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TERAMO ROMANA IN 3DMETAVERSITY

II.3 Le strutture formali degli ambienti virtual

Dopo essersi soffermato sui modelli culturali e i sistemi simbolici che gli ambienti

virtuali condividono con i mezzi di comunicazione che li hanno preceduti, il

ragionamento portato avanti in questa dissertazione deve necessariamente rivolgersi allʼanalisi delle principali convenzioni comunicative che contribuiscono a definire il linguaggio di questi nuovi media. Innanzitutto va specificato che alla base di qualunque VE, e dunque anche di un ambiente virtuale culturale, vi è un processo di simulazione digitale. Questʼultima si può considerare come la trasposizione in termini logico-matematico-procedurali della realtà. Tale modello concettuale può essere definito come la rappresentazione di un oggetto o di un fenomeno che corrisponde alla realtà modellata per il fatto di riprodurne, eventualmente alla luce di una certa interpretazione, alcune caratteristiche o comportamenti fondamentali. Potenzialmente qualunque caratteristica del mondo reale sarebbe riproducibile in un simulatore, ma nella pratica i sistemi di simulazione digitale sono prevalentemente basati sulla rappresentazione visiva e sonora. Pier Luigi Capucci ha evidenziato che le forme di rappresentazione visuale e acustica sono maggiormente utilizzate sia perché più vantaggiose per ragioni computazionali/comunicative, sia per ragioni ergonomiche/culturali 105. Le prime derivano dal fatto che le informazioni visuali o

sonore hanno a che fare con dati più semplici da creare, trasferire, codificare e memorizzare rispetto a quelle prodotte dai sensi dellʼolfatto, gusto e tatto. Le seconde derivano dal fatto che la cultura umana ha da sempre preferito ricercare e utilizzare quei sistemi simbolici derivanti dalle condizioni ambientali che le sono più favorevoli. Non stupisce, dunque, se la simulazione digitale degli ambienti virtuali è ancora oggi principalmente una simulazione di tipo audiovisivo. In questo discorso verrà approfondito solo lʼaspetto visuale della simulazione digitale poiché le sue caratteristiche permettono di capire al meglio le proprietà linguistiche degli ambienti

virtuali. Gianfranco Bettetini definisce utopico il progetto spazio-temporale delle

simulazioni che derivano dalle pratiche di computer graphics poiché tale dimensione «si traduce in un programma numerico che sta allʼorigine di tutte le possibili manifestazioni derivate dallʼimpatto tra lʼoperatore e la macchina»106.Lʼutopia a cui

Bettetini si riferisce è una conseguenza della principale peculiarità dellʼimmagine sintetica: la mancanza di un referente reale. Nel processo di sintesi computerizzata di unʼimmagine lʼoggetto materiale, oppure il fenomeno o la persona che si vogliono rappresentare, sono sostituite da unʼidea, da una raffigurazione mentale. Il creativo o designer che realizza tali forme sintetiche in un primo momento immagina ciò che vuole rappresentare e poi traduce, mediante appositi software, tale progetto mentale in un sequenza di informazioni numeriche. Il computer presenterà ai suoi utenti, tramite dispositivi di output, i relativi modelli matematici sotto forma di immagini. Da questa prima osservazione è possibile trarre una considerazione fondamentale sulla natura dellʼimmagine sintetica. Essa è discreta poiché composta da tanti elementi puntiformi, i pixel, le cui informazioni relative alla posizione, profondità del colore, luminosità sono rappresentate da valori binari conservati nel dispositivo di memorizzazione che “contiene” lʼimmagine stessa. La struttura a pixel dellʼimmagine sintetica fa sì che essa si possa definire modulare. Il concetto di modularità stabilisce

105 Cfr. P.L. Capucci, Realtà del Virtuale. Rappresentazioni Tecnologiche, Comunicazione, Arte,

Bologna, CLUEB 1993, p.60.

che un elemento sia formato da entità più piccole e indipendenti la cui combinazione costituisce la struttura stessa dellʼoggetto stesso. A sua volta tale oggetto può essere assemblato in un sistema più complesso sempre conservando la propria identità autonoma. Un esempio di quanto sostenuto può essere il seguente: un virtual

environment è costituito da una pluralità di oggetti tridimensionali indipendenti fra

loro. Le informazioni relative a essi sono contenute nel database su cui è costruito il modello navigabile. A loro volta tali oggetti sono composti di un numero molto elevato di voxel, che analogamente ai pixel, rappresentano le informazioni di intensità di segnale e di colore di quellʼoggetto nello spazio tridimensionale. Lʼimmagine sintetica dei VE denota una duplice conformazione. Da un lato essa è una rappresentazione simbolica percepibile e interpretabile da chi la guarda, dallʼaltro è una sequenza di informazioni numeriche comprensibili solamente da un computer. In un ambiente virtuale lʼimmagine digitale è quindi lʼinterfaccia per eccellenza che mette in comunicazione il sistema e lʼutente permettendo a questʼultimo di navigare lo spazio virtuale e ottenere informazioni sulle sue componenti. Da un punto di vista comunicativo unʼinterfaccia si può intendere, dunque, come il codice che trasferisce i messaggi culturali agli utenti di un VE. Secondo Lev Manovich nella comunicazione culturale unʼinterfaccia non è mai neutrale dal momento che essa influenza le informazioni veicolate, semplificandone oppure complicