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L'evoluzione storica della tutela giurisdizionale del silenzio

CAPITOLO 5) LE MODALITA' DI CONCLUSIONE DEL

4. L'evoluzione storica della tutela giurisdizionale del silenzio

Contro il silenzio serbato dalla PA sorse, in origine, nell’ambito dei ricorsi amministrativi, la soluzione rappresentata dal sistema delineato dalla cd. legge Crispi (legge 21 marzo del 1889 n. 5992) che condizionava l’accesso alla tutela dinanzi alla (neo istituita) IV Sezione del Consiglio di Stato alla definitività del provvedimento amministrativo: ne discendeva che la mancata decisione sul ricorso amministrativo sortiva l’effetto di impedire l’adizione112

del Supremo Consesso (costituendo violazione del principio di funzionalizzazione dei poteri amministrativi).

Sin dagli albori, pertanto, si è tentato di porre rimedio a tale fenomeno, a tutela delle aspettative ingiustamente vanificate dalle continue omissioni tenute dalla PA: in tal senso, meritano di essere segnalate la decisione del Consiglio di Stato n. 78/1894, e, per il suo indubbio valore storico oltre che giuridico, la celebre decisione del Consiglio di Stato Sez. IV, 22 Agosto 1902 n. 429, meglio nota come “pronuncia Longo”113. Tale decisione introdusse un meccanismo procedurale in base al quale, trascorso un “congruo” periodo dalla presentazione del ricorso gerarchico, l’interessato poteva notificare all'amministrazione una diffida, intimando a decidere entro un termine (anche questo definito “congruo”). Scaduto quest’ultimo e perdurando l’inerzia, il ricorso

112M. CORRADINO, Termini, efficacia dei provvedimenti e silenzio dell’Amministrazione nelle “riforme” della legge n. 241/1990, in www.giustizia-amministrativa.it.

doveva intendersi rigettato, con conseguente possibilità per il privato di adire la IV Sezione, impugnando la decisione tacita di rigetto.

Tale meccanismo fu recepito dall’art. 5 del T.U. della legge comunale e provinciale 3 marzo 1934 n. 383 che introdusse termini fissi (in luogo dei termini congrui), pari, rispettivamente, a 120 e 60 giorni.

La giurisprudenza successiva114 estese il meccanismo descritto

alla diversa fattispecie del silenzio – inadempimento (o rifiuto)115,

caratterizzate dalla assoluta inerzia della PA (mentre, nelle ipotesi di silenzio–rigetto sussisteva pur sempre un atto gravato in via gerarchica e, dunque, una manifestazione di volontà della PA). La disciplina descritta fu poi radicalmente modificata dalle riforme del 1971 (legge n. 1034/71, istitutiva dei TT.AA.RR. e D.P.R. n. 1199/71 in materia di “Semplificazione dei procedimenti in materia di ricorsi amministrativi”).

In particolare, l’art. 6 del D.P.R. n. 1199/1971 ridisegnò il procedimento di formazione del silenzio - rigetto, stabilendo che:

“decorso il termine di novanta giorni dalla data di presentazione del ricorso senza che l'organo adito abbia comunicato la decisione, il ricorso si intende respinto a tutti gli effetti, e contro il provvedimento impugnato è esperibile il ricorso all'autorità giurisdizionale competente, o quello straordinario al Presidente della Repubblica”.

Successivamente, la questione della perdurante applicabilità del meccanismo ex art. 5 T.U. n. 383/1934 per la formazione del silenzio – rifiuto116 fu, ben presto, sottoposta all’esame della 114 Cons.St., Sez.VI, 29 Ottobre 1951 n. 534.

115Sulla differenza tra silenzio-rifiuto e silenzio-inadempimento, cfr. SCOCA, D'ORSOGNA , Silenzio, clamori di novità, in Dir. proc. Ammin., 1995.

116QUARANTA, Il silenzio della pubblica amministrazione (Nuovi profili derivanti dalla disciplina del D.P.R. 24 novembre 1971 n. 1199 e della L. 6 dicembre 1974 n. 1034), in Foro amm. 1972; MOSCATELLI, Il silenzio della pubblica amministrazione dopo l’istituzione dei tribunali regionali: silenzio rifiuto e silenzio rigetto, in Nuova rassegna 1973, 1893; ROEHRSSEN,

giurisprudenza amministrativa.

