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Luca Montanar

3. L’economia materna del dono

La naturale osmosi tra vita sociale e vita mentale, interpretata dal patriarcato nei termini di utilità monetaria, è fatta rinascere dalla Vaughan sotto il segno della cura e del bisogno. Un’altra economia è possibile solo a partire da una differente concezione sia antropologica che di onto- logia sociale; il primo passo da compiere per la nostra autrice è, infatti, quello di relativizzare lo scambio restituendo così centralità alle persone. La prima indicazione fornitaci dalla Vaughan in proposito è quella del carattere eminentemente fondativo delle relazioni di dono per la società intera.

Legando la logica del dono a quella materna la pensatrice americana ci mostra come l’aver cura dell’alterità – il nutrire, come viene spesso chiamato22 – sia la normale base dei rapporti

umani non sclerotizzati; «gli esseri umani sono prima di tutto esseri che donano e ricevono».23

Nel parlare di logica materna del dono, va sottolineato, la Vaughan non vuole assegnare al solo sesso femminile tale prerogativa; essa è da intendersi piuttosto un dato storico e culturale. «Non

13 Adorno 1951, p. 155. Da notare che questa richiesta di adeguamento al principio di realtà, va di pari passo con la necessità da parte del mercato di istituire metafisicamente l’economia come scienza della scarsità; senza quest’ultima il patriarcato non riuscirebbe a sovvertire l’abbondanza del dono e ad affermarsi. Cfr. Vaughan 1997, p. 221. Per una definizione di economia come scienza della scarsità Cfr. Robbins 1935, p. 20.

14 Per una visione schematica delle differenze che sussistono tra paradigma del dono e quello dello scambio Cfr. Vaughan 2015, pp. 435-436.

15 Brezzi 2017, p. 25. 16 Cfr. Bauman 2007, p., 134. 17 Cfr. Vaughan 2004b, p. 9. 18 Ead. 1997, p. 260.

19 Cioè dell’assunzione dell’Io a misura privilegiata del reale. Cfr. Levinas 1971. 20 Cfr. Vaughan 2017b, p. 27.

21 Cfr. Simmel 1900, p. 122. 22 Cfr. Vaughan 2015, pp. 180-186. 23 Ead. 1997, p. 23.

si tratta di pensare ad un istinto o a un’essenza femminile, né di credere che tutte le donne siano fedeli a tale sapienza, visto che di fatto molte di loro hanno aderito ai modelli maschili dello scambio e della competizione».24 Il dono, la condizione del prendersi cura, è infatti una logica

d’azione legata all’aderire alla vera essenza umana, a prescindere dalla divisione dei sessi; essa è la più fondativa delle esperienze umane.

La nostra capacità di prenderci cura dell’altro – costantemente minacciata nella sua soprav- vivenza dallo scambio25 – si dà, infatti, nella specifica modalità del dono unilaterale; quest’ultimo

si manifesta in maniera paradigmatica nella relazione madre-bambino,26 ma la medesima logica,

nella sua forza creatrice, si dà in ogni relazione non alienata. «Ciò che vorrei dimostrare è che il dono unilaterale è la modalità fondativa dell’interazione umana, già esistente e funzionante, ma alimentata da metà della specie umana a causa dell’imposizione della costruzione sociale asso- ciata di genere maschile che ha in questo modo alterato profondamente le circostanze e la co- struzione sociale del genere per l’altra metà del genere umano».27 Rinnegare il dono è dunque

per Genevieve Vaughan rinnegare la propria umanità.28

In questo processo pan-umano, il dono si qualifica come quella modalità tramite la quale gli individui si costituiscono reciprocamente secondo più livelli di struttura: antropologico, politico, sociale ecc. L’inesauribilità della logica del dono, fondativa anche per i soggetti socializzati dal patriarcato – in quanto, semplicemente, i loro bisogni in età infantile sono stati curati – si mostra nell’impossibilità da parte del capitalismo nello staccarsi da tale processo, anche se reinterpre- tato in modo deviante.29

Proprio come il dare e ricevere materiale, necessari alla sopravvivenza, «il dare-e-ricevere verbale contribuisce alla [formazione dei] soggetti sociali, dotati di identità psicologiche».30 Il

pensiero stesso impara ad accogliere la realtà irripetibile dell’altro che si qualifica come bisogno umano di relazionalità autentica. Doni verbali e doni materiali contribuiscono a creare legami e connessioni con tutta quella molteplicità di aspetti del mondo che non si vuole soggiogare ridu- cendoli al monismo del proprio io. La costituzione intersoggettiva data dal dono – sia verbale che materiale – sta a sottolineare «che la funzione primaria del linguaggio non è quella di dare nomi alle cose, ma di costituire un mondo, un mondo umano».31

