a dette soglie (in ossequio anche al principio di precauzione). Inoltre, sarebbe necessario prevedere un adattamento dinamico delle attività istruttorie, partecipative e decisorie, in coerenza con l’evoluzione del tasso di resilienza degli ecosistemi coinvolti.

Anche per il principio di resilienza, come per il principio di non regressione, sono rilevabili alcuni importanti indici di giuridicizzazione.

L’Accordo di Parigi del 2015 contiene numerosi riferimenti al dovere delle Parti di “rafforzare la resilienza” attraverso una gestione adattiva (in primis, all’art. 2, relativo agli obiettivi), tanto da esser stato definito una “svolta a livello mondiale nel rafforzamento dell’azione collettiva e nell’accelerazione della transizione verso una società a basse emissioni di carbonio e resiliente ai cambiamenti climatici”349.

348 Sul tema, L. H. MONTEIRO DE LIMA DEMANGE, The Principle of Resilience, 30 Pace Envtl. L. Rev. 695 (2013), in http://digitalcommons.pace.edu/pelr/vol30/iss2/11; T. L. HUMBY, Law and Resilience: Mapping the Literature, Seatle Journal of Environmental Law: Vol. 4: Iss. 1, 2014, Article 4, in

https://digitalcommons.law.seattleu.edu/sjel/vol4/iss1/4/

349 Servizio studi del Senato, Audizione del Commissario europeo per l’azione per il clima e l’energia,

Miguel Arias Cañete, Documentazione per le Commissioni - audizioni e incontri in ambito ue, Dossier

n. 50, Roma, 4 giugno 2019, p. 19, su https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/ 01112981.pdf

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La IUCN World Declaration on the Environmental Rule of Law, rubrica il Principio 4 «Ecological Sustainability and Resilience», prevedendo che «legal and other

measures shall be taken to protect and restore ecosystem integrity and to sustain and enhance the resilience of social-ecological systems».

Si segnala, inoltre, il recente Decreto n. 460 del 11 ottobre 2017 del Direttore della Direzione Generale per il Clima e l'Energia (Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare) col quale è stato approvato il “Programma nazionale di

incremento della resilienza dei sistemi forestali naturali e semi-naturali mediante

il recupero e ripristino strutturale e funzionale degli ecosistemi e della funzionalità dei loro servizi tramite azioni coerenti con la tutela e la conservazione della biodiversità (flora, fauna, vegetazione e paesaggio naturale e rurale) nelle aree protette percorse dal fuoco”350.

Essenziale importanza, infine, riveste la disciplina europea sul danno ambientale, (Direttiva 2004/35/Ue351), come si illustrerà nel prossimo capitolo.

350 La terminologia utilizzata nel decreto non lascia spazio ad interpretazioni circa la volontà di tutela funzionale-ecosistemica, ulteriore e distinta rispetto a quella strutturale-ambientale. Esaustivo, a tal riguardo, l’Allegato I, Parta A: Condizioni, dove si afferma che “gli interventi di cui al presente decreto riguardano le “aree protette percorse dal fuoco” intese come le aree interessate da incendi negli ultimi tre anni per cui necessitano interventi finalizzati al miglioramento della resilienza, al recupero dei servizi ecosistemici e alla conservazione della biodiversità dei sistemi forestali […] al fine di realizzare interventi di protezione del suolo, di riduzione dei rischi idrogeologici, di assorbimento di CO2 nonché del mantenimento della biodiversità e della funzionalità ecosistemica. […]”. Ulteriore riscontro si individua all’Allegato I, Parte B, che, tra le Tipologie di interventi ammessi al

finanziamento, inserisce alla lettera b) gli “interventi finalizzati alla tutela della risorsa suolo in

termini strutturali e funzionali”.

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II

PARTE

DALLA

TEORIA

ALLA

PRASSI.

