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2. Il diritto internazionale e comunitario

2.1. Il diritto ambientale e i suoi principi

2.1.1. Il principio “chi inquina paga”

Primo ad affermarsi a livello comunitario, il principio “chi inquina paga” nasconde nell’immediatezza della sua formula (che richiama quasi uno slogan, motivo per cui risulta essere il più “noto” all’opinione pubblica) una certa ambiguità e molteplici difficoltà a livello applicativo.

La ratio del principio è chiara: salvaguardare l’ambiente tramite misure cautelative o correttive, facendo ricadere i costi di tali operazioni sui responsabili dell’inquinamento (o, eventualmente, sui consumatori), e non sulla collettività. L’idea di fondo è evitare l’effetto perverso “ho pagato, quindi posso inquinare”, inducendo il produttore, previa determinazione di standard, a dotarsi degli strumenti idonei a ridurre o ad eliminare l’inquinamento (incentivi in questo senso possono avere anche carattere economico, costituendo, tra l’altro, un’importante spinta verso l’innovazione tecnologica90).

89 D. AMIRANTE, Diritto ambientale, cit., p. 42.

90 A. CROSETTI, R. FERRARA, F. FRACCHIA, N. OLIVETTI RASON, Diritto dell’ambiente, Bari, Laterza, 2005, p. 38.

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L’origine del principio in esame va individuata sicuramente nella teoria economica (in particolare nell’idea di internalizzare i costi della tutela ambientale attribuendoli agli “inquinatori” responsabili), ma acquista validità giuridica fin dagli anni ’70, nel diritto internazionale91 e in quello comunitario92.

La portata del principio è inizialmente alquanto limitata: nella Raccomandazione 75/436 del Consiglio delle Comunità europee, relativa alle modalità di applicazione del principio, si afferma che “le persone fisiche e giuridiche, di diritto pubblico o privato responsabili di inquinamento devono sostenere i costi delle misure necessarie per evitarlo o per ridurlo”93.

Nonostante l’apparente linearità del ragionamento di base, la dottrina94 che ha

maggiormente analizzato il principio in oggetto ha evidenziato diverse criticità. In primo luogo, il principio “chi inquina paga” rappresenta una regola di portata precettiva non solamente per i singoli individui ma anche per gli Stati. Sono proprio quest’ultimi, infatti, ad essere primariamente responsabilizzati sul versante dei costi derivanti dalle loro attività inquinanti o dagli episodi a seguito dei quali si sia prodotto un danno ambientale. E’ stato tuttavia evidenziato in dottrina95 come, di

tale responsabilità, difficilmente gli Stati siano stati chiamati a rispondere, soprattutto a causa delle difficoltà che si incontrano nel tentativo di bilanciare la

91 Una prima proclamazione si ebbe con la Dichiarazione di Rio de Janeiro: “le autorità nazionali dovranno adoperarsi a promuovere l’internalizzazione dei costi per la tutela ambientale e l’uso di strumenti economici, considerando che è di principio l’inquinatore a dover sostenere il costo dell’inquinamento, tenendo nel debito conto l’interesse pubblico e senza distorcere il commercio internazionale e gli investimenti.” Fondamentale risulta anche la raccomandazione dell’OCSE del 1972, riguardante i “principi orientativi relativi agli aspetti economici delle politiche dell’ambiente a livello internazionale”, cui fa seguito, dopo due anni, una ulteriore raccomandazione sull’applicazione del polluter-pays principle (PPP).

92 Un primo richiamo al principio “chi inquina paga” figura nel Trattato costitutivo dell’Unione europea agli artt. 174 e 175, comma 5.

93 G.U.C.E., n. L 144, del 25 luglio 1975.

94 Ex multis, M. MELI, Il principio comunitario “chi inquina paga”, Milano, Giuffrè, 1996 e M. CECCHETTI,

Principi costituzionali per la tutela dell’ambiente, Milano, Giuffrè, 2000.

