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L’ART 69 BIS E LA DISCIPLINA ANTIFRAU-­‐DOLENTA SULLE

DOLENTA SULLE COLLABORAZIONI CON

PARTITA IVA.  

poteva ignorare una tipologia contrattuale di confine con le collaborazioni continuate e continuative più abusate per mascherare rapporti di lavoro parasubordinato e subordinato e cioè il lavoro cd “a partita iva” con ciò intendendosi quello autonomo svolto da un titolare di posizione fiscale ai fini dell'imposta sul valore aggiunto, prevalentemente per un solo committente e senza la sussistenza di una organizzazione imprenditoriale

Con l'introduzione del nuovo articolo 69-bis (del decreto legislativo n. 276/2003, la riforma intende evidentemente restringere le condizioni di “uso” del lavoro autonomo e specificare i termini che lo qualificano come “abuso”.

Esso introduce una presunzione relativa circa la sussistenza dei requisiti della continuità e del coordinamento valevole per le prestazioni d'opera rese «da persona titolare di posizione fiscale ai fini dell'imposta sul valore aggiunto», in presenza di almeno due delle seguenti circostanze:

1.   durata del rapporto superiore ad almeno 8 mesi annui nell'arco di 2 anni consecutivi;

2.   svolgimento della prestazione a favore di uno o più committenti «riconducibili al medesimo centro d'imputazione di interessi» dal o dai quali il prestatore ricavi almeno l'80% dei corrispettivi complessivamente percepiti nell'arco dei 2 anni;

3.   la possibilità di disporre di una postazione fissa di lavoro presso una delle sedi dei committenti.

In presenza di almeno due di questi requisiti, la prestazione d'opera si presume caratterizzata, salvo prova contraria offerta dal committente, da coordinamento e continuità e, dunque, riconducibile nell'ambito applicativo dell'articolo 61 e, tramite esso ricade sotto l’area di operatività dell'articolo 69, comma 1, che, in assenza di un progetto specifico, sancisce la conversione ex lege del contratto in

contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dall'origine. La norma, quindi, fa leva sull’accertamento della sussistenza di una sostanziale dipendenza economica del prestatore di lavoro in una una presunzione legale relativa che la equipara alla fattispecie diversa delle collaborazioni coordinate e continuative, e, per essa alla ulteriore presunzione, questa volta assoluta, di riconduzione al lavoro subordinato, in base al meccanismo di conversione sancito

dall'articolo 69, comma 1196.

Poiché il meccanismo complessivo rischia di essere poco selettivo e con effetti devastanti, la norma è stata corredata di una complicata serie di esclusioni.

In particolare, oltre alle «prestazioni lavorative svolte nell'esercizio di attività professionali per le quali l'ordinamento richiede l'iscrizione [...] ad appositi registri, albi, ruoli o elenchi professionali qualificati e detta specifici requisiti e condizioni», qualora la prestazione presenti i seguenti requisiti:

a) sia connotata da competenze teoriche di grado elevato acquisite attraverso significativi percorsi formativi, ovvero da capacità tecnico- pratiche acquisite attraverso rilevanti esperienze maturate nell'esercizio concreto di attività;

                                                                                                                         

196  Sull'irrilevanza   delle   presunzioni   legali   relative   nella   qualificazione   dei   rapporti  di  lavoro,  in  generale,  si  veda  il  saggio  di  L.  NOGLER,  Sull'inutilità   delle   presunzioni   legali   relative   in   tema   di   qualificazione   dei   rapporti   di   lavoro,  in  Riv.  It.  Dir.  Lav.,  1997,  I,  314,  nonché,  con  particolare  riferimento   all'art.  69-­‐bis,  M.  NOVELLA,  Lavoro  subordinato,  lavoro  a  progetto,  lavoro   autonomo.  La  legge  n.  92/2012  ridefinisce  le  fattispecie?,  in  Lav.  Dir.  ,  2012,   n.  3-­‐4,  582,  per  il  quale  le  norme  in  materia  di  presunzione  relativa  «non   sono  idonee  ad  identificare  nuovi  confini  della  subordinazione,  essendo  il   loro   ruolo   limitato   alla   semplificazione   dell'accertamento   della   subordinazione».   Sostiene   che   gli   indici   individuati   dall'art.   69-­‐bis   siano   peraltro   incapaci,   anche   cumulativamente   considerati,   di   denotare   l'assenza   di   autonomia   giuridica   A.   PERULLI,   Il   lavoro   autonomo   e   parasubordinato  nella  riforma  Monti,  cit.,  564.  