LA

DIMENSIONE

ECOSISTEMICA

NELLA

DISCIPLINA

DELLE

AREE

PROTETTE

E

NELLA

GESTIONE

DELLA

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CAPITOLO 4

LO SPAZIO DELLA DIMENSIONE ECOSISTEMICA

NELLORDINAMENTO VIGENTE

Lungi dal voler limitare la ricostruzione offerta ad un piano esclusivamente teorico, si tenterà ora di vagliare la tangibilità delle riflessioni svolte traslandole sul piano pratico-applicativo, cercando di capire se e come il riconoscimento della dimensione funzionale concernente la materia “tutela dell’ecosistema” si possa inserire nel contesto normativo offerto oggi dal nostro ordinamento. A tal fine, si prenderanno specificatamente in considerazione quelle che vengono considerate le principali normative nazionali poste a tutela della natura, tenendo sempre a mente il carattere altamente scientifico e tecnico che l’approccio proposto richiede a livello di regolamentazione (in ossequio, tra l’altro, all’ex art. 174, comma 3 del trattato CE -ora art. 191, comma 3, del TFUE- secondo il quale “nel predisporre la sua politica in materia ambientale la Comunità tiene conto: - dei dati scientifici e tecnici disponibili […]”352).

352 Sul significato della formulazione di tale disposizione, M. CECCHETTI, Prospettive per una

razionalizzazione della “normazione tecnica“ a tutela dell’ambiente, in S. GRASSI - M. CECCHETTI (a

cura di), Governo dell’ambiente e formazione delle norme tecniche, Milano, Giuffrè, 2006, p. 46-47, osserva che appaiono rilevanti tre profili: a) la distinzione tra “dati scientifici” e “dati tecnici”, che esprime la consapevolezza che nel diritto ambientale non solo è necessaria la conoscenza dei rapporti “causa-effetto” che caratterizzano gli equilibri ecologici, ma anche quella dello stato della ricerca tecnologica relativamente agli strumenti in grado di realizzare concretamente gli obiettivi di tutela ambientale; b) l’uso dell’aggettivo “disponibili”, connesso all’intrinseco carattere dinamico della ricerca e dell’acquisizione delle conoscenze derivante dalla continua evoluzione delle scoperte scientifiche e tecnologiche. Ne consegue che il processo di adeguamento delle politiche ai progressi scientifici e tecnici deve essere continuo e non può cristallizzarsi definitivamente su determinati risultati; c) l’impiego della locuzione “tiene conto”, che evidenzia il carattere necessario ma non “necessitato” tra decisione politica ambientale e contesto scientifico-tecnologico, lasciando emerge l’insopprimibilità della componente politico-valutativa della norma, anche tecnica, in materia ambientale, derivante dalla consapevolezza che l’ambiente non è un oggetto definito e predeterminato in astratto ma, al contrario, si definisce e si realizza in concreto attraverso inevitabili scelte politiche.

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Come si è anticipato nel capitolo precedente, il nostro ordinamento sembra offrire diversi spunti normativi dai quali emerge, più o meno esplicitamente, il concetto di “fascio di utilità derivante dall’interazione tra risorse naturali”353, lasciando

intravedere, quindi, una certa apertura -anche se in parte ancora potenziale- del regime giuridico vigente nei confronti dell’approccio ecosistemico-funzionale che in tale sede si propone.

Lo stesso Codice Ambientale, ad esempio, ne fa richiamo nel momento in cui afferma che la risoluzione delle questioni ambientali dev’essere individuata nella “prospettiva di garanzia dello sviluppo sostenibile, in modo da salvaguardare il

corretto funzionamento e l'evoluzione degli ecosistemi naturali […]” (art. 3, co. 4),

e nella parte in cui specifica che occorre tutelare la “capacità dei corpi idrici di

mantenere i processi naturali di autodepurazione e di supportare comunità

animali e vegetali ampie e ben diversificate” (art. 76, comma 2).

