• Non ci sono risultati.

Capitolo III. IL CASO DI STUDIO

III.4 La dimensione tecnologica

Questo paragrafo è dedicato alla descrizione del modello di sviluppo che è stato ideato durante la fase preliminare del progetto tra lʼinverno e lʼestate del 2008. Al centro della ricerca effettuata vi fu lo studio di una pipeline di lavoro innovativa, totalmente basata su tecnologie aperte, che permettesse la comunicazione di dati storici al pubblico di massa. Il motivo che portò a preferire tale approccio era la volontà di dotare Nu.M.E. 2010 di caratteristiche di unicità e di originalità che non si limitassero alla sola dimensione metodologica della ricostruzione virtuale. Vista ex-

post, la prospettiva tecnologica adottata ha dimostrato, infatti, di essere un ottimo

esempio dellʼinnovazione che le tecnologie digitali possono portare nel settore dei beni culturali e di come un progetto di musealizzazione possa diventare sostenibile anche se viene sviluppato in contesti privi di considerevoli risorse economiche e u m a n e . L a d i m e n s i o n e tecnologica adottata in Nu.M.E. 2010 ha permesso al progetto di a n d a r e o l t r e l a m e r a rielaborazione di contenuti storici per il pubblico di massa. Il r i s u l t a t o r a g g i u n t o è l a realizzazione di un complesso sistema di visualizzazione 3D basato su alcune delle più avanzate tecnologie che sono oggi disponibili a costo zero. Per p o t e r d e fi n i r e a l m e g l i o lʼapproccio utilizzato si deve fare un passo indietro e rivolgere lo sguardo al mondo dellʼinformatica. Nella scienza dellʼinformazione il termine open

source identifica un software distribuito al pubblico con un tipo di licenza che

permette di rendere aperto a tutti lʼaccesso al codice sorgente; questʼultimo è lʼinsieme dʼistruzioni e variabili che costituisce il cuore della tecnologia che si sta utilizzando. Il vantaggio di questa politica di apertura permette agli sviluppatori del software, oppure alla società che ne gestisce lo sviluppo, di appoggiarsi a una vasta comunità di utenti, beta tester e programmatori, che fornisce un contributo appassionato, competente e gratuito al miglioramento di tale tecnologia. I risultati che si possono ottenere con questo tipo dʼimpostazione raggiungono livelli di complessità ed efficienza che difficilmente sarebbero realizzabili da un singolo gruppo di sviluppatori senza lʼinvestimento dʼingenti somme di denaro.

Volendo fornire una contestualizzazione storica del fenomeno dei sistemi aperti, bisogna senza dubbio menzionare uno dei pionieri della diffusione libera delle tecnologie, cioè Richard Stallman. Nel 1985 egli fondò la Free Software Foundation, unʼassociazione internazionale dedita alla tutela e alla promozione di una nuova etica relativa alla creazione, uso e diffusione delle tecnologie. Richard Stallman fu il primo a definire i concetti di software libero e di sistema aperto in alcuni suoi articoli e saggi scritti in quel periodo170. Le idee libertarie del fisico statunitense, basate sulla

pratica della condivisione delle informazioni e sulla riformulazione del diritto dʼautore,

170 Cfr. R. Stallman, Free Software, Free Society: Selected Essays of Richard Stallman,

Boston, Free Software Foundation 2002.

cominciarono a circolare dapprima tra i programmatori del MIT di Boston e poi si diffusero nelle università degli Stati Uniti e dʼEuropa. Col passare del tempo, lʼidea di creare un modello di sviluppo alternativo alla commercializzazione delle opere dʼingegno e alla logica del profitto a tutti i costi valicò i confini dellʼinformatica, contaminando i più svariati ambiti della produzione culturale. Celebri esempi di tale fenomeno sono la licenza copyleft GNU General Public License171, il sistema di

tutela degli autori di contenuti digitali Creative Commons172 e i progetti della

Wikimedia Foundation, popolarissimi nellʼEra del Web 2.0173.