Il dono unilaterale – radice della logica economica materna – regola la reciprocità secondo rapporti di autenticità. La cura è attuazione del dono e quest’ultimo è indirizzato al soddisfaci- mento dei bisogni altrui, un bisogno che si scopre essere sia esistenziale che antropologico in quanto, come già affermato in merito al “nutrimento” linguistico, l’altro è sempre un bisogno per l’io con cui si relaziona, esso si scopre già da sempre presente nel percorso di costruzione della soggettività.

Contrariamente a quanto avviene nel capitalismo, dove lo scopo dello scambio è soddisfare un proprio bisogno, il dono valorizza l’alterità – irripetibile e mai assunta come termine neutro – costituendo così il corpo della comunità. Il valore del dono è «valore che viene attribuito all’al- tro per mezzo della soddisfazione unilaterale dei suoi bisogni».32 L’intenzionalità transitiva del

donare è orientata, infatti, dal bisogno dell’altro (nella doppia valenza materiale e relazionale); riconoscendo l’uomo come valore incarnato dall’intrinseca dignità, il dono celebra la differenza attuandosi nella sapienza della cura.33 Come ci ricorda Heidegger è proprio nella cura che si

24 Mancini 2014, pp. 143-144. 25 Cfr. Vaughan 1997, p. 295. 26 Cfr. Ivi, p. 42. 27 Ead. 2007, p. 57. 28 Ivi, p. 237.

29 Cfr. Ibid. Vedi anche il parallelismo messo in luce da Pierre Macherey tra produzione capitalista del valore e la logica triadica del dono elaborata da Marcel Mauss. Cfr. Macherey 2012, pp. 20-22.

30 Vaughan 1997, p. 45. 31 Petrilli 2017, p. 149. 32 Vaughan 2017b, p. 22.

rende conto dell’unità e dell’autenticità del sé, dove si gioca l’alternativa binaria tra umanizza- zione e disumanizzazione.34 Questo versante d’opposizione trova la sua radice nella consapevo-

lezza che il dono, non essendo riducibile alla logica materialistica dello scambio do ut des, veicola un valore di tipo eminentemente umano che scaturisce dal riconoscimento dell’intrinseca di- gnità creaturale sia del bisogno che della nutrizione; nel donare non circola solo ciò che si vede, ma una più profonda istanza relazionale dove persone autentiche si aprono ad una specifica alterità donandosi vicendevolmente.

Rifiutando di fondare la morfogenesi sociale su di un’aggregazione monadologica basata sul mero utile, la Vaughan afferma che è proprio il dono vissuto a creare ed alimentare i legami umani. Ciascun individuo è parte di una collettività nella quale la molteplicità dei doni (linguistici, materiali, culturali ecc.) vengono vicendevolmente dati costituendo così specifiche identità.

Il donare per soddisfare i bisogni crea […] dei legami tra chi dona e chi riceve: riconoscere il bisogno altrui e fare in modo di soddisfarlo è riconoscere da parte di colui che dona l’esistenza dell’altro/a, così come ricevere da qualcun altro qualcosa che soddisfi il proprio bisogno, comporta che chi riceve riconosce l’esi- stenza di tale altro.35

Il dono che si qualifica come cura è dunque un’azione motivata dal valore dell’altro, nel ri- conoscere e soddisfare il bisogno di quest’ultimo lo si riconosce nella propria umanità. La teoria del dono di Genevieve Vaughan è, di fatto, un programma di etica della cura,36 non istituziona-

lizzata o costretta dentro rigide regole (come farebbe il patriarcato). Per usare un’espressione levinassiana, la giustizia, se non vuole degenerare nel giustizialismo, va tradotta volto per volto, senza omologare la dimensione della diversità a quella dell’io.37

«È nel dare e ricevere la pratica materna […] che possiamo trovare il modello per vivere in pace l’uno con l’altro, per poter fermare la sopraffazione e la distruzione della Terra».38 La cura,

infatti, non va ridotta al solo rapporto di nutrimento tra un io ed un tu; essa assume una dimen- sione potenzialmente globale qualificandosi come cura della casa comune.39 Non è un caso che

Genevieve Vaughan arrivi a parlare di pace globale come prossimo passo da compiere per un’au- tentica evoluzione umana.40