La disputa fu risolta dalla nota decisione dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 10/1978117 (che accolse l’autorevole tesi

della dottrina)118 con la quale si individuò, quale disciplina

applicabile alla fattispecie, quella dell'art. 25 del T.U. degli impiegati civili dello Stato (D.P.R. n. 3/1957), secondo cui: “decorsi

inutilmente sessanta giorni dalla presentazione di un'istanza, il privato è tenuto a invitare l’amministrazione a provvedere entro un termine non inferiore a trenta giorni, mediante diffida notificata nelle forme previste per gli atti giudiziari. Se trascorso tale termine la PA non provvede, può dirsi formato il c.d. silenzio-rifiuto, impugnabile dinanzi al giudice amministrativo”.

Tale soluzione, rappresentò la definitiva consacrazione della tesi cd. comportamentale del silenzio della PA, tesi già avanzata dall’Adunanza plenaria n. 8/1960 (e successivamente ribadita dall’Adunanza plenaria n. 16/1989), contro la tesi “attizia”119

sostenuta dall’Adunanza plenaria n. 4/1978, sebbene l’orientamento giurisprudenziale dominante (superato dalla riforma del 2005), secondo cui il silenzio deve essere “impugnato” entro il sessantesimo giorno dalla sua formazione, decorrente dalla scadenza di quello assegnato alla PA stessa nell’atto di diffida, mal si concilia con la valenza comportamentale del silenzio.

Imposto l’obbligo di concludere il procedimento con un provvedimento espresso da parte della legge n. 241/1990,

Notazioni sulla impugnabilità del silenzio della pubblica amministrazione, in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile 1974, 127; SALONE, “Silenzio- rifiuto”, abrogazione dell’art.5 T.u. n. 383 del 1934 e termine per provvedere da parte della pubblica amministrazione, in Consiglio di Stato 1974, II, 1290.

117 In Foro italiano 1978, III, 352 con nota di GALLO, Consiglio di Stato 1978, II, 391 con nota di CIACCIA, Foro amministrativo 1978, I, 415, Giurisprudenza italiana 1978, III, 305.

118SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, 1959; ID.,Il giudizio davanti al Consiglio di Stato e ai giudici sottordinati, Napoli, 1963.

119M. CORRADINO, Termini, efficacia dei provvedimenti e silenzio dell’Amministrazione nelle “riforme” della legge n. 241/1990, in www.giustizia-amministrativa.it.

giurisprudenza e dottrina si sono interrogate se fosse ancora necessario attivare il meccanismo ex art. 25 D.P.R. n. 3/1957 ai fini dell’ammissibilità del ricorso contro il silenzio.

In particolare, la dottrina prevalente aveva optato per ritenere superato il meccanismo disegnato dall’Adunanza Plenaria n. 10/1978. Si è sostenuto, infatti, che scaduto il termine stabilito dalla legge n. 241/1990 (ovvero dai regolamenti attuativi), il silenzio assumesse carattere ontologicamente illecito così da rendere superflua l’attivazione dell'art. 25 D.P.R. n. 3/1957.

Parte minoritaria della giurisprudenza aveva affermato che a seguito dell'entrata in vigore della legge n. 241/1990, colui che volesse impugnare, in sede giurisdizionale, il silenzio inadempimento della PA poteva farlo immediatamente, senza porre in essere la rigorosa sequenza di cui all'art. 25 T.U. n. 3/1957, costituendo l'inerzia nel provvedere, comportamento lesivo dell'interesse legittimo di colui che avrebbe dovuto essere destinatario di una pronuncia120.

Si osserva121 come la legge di riforma del processo amministrativo

n. 205/2000 offrisse due argomenti, uno funzionale, l’altro sistematico, che imponevano di escludere che l’accesso all’azione di impugnativa del silenzio fosse condizionata dal previo esperimento della procedura di messa in mora della PA. Sul piano funzionale la nuova legge, nel sancire la rilevanza del silenzio, consentiva di superare il formalismo legato alla visione tradizionale dell’atto presunto o tacito e della necessità di rendere significativo, con la diffida, il silenzio dell’amministrazione.

Sul piano dei principi, invece, l’articolo 21 bis122 nulla diceva in 120TAR Reggio Calabria, Calabria, 5 Febbraio 2002, n. 54; TAR Lazio, Sez. II, 23

Novembre 1993, n. 1440; TAR Latina, Lazio, 11 Febbraio 1993, n. 138.