Negli ultimi anni Novanta, grazie anche alla rapida diffusione del sistema operativo GNU/Linux174, il ricorso alle tecnologie aperte venne preso in considerazione anche

da diverse compagnie private, tra tutte ricordiamo Netscape Communications, e fu poi identificato come risorsa da sfruttare per sviluppare modelli di business alternativi. In questo contesto un gruppo di hacker175, cioè una comunità di

sviluppatori indipendenti, entusiasti della programmazione e promotori del software

libero, coniò il termine open source. Lʼidea fu quella di mettere per iscritto un

decalogo che tutelasse gli sviluppatori intenzionati a condividere online i propri lavori, creando allo stesso tempo un insieme di garanzie che desse loro la possibilità di ottenere un ritorno economico da tali progetti176. Il movimento del free software e il

mondo dellʼopen source sono oggi due realtà affermate e ben distinte tra loro; libertaria e radicale la prima, aperta e business-oriented la seconda. Entrambe sono, però, universalmente riconosciute come unʼottima alternativa allʼutilizzo di software commerciale e sistemi proprietari.

Avendo utilizzato in prima persona tecnologie free software e open source sino dai primi anni 2000, è apparso naturale tentare di fare ricorso a questi innovativi strumenti informatici per sviluppare il percorso di ricerca descritto in questa dissertazione. Allo stesso tempo si è ritenuto fondamentale tentare di stabilire quali fossero i vantaggi che un approccio aperto potesse portare a un progetto di virtual

heritage sviluppato in ambito accademico. Data la già citata scarsità di strumenti per

la simulazione 3D che caratterizzò gli anni Ottanta e Novanta del Novecento, è noto che le prime iniziative di virtual heritage fossero realizzate medianti costosissimi

mainframe grafici utilizzabili soltanto da centri di ricerca specializzati in

visualizzazione scientifica, oppure in apposite esposizioni realizzate con il supporti di grandi investimenti. Tale situazione si è protratta fino alla prima metà degli anni 2000, costituendo una voce di spesa importante nei budget dei dipartimenti e degli istituti. Attività quali il rilievo sul campo delle informazioni archeologiche, la gestione e lʼelaborazione delle informazioni culturali oppure la modellazione e la ricostruzione tridimensionale del patrimonio storico e artistico potevano, fino a quel momento,

171 Cfr. GNU General Public License <http://www.gnu.org/licenses/gpl.html> [Accesso 16/10/10]. 172 Cfr. <http://creativecommons.org> [Accesso 18/10/10].

173 Cfr. <http://wikimediafoundation.org/> [Accesso 16/10/10]. 174 Cfr. <http://www.gnu.org/> [Accesso 16/10/10].

175 Il termine hacker è qui usato nellʼaccezione positiva di esperto programmatore e “mago” del

networking proposta da Eric Steven Rainmond. Cfr. E.S. Raymond, The New Hackerʼs Dictionary,

Cambridge, MA, MIT Press 1996, pp. 232-233.

176 Cfr. The open source Definition, decalogo del mondo open source pubblicato per la prima volta nel

essere eseguite soltanto tramite programmi proprietari, strumenti brevettati e motori

di rendering commerciali. Per loro natura, tali tecnologie sono efficaci, affidabili e

testate, ma presentano spesso costi elevati e una limitata sostenibilità in termini di

digital preservation dei contenuti e dati prodotti. La scarsità di risorse che

caratterizza oggi il mondo dei beni culturali e il settore accademico italiano sono, dunque, i principali fattori che hanno portato a riflettere sul fenomeno open source. La conclusione tratta al termine della fase preliminare di Nu.M.E. 2010 ha portato alla scelta di progettare e implementare unʼiniziativa di virtual heritage interamente aperta, cioè sviluppata con tecnologie open source per quanto riguarda la progettazione, il design e la visualizzazione dellʼambiente virtuale culturale. Agendo in questo modo è stato possibile realizzare Nu.M.E. 2010 utilizzando unʼinfrastruttura tecnologica che garantisse i seguenti risultati:

• Abbattimento dei costi delle licenze dei software utilizzati.

• Condivisione di risorse e risultati con altre istituzioni accademiche coinvolte nello sviluppo delle tecnologie open source.

• Estrema portabilità dei formati dei file relativi ai modelli 3D.

• Buoni standard di qualità e usabilità del software tramite revisione effettuata dalla comunità di utenti e sviluppatori.

• Sostenibilità del progetto in termini di digital preservation dei contenuti storici sviluppati.