Ancor più significativa si rivela la disciplina sulla valutazione di impatto ambientale, procedura che individua, analizza e valuta, in via preventiva alla realizzazione di progetti, gli effetti negativi di questi sull’ambiente, sulla salute e sul benessere umano, identificando inoltre le misure atte a prevenirli, evitarli, ridurli e, se possibile, compensarli354. A tale procedura viene ricondotta “la finalità di

proteggere la salute umana, contribuire con un miglior ambiente alla qualità della vita, provvedere al mantenimento delle specie e conservare la capacità di

353 Procede ad una simile analisi B. CARAVITA, Diritto pubblico dell’ambiente, Bologna, Il Mulino, 1990, p. 50 ss. e ID, Diritto all’ambiente e diritto allo sviluppo: profili costituzionali, in AA.VV., Scritti in

onore di Alberto Predieri, Milano, Giuffrè, 1996, p. 343 ss., che definisce l’ambiente “l’insieme delle

condizioni fisiche, chimiche, biologiche che permettono e favoriscono la vita degli esseri viventi” ed individua lo scopo della sua disciplina giuridica nella “tutela dell’equilibrio ecologico, di volta in volta, facendo riferimento alla biosfera o ai singoli ecosistemi di riferimento”. A supporto di tale definizione richiama la direttiva 85/337/CEE del Consiglio del 27 giugno 1985, concernente la valutazione dell’impatto ambientale.

354 Sul tema, ex multis, R. FERRARA (a cura di), La valutazione di impatto ambientale, Padova, Cedam, 2000 e P. DELL’ANNO, Diritto dell’ambiente, Padova, Cedam, 2018, p. 204 ss. Ancora, per un’analisi dei più recenti sviluppi in materia, M. CECCHETTI, La riforma dei procedimenti di valutazione d’impatto

ambientale tra d.lgs. n. 104 del 2017 e Corte costituzionale n. 198 del 2018, in Federalismi.it, n.

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riproduzione degli ecosistemi in quanto risorse essenziali per la vita.” (art. 4, co. 4,

lett. b, D. Lgs. n. 152/06, così come sostituito dal d. lgs. 16 giugno 2017, n. 104)355:

ciò che viene preso in considerazione e tutelato, in diretta applicazione del dovere di solidarietà inter ed intra-generazionale356, è non solo l’ambiente come sistema,

ma anche la sua “capacità di riproduzione”, indubbiamente riconducibile al concetto di resilienza illustrato nel capitolo precedente.

La VIA, inoltre, come specifica l’art. 5, co. 1, lett. c), si riferisce agli impatti significativi diretti e indiretti di un progetto sui fattori quali uomo, fauna e flora, habitat, biodiversità, territorio, suolo, acqua, aria e clima, beni materiali, paesaggio, patrimonio culturale, e soprattutto, per quanto ci interessa, sulla

interazione tra gli stessi. Oltre alle singole risorse e beni, quindi, emerge

nuovamente il valore dell’ecosistema, a conferma del fatto che le utilità derivanti dai beni singolarmente intesi sono diverse da quelle che scaturiscono dalla interazione tra gli stessi.

A riprova di ciò, il regime relativo alle misure di compensazione previsto in seno alla stessa VIA: le attività autorizzate dal soggetto pubblico preposto richiedono a monte una valutazione discrezionale di ponderazione degli interessi in gioco, in base alla quale viene individuato un grado di pregiudizio ambientale -collegato e conseguente alla realizzazione dell’opera- ritenuto accettabile e, di conseguenza, consentito357. Detta previsione richiama indirettamente il concetto

precedentemente illustrato di soglie di resilienza, dal momento che mira, pare evidente, a garantire la prosecuzione della funzione o del servizio ecosistemico collegato ai beni ambientali incisi dall’attività antropica interessata, prevedendo e

355 Con la recente sentenza n. 93 del 18 aprile 2019, la Corte costituzionale ha affermato che la normativa in tema di VIA rappresenta, “anche in attuazione degli obblighi comunitari, un livello di protezione uniforme che si impone sull’intero territorio nazionale, pur nella concorrenza di altre materie di competenza regionale”, riconducendola così alla materia statale “tutela dell’ambiente e dell’ecosistema”.

