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La comunicazione finanziaria: informativa obbligatoria e volontaria

2.6.1 Informativa obbligatoria (mandatory disclosure)

Gli obblighi di informativa societaria permettono di mantenere un equilibrio tra l’esigenza di diffondere le notizie e quella di tutelare gli interessi di coloro che sostengono costi per la produzione e analisi delle informazioni. Naturalmente gli obblighi di legge non possono risolvere completamente le asimmetrie informative, ma costituiscono una comune base di partenza.

L’informativa obbligatoria deriva da vincoli legislativi e regolamentari e consiste principalmente nel bilancio annuale di esercizio e nelle relazioni periodiche (trimestrali e semestrali) delle società quotate. È bene notare che questo genere di documenti sono vincolati da norme fiscali e giuridiche, presentano un forte orientamento al passato e non evidenziano la complessità dei rischi. Inoltre, dovendo comporre interessi di varie categorie di soggetti, non sono in grado di far fronte alle diverse esigenze informative.

In Italia la principale normativa di riferimento in tema di comunicazione obbligatoria è rappresenta, oltre che dal codice civile, anche dal Decreto Legislativo 58/1998 (Testo Unico della Finanza -TUF) e in particolare dall’art.114 che ha istituito l’obbligo per le società quotate di informare il pubblico delle informazioni c.d price sensitive che le riguardano. Tale decreto ha recepito le direttive comunitarie in materia, fissando alcuni principi generali e lasciando alla Consob il compito di dettare i

regolamenti di attuazione (Regolamento attuativo n. 11520/1998). Tali normative costituiscono il primo sforzo volto a creare un sistema organico e razionale di regole in materia di informazione societaria e a indirizzare i comportamenti degli operatori verso la tutela dell’investitore, l’efficienza del mercato e una maggiore trasparenza informativa. Infatti alle società quotate è richiesto di rispettare i tradizionali obblighi informativi periodici (bilancio d’esercizio, relazioni trimestrali e semestrali), nonché di rendere pubblica l’informativa episodica tipica (operazioni straordinarie, esercizio dei diritti speciali, esistenza di patti parasociali) e non tipica (i c.d. “fatti rilevanti”). Inoltre a partire da gennaio 2006 è entrata in vigore anche la legge sulla tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari (L. 262/2005).

La diffusione della proprietà del capitale produttivo e gli scandali finanziari (per esempio Enron, Worldcom, Cirio, Parmalat) hanno accelerato l’adozione di norme comuni a più Paesi a tutela delle trasparenza. Tra queste rientrano la direttiva comunitaria per combattere l’abuso di informazioni privilegiate e la manipolazione del mercato, il c.d. market abuse (Direttiva CEE 6/2003) e il codice di autodisciplina in tema di corporate governance delle società quotate entrato in vigore nel 2007.

Inoltre, in ambito comunitario, a seguito dell’adozione del Financial Services Action Plan (FSAP) è stata avviata una riorganizzazione strutturale del mercato finanziario europeo allo scopo di creare un mercato integrato e competitivo. La direttiva più importante è la la MiFID (Market in Financial Instruments Directive), che ha lo scopo di rafforzare i meccanismi concorrenziali, di tutelare gli investitori e favorire l’efficienza e l’integrità dei mercati finanziari stessi (Direttiva CEE 39/2004). Entrata in vigore dal 1° novembre 2007, la MiFID introduce delle novità sia nei confronti degli intermediari (come i requisiti di organizzazione delle funzioni operative, la tipologia di informazioni fornite ai clienti, la classificazione della clientela, l’adeguatezza e appropriatezza dei servizi di investimento, la gestione degli ordini dei clienti, la consulenza in materia di investimenti, ecc.) sia nei confronti dei mercati (come l’eliminazione dell’obbligo di concentrare gli scambi sui mercati regolamentati, l’introduzione di nuove figure di trading venues, le regole di trasparenza pre e post negoziazione, ecc.).

Nell’ottobre 2011 tale direttiva è stata oggetto di proposta di modifica (la c.d. MiFID II), nelle cui disposizioni vengono consolidati i requisiti personali e professionali dei responsabili della gestione delle imprese di investimento (esperienza, adeguata conoscenza della materia, integrità e indipendenza). La proposta di revisione comprende la regolamentazione dei sistemi organizzati di negoziazione OTF (Organised Trading Facilities), oltre che degli MTF (Multilateral Trading Facilities), estendendo anche alle obbligazioni, ai prodotti finanziari strutturati ed agli strumenti derivati le regole di trasparenza già previste dalla Direttiva MiFID per i mercati azionari.