Obiettivo chiave di questo progetto di ricerca è stata, dunque, la sperimentazione di tecnologie open source per la modellazione 3D e la visualizzazione in tempo reale di dati storici. Contemporaneamente si è ritenuto fondamentale sviluppare ambienti

virtuali culturali in cui la collaborazione tra gli utenti potesse portare alla definizione

di nuove modalità interattive di diffusione online della conoscenza relativa al passato di Bologna. La definizione di nuove metodologie didattiche basate su tali ambienti collaborativi costituisce, infine, lʼultimo traguardo raggiunto. I risultati ottenuti verranno descritti in dettaglio nei prossimi paragrafi di questa tesi.

Volendo concludere la riflessione sulle finalità che hanno guidato lo sviluppo di questo caso di studio, occorre specificare che lʼapproccio utilizzato in Nu.M.E. 2010 è relativo a un modo nuovo e differente dʼintendere le tecnologie applicate ai beni culturali. Tale approccio può essere definito utilizzo etico dei media digitali. Per comprendere meglio questa nuova modalità di sviluppo e utilizzo di sistemi di

computer mediated communication, ci rifacciamo alla distinzione utilizzata da Eric

Steven Raymond per differenziare il modello di sviluppo tipico dei sistemi proprietari, definito a cattedrale, e lʼapproccio aperto proprio dellʼopen source e del free

software, detto a bazaar177. Il modello a cattedrale prevede che il codice sorgente sia

scritto da un numero limitato di esperti che lavorano in condizioni di segretezza e isolamento. Lʼorganizzazione del lavoro di programmazione è di tipo fordista, cioè risulta basata su micro-unità di sviluppo che interagiscono tra loro mediante direttive provenienti dai livelli più alti di unʼorganizzazione fortemente gerarchica. I risultati ottenuti tramite questo modello vengono rilasciati sotto forma di programmi completi, privi il più possibile di errori (in gergo bug). Al contrario il modello a bazaar prevede che il codice sorgente del software venga reso pubblico sino dalle prime fasi di sviluppo. Gli utilizzatori del software possono accedere liberamente a esso e

177 Cfr. E.S. Raymond, Cathedral and the Bazaar: Musings on Linux and Open Source by an

contribuire al suo stesso miglioramento. Secondo tale approccio non deve esistere una suddivisione rigida dei compiti e neppure una struttura gerarchica che centralizzi le decisioni nelle mani di pochi. Il lavoro comunitario, la pianificazione partecipata e la condivisione delle risorse costituiscono il cuore di questo modello. Sebbene a prima vista lo sviluppo decentralizzato di una tecnologia possa sembrare caotico e inefficiente la prassi ha permesso alla Free Software Foundation e al movimento dellʼopen source di smentire tale scetticismo. Il kernel del sistema operativo Linux è il migliore esempio di come il modello a bazaar possa essere considerato vincente e di come lʼazione collaborativa di una comunità vastissima di programmatori e utenti possa produrre una tecnologia stabile, efficace e utilizzabile anche in termini commerciali.

Optare per una prospettiva a bazaar corrisponde con il promuovere un utilizzo etico

dei media digitali. Alla luce dei risultati di Nu.M.E. 2010, si può affermare che la

scelta di tecnologie open non si è dimostrata soltanto un grande vantaggio per un progetto di ricerca come questo, interamente sviluppato in ambito accademico e con risorse limitate. Gli effetti positivi di questʼattitudine allʼuso delle tecnologie possono, infatti, contribuire al rafforzamento dellʼintero sistema accademico mediante la realizzazione di pratiche di collaborazione tra diverse istituzioni, oltre che introdurre un nuovo paradigma per lʼapplicazione del digitale ai beni culturali. Impiegare tecnologie open source permette di sostenere lʼattività di altre università o centri di ricerca attraverso la condivisione di risorse e competenze, la semplicità nel riutilizzo di dati già processati e soprattutto mediante la possibilità dʼinvestire i fondi disponibili nelle risorse umane piuttosto che nellʼacquisto di licenze di software proprietari e nel loro aggiornamento.

Non si ritiene azzardato diffondere una prospettiva aperta nei confronti del mondo della cultura perché oggi i sistemi free software e open source sono già ampiamente diffusi in moltissimi settori scientifici. Lʼadozione in Nu.M.E. 2010 di tali tecnologie ha contribuito a portare nel settore del virtual heritage unʼefficace innovazione tecnologica a basso costo; la dimensione tecnologica di questo caso di studio si può, quindi, considerare come un tentativo di riconfigurare le pratiche di ricerca nel settore delle digitali humanities, definendo un approccio meno gerarchico e più collaborativo alla conoscenza.