356 F. FRACCHIA, Lo sviluppo sostenibile alla prova: la disciplina di VIA e VAS alla luce del D.lgs. n.

152/2006, in Riv. trim. dir. pubbl., I, 2008, p. 121 ss.

357 Sul punto, F. FONDERICO, Valutazione di impatto ambientale, in S. NESPOR-A. L. DE CESARIS (a cura di), Codice dell’ambiente, Milano, Giuffrè, 2003.

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imponendo, in capo al realizzatore della stessa, misure compensative che, basandosi sulla fungibilità dei beni coinvolti, risultino in grado di compensare il pregiudizio individuato.

Tenendo a mente ciò, si può facilmente constatare come solo il riferimento alla funzionalità dei beni e ai servizi ecosistemici consenta il corretto esplicarsi dei meccanismi di valutazione del pregiudizio ambientale e di attivazione degli strumenti di compensazione di cui sopra: solo abbracciando una prospettiva ecosistemico-funzionale è infatti possibile dare un senso al meccanismo di sostituzione dei beni pregiudicati (ne è conferma il fatto che la compensazione monetaria non è ritenuta efficace ai fini della tutela ambientale).

E ancora, un richiamo all’ecosistema può scorgersi in relazione alla definizione di “informazione ambientale” contenuta nella direttiva n. 2003/4/CE358, laddove,

all’art. 2, fa riferimento a “lo stato degli elementi dell’ambiente, quali l’aria e l’atmosfera, l’acqua, il suolo, il territorio, il paesaggio e i siti naturali, compresi gli igrotopi, le zone costiere e marine, la diversità biologica e i suoi elementi costitutivi, compresi gli organismi geneticamente modificati, nonché le interazioni tra questi elementi”.

Si segnala, inoltre, il regolamento (UE) n. 1143/2014 del 22 ottobre 2014 recante

Disposizioni volte a prevenire e gestire l’introduzione e la diffusione delle specie esotiche invasive, che fa espresso riferimento ai concetti di resilienza359 e di servizi

358 Direttiva 2003/4/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 gennaio 2003, sull'accesso del pubblico all'informazione ambientale e che abroga la direttiva 90/313/CEE del Consiglio. 359 Considerando 26: “Le specie esotiche invasive, in genere, danneggiano gli ecosistemi e ne riducono la resilienza. È pertanto opportuno adottare misure di ripristino proporzionate atte a rafforzare la resilienza degli ecosistemi nei confronti delle invasioni, a riparare i danni prodotti e a migliorare lo stato di conservazione delle specie e dei loro habitat […] nonché lo stato ecologico delle acque […]”. E ancora, all’art. 19 sulle misure digestione: “2. Le misure di gestione consistono in interventi fisici, chimici o biologici, letali o non letali, volti all’eradicazione, al controllo numerico o al contenimento della popolazione di una specie esotica invasiva. Se del caso, tra le misure di gestione rientrano interventi sull'ecosistema ricevente, per aumentarne la resilienza verso le invasioni attuali e future.”

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ecosistemici360, per la cui più approfonditamente analisi si rimanda all’ultima parte

della trattazione e, a livello interno, al già citato Decreto direttoriale 11 ottobre 2017, prot. n. 460 “Programma nazionale di incremento della resilienza dei sistemi forestali naturali e semi-naturali mediante il recupero e ripristino strutturale e funzionale degli ecosistemi e della funzionalità dei loro servizi tramite azioni coerenti con la tutela e la conservazione della biodiversità (flora, fauna, vegetazione e paesaggio naturale e rurale) nelle aree protette percorse dal fuoco”.

Ai fini di nostro interesse risulta, infine, particolarmente incisivo il dettato della Direttiva sul danno ambientale 2004/35/CE361, per i motivi che si vanno di seguito

ad analizzare.

1. La disciplina del danno ambientale come sentinella