Spesso i Legislatori si sono preoccupati di integrare e correggere le informazioni contenute nei bilanci, senza regolare una serie di informazioni non strettamente economico-finanziarie, a cui i soggetti cono comunque interessati (si pensi, per esempio, alle valutazioni quantitative e qualitative contenute nella relazione sulla gestione). Come conseguenza di ciò si verifica una distanza tra le informazioni fornite dai bilanci e la tipologia di informazioni richieste dai pubblici dell’impresa. Da uno studio condotto da PricewaterhouseCoopers emerge che circa il quaranta per cento degli analisti e degli investitori ritiene che le informazioni fornite dai bilanci italiani non siano particolarmente utili, al contrario di quanto sostengono le società stesse. Questo significa che le imprese sono lontane dal comprendere le esigenza informative di analisti e investitori [Terzani, 2004: 85].

Oggi sempre di più i documenti periodici obbligatori vengono pubblicati tramite Internet, grazie anche all’eXtensible Business Reporting Language (XBRL), ossia lo standard che rende la raccolta e l’elaborazione delle informazioni meno costosa e più trasparente. Questo nuovo linguaggio ha ridotto le possibilità di manipolazione di dati ed errori, presentando numerosi benefici in termini di tempestività, accuratezza e risparmio di costi nella preparazione e invio dei documenti, nonché nelle attività di verifica e nell’elaborazione del loro contenuto da parte dei destinatari [Di Carlo, 2008]. 2.6.2 Informativa volontaria e integrativa (voluntary disclosure)

Tale informativa viene proposta da ciascuna impresa a completamento ed integrazione dell’informativa obbligatoria per soddisfare i bisogni informativi di

mercato o aziendali volti a valutare la capacità competitiva industriale ed economico- finanziarie dell’impresa. Essa contribuisce a diffondere una certa immagine aziendale e favorisce l’ottenimento del consenso. La comunicazione volontaria quindi gioca un ruolo determinante nella creazione del valore e nel mantenimento del rapporto con i diversi interlocutori, servendosi di indicatori di performance economica-finanziaria e non (per esempio la balanced scorecard, skandia navigator, bilancio sociale, ecc.) [Brogi, 1999].

La crescente necessità di attrarre nuovi investitori e finanziatori, ma soprattutto il divario tra le informazioni desumibili dal bilancio e il potenziale di cui dispone l’impresa al fine di una futura generazione di valore ha portato ad integrare l’informativa di bilancio con una volontaria, continua e tempestiva, veicolata anche al di fuori dei tradizionali canali di comunicazione (pubblicità istituzionale, pubblicità finanziaria, relazioni pubbliche e con i media, relazioni con gli investitori, roadshows) e in particolare attraverso i siti web [De Cicco, 2010]. I dati e le informazioni diffuse su base volontaria spesso riguardano gli intangibles e a tal proposito il bilancio sociale e il bilancio di sostenibilità sono esempi di ciò.

È vero che la piena disclosure può comportare dei costi proprietari derivanti dal comunicare informazioni che possono danneggiare la posizione competitiva dell’impresa [Verrecchia, 1983; Wagenhofer, 1990; Newman e Sansing, 1993; Gigler, 1994]. Non sembrerebbe quindi conveniente comunicare le informazioni strategicamente sensibili, anche se questo riduce il costo del capitale e l’asimmetria informativa. Tuttavia Mantovani e Bagnoli hanno dimostrato che le imprese quotate sono incentivate ad arricchire la disclosure volontaria del loro modello di business per consentire agli investitori di cogliere le fonti durevoli del loro vantaggio competitivo. Infatti il mercato finanziario è effettivamente sensibile alle strategie di disclosure volontaria, privilegiando le imprese caratterizzate da una maggiore trasparenza informativa [Mantovani e Bagnoli, 2009].

Inoltre Bagnoli e Redigolo hanno condotto un’analisi del livello di disclosure volontaria del modelli di business adottato da tre imprese manifatturiere italiane nel redigere il prospetto informativo di quotazione per capire se differenze nel modello di

business (in particolare il tipo di innovazione adottata) si riflettano in altrettante differenze nella strategia di comunicazione. Dall’analisi è emerso che i modelli di business fondati su innovazioni di tipo design-driven (attribuzione di nuovi significati ai prodotti attuali per soddisfare esigenze latenti) o technology-push (miglioramento delle prestazioni dei prodotti attuali o creazione di nuovi mercati) comportino una minore propensione alla divulgazione delle capacità distintive [Bagnoli e Redigolo, 2011].