b) sia svolta da soggetto titolare di un reddito annuo da lavoro autonomo non inferiore a 1,25 volte il livello minimo imponibile ai fini del versamento dei contributi previdenziali di cui all'articolo 1, comma 3, della legge 2 agosto 1990, n. 233.

Inoltre, a ben vedere, le esclusioni introdotte dal legislatore e lo stesso meccanismo sanzionatorio prefigurato dagli articoli 69, comma 1, e 69-bis sembrano indicare come, da un punto di vista di politica del diritto, il “falso” lavoro autonomo, da ricondurre forzosamente al lavoro subordinato, sia il lavoro esclusivamente personale, e in tal senso sicuramente quello svolto senza l’ausilio di collaboratori o dipendenti.

D’altra parte è stato rilevato che “la distinzione fra lavoro prevalentemente ed esclusivamente personale può contribuire ad un più ragionevole bilanciamento fra esigenze di regolazione e repressione, senza appiattire il variegato universo del lavoro autonomo sulla fattispecie della subordinazione. Tuttavia, tracciare un confine fra lavoro esclusivamente e prevalentemente personale è complesso e si presta a facili manipolazioni.

A tal fine, sembra possibile far riferimento al criterio suggerito tempo addietro per distinguere fra lavoro autonomo e impresa. In particolare, vi sarebbe lavoro autonomo fino a che il lavoratore utilizza nella produzione dell'opera o del servizio strumenti “inespressivi”, inidonei a configurare una produttività eccedente il lavoro individuale; viceversa, si ricade nell'area dell'impresa quando tale livello viene superato per il concorso di strumenti aggiuntivi, «quale che sia poi il

rapporto tra di essi e l'attività di lavoro del soggetto»197.

                                                                                                                         

197  O.   Razzolini,  Perché   avviare   una   riflessione   su   piccolo   imprenditore   e  

lavoro   prevalentemente   personale?,   in   Dir.   Rel.   Ind.,   4,   2013,   pag.   1080.  

Adde   A.   Perulli,   Il   lavoro   autonomo.   Contratto   d'opera,   professioni   intellettuali,   in   A.   CICU,   F.   MESSINEO   (già   diretto   da),   P.   SCHLESINGER  

In buona sostanza Il lavoro esclusivamente personale sarebbe compatibile con l'utilizzo di strumenti della produzione inespressivi (come il laptop, il computer, il telefono), non invece con l'utilizzo di strumenti della produzione aggiuntivi (dei collaboratori, la proprietà o locazione di un ufficio).

Merita una riflessione il fatto che la sussistenza delle prime due circostanze può essere accertata solo a posteriori, e cioè rispetto al periodo di 12 mesi già concluso.

In tal senso la norma comporta ulteriori campi di applicazione sui quali è intervenuta la circolare 32/2012 del Ministero del lavoro che ha evidenziato come:

–   quanto alla durata della collaborazione, poiché il D.L. 83/2012, modificando la originaria formulazione dell’articolo non menziona più l’anno solare il periodo in questione deve individuarsi nell’ambito di ciascun anno civile (1 gennaio – 31 dicembre);

–   quanto al periodo di 8 mesi esso deve essere interpretato come almeno pari a 241 giorni;

–   tenuto conto dell’entrata in vigore della norma (18.07.2012) le condizioni potranno essere rilevate solo a partire dagli anni civili 2013 e 2014;

–   quanto alle deroghe all’operatività della presunzione, entrambe le condizioni indicate nella norma devono sussistere.

                                                                                                                         

(continuato  da),  Trattato  di  diritto  civile  e  commerciale,  vol.  XXVII,  tomo  1,   Giuffrè,  1996,  41-­‐42.  

2.10 IL CONFINE CON ALTRE TIPOLOGIE