121 TAR Napoli, Campania, Sez. I, n. 4977/2001.

122SASSANI, Prime considerazioni sulla nuova procedura del silenzio, in Giust. Civ. 2000, II, 455; FANTINI, Il rito speciale in materia di silenzio della pubblica amministrazione, in TAR 2000, II, 609; IARIA, Il ricorso e la tutela contro il silenzio, in Giornale di diritto amministrativo, 2000, 1074; TOGNOLETTI, Commento all’art.2 della legge 21 luglio 2000 n. 205, in Le

ordine alla condizione della previa messa in mora, che avrebbe trovato dunque il suo unico fondamento in una giurisprudenza formatasi prima e al di fuori della legge, nella quale la nuova azione contro il silenzio della PA (art. 21 bis della legge 1034/1971 come novellata dalla legge 205/2000), era volta a sanzionare il silenzio come fatto di inadempimento dell’obbligo di provvedere e prescinde dal qualsivoglia significato implicito si decida di attribuire al comportamento passivo dell’amministrazione123.

A seguito della riforma recata dalla legge 15 del 2005, la diffida non rappresenta dunque più presupposto necessario per l’ammissibilità del ricorso contra silentium; viene infatti accolta la tesi secondo cui, a garanzia del cittadino, l’art. 2 legge 241/1990, abbia formalizzato il principio del dovere degli enti pubblici di procedere qualora sussistano i presupposti di legge. Né, è possibile, affermare che la diffida sia necessaria per consentire al privato di acquisire la piena conoscenza del dies a quo per il computo dei termini decadenziali, a questo scopo risponde infatti la predeterminazione dei tempi procedimentali, la cui conoscenza da parte del privato nella disciplina ante riforma era assicurata dalla pubblicità delle relative disposizioni regolamentari124.

Coerentemente l’art. 8 della stessa legge, stabilisce oggi che la

nuove leggi civili commentate 2001, 575; MIRATE, Silenzio della pubblica amministrazione e azione di condanna: riflessioni sul sindacato del giudice amministrativo nel giudizio ex art.21 bis della L. 1034/71, in Giurisprudenza italiana 2001, I, 1993; GIACCHETTI, Il ricorso avverso il silenzio dell’amministrazione e “le macchine di Munari”, in Consiglio di Stato 2001,II,471; MARRAMA, Nuovo rito nel giudizio sul silenzio non significativo della pubblica amministrazione, Consiglio di Stato, 1987; GRECO, L’art.2 della legge 21 luglio 2000 n. 205, in Diritto processuale amministrativo 2002, 1; SCOCA, Il silenzio della pubblica amministrazione alla luce del suo nuovo trattamento processuale, Diritto processuale amministrativo 2002, 239.

123M. CORRADINO, Termini, efficacia dei provvedimenti e silenzio

dell’Amministrazione nelle “riforme” della legge n. 241/1990, in www.giustizia-amministrativa.it.

124OCCHIENA, vedi CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2004; DE ROBERTO, Il silenzio del funzionario responsabile del procedimento amministrativo, in Nuova rassegna, 1992, 2068.

comunicazione di avvio del procedimento debba indicare, rispettivamente, la data entro la quale, secondo i termini previsti, deve concludersi il procedimento e i rimedi esperibili in caso di inerzia dell'amministrazione, e nei procedimenti ad iniziativa di parte, la data di presentazione della relativa istanza.

Eliminata dunque la necessità della diffida all'amministrazione inadempiente, il ricorso può essere proposto “fin tanto che

perdura l'inadempimento e comunque non oltre un anno dalla scadenza dei termini di cui ai commi 2 o 3” art. 31 c.p.a.. Si precisa

altresì che “è fatta salva la riproponibilità dell'istanza di avvio del

procedimento ove ne ricorrano i presupposti”.

In particolare, in relazione a tale ultima prescrizione è stato osservato come l’inerzia dell’amministrazione su un procedimento avviato ad istanza di parte non costituisca esercizio del potere, ma semplice fatto di inadempimento (a differenza di quanto avviene in caso di silenzio assenso). Perciò il potere può sempre essere esercitato, anche in pendenza di giudizio sul silenzio, e persino sulla base di nuova istanza di parte125.

Possiamo dunque concordare con la dottrina126 che, stante la

formulazione del comma 4 bis127 introdotto dalla legge 15 del

2005, la diffida sia comunque suscettibile di volontaria applicazione da parte dell’istante.

125CERULLI, IRELLI, in www.giustamm.it.

126OCCHIENA in www.giustamm.it.

127Art. 2 comma 4 bis: “Decorsi i termini di cui ai commi 2 o 3, il ricorso avverso il silenzio, ai sensi dell'articolo 21 bis della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, e successive modificazioni, può essere proposto anche senza necessità di diffida all'amministrazione inadempiente fin tanto che perdura l'inadempimento e comunque non oltre un anno dalla scadenza dei termini di cui ai commi 2 o 3. E' fatta salva la riproponibilità dell'istanza di avvio del procedimento ove ne ricorrano i presupposti”.

5. La tutela giurisdizionale odierna del silenzio non