95 V. TEOTONICO, Presupposti culturali e snodi politico-istituzionali per una tutela transnazionale

dell’ambiente, in F. GABRIELE, A.M. NICO (a cura di), La tutela multilivello, op. cit., p. 225, “se pare difficile individuare quale sia lo Stato effettivamente responsabile, diviene addirittura impossibile determinare quale sia lo Stato vittima: da una parte tutti potrebbero concorrere a determinare l’evento e, d’altra parte, tutti ne risulterebbero direttamente o indirettamente pregiudicati”.

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regola che consente ad ogni Stato di sfruttare le risorse del proprio territorio ed i costi ambientali che in tal modo determina anche a carico di altri Stati96, senza

andare ad intaccare la sovranità dello Stato stesso. Inoltre, particolare incidenza deve essere ricondotta all’influenza esercitata dalle relazioni internazionali e politiche97, che spesso favoriscono soluzioni di soprassedenza di fronte a situazioni

che sarebbero invece indubbiamente sanzionabili98.

Il principio in esame sembra aver riscosso maggior successo nell’ispirare, invece, le varie legislazioni nazionali circa la previsione di forme di responsabilità

individuali per danno ambientale99. Anche su questo versante, però, il principio in

esame non può definirsi privo di criticità: in particolare, si è osservato, la sua applicazione concreta porterebbe con sè l’accennata tendenza perversa volta alla “mercificazione” dei valori ambientali, autorizzando chiunque a danneggiarli, purché paghi100.

Questo principio può, in ultimo, essere interpretato almeno in due diverse accezioni101.

Da una parte può essere considerato come mero principio finalizzato all’addebito di oneri di risarcimento in capo ai responsabili di un danno dimostrabile e accertato nei confronti dell’ambiente, creando quindi i presupposti per una sorta di responsabilità oggettiva.

Secondo diversa e più diffusa interpretazione, invece, il principio va inteso come regola generale dell’azione del potere pubblico volta ad imputare le spese relative

96 Si pensi al danno grave e medio tempore irreversibile provocato dal disboscamento intensivo della foresta amazzonica. E’ risaputo come questa pratica comporti un deterioramento della qualità dell’atmosfera per il mancato assorbimento di Co2, integrando un grave danno ambientale di certa portata transfrontaliera.

97 Si pensi all’esempio dell’incidente nucleare di Chernobyl, i cui effetti inquinanti andarono di gran lunga oltre i limiti territoriali del Paese in cui ebbe luogo. Nonostante ciò, gli Stati danneggiati non avanzarono alcuna pretesa risarcitoria nei confronti dell’Unione Sovietica.

98 D. PORENA, La protezione dell’ambiente, cit., p. 102.

99 Per quanto riguarda l’Italia ci si riferisce alla codificazione del danno ambientale avvenuta con d.lgs. n. 152/2006.

100 D. PORENA, cit., p. 104.

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alla protezione, al ripristino ed al miglioramento della qualità dell’ambiente a chi, con la propria attività, rende necessari detti interventi102.

Il conflitto tra le due “anime” di questo principio può essere sostanzialmente superato, come è stato giustamente sottolineato103, alla luce di una

interpretazione sistematica ed evolutiva del ruolo dallo stesso giocato nella “triade” dei principi comunitari: se si considera la preminenza logica e sistematica, oltre che testuale, del principio di prevenzione (art. 191 TFUE, ex 174 del TCE), il principio oggetto d’analisi va ad assumere una funzione ausiliaria rispetto a questo, assurgendo a strumento generale di individuazione dei soggetti tenuti a sostenere i costi degli interventi di prevenzione, e costituendo la base per un ampliamento della responsabilità civile in materia di danno ambientale, come norma di chiusura del sistema.

Basato sull’idea di una tutela successiva dell’ambiente, infatti, questo principio deve svolgere un ruolo di complemento, nei casi in cui l’approccio preventivo si riveli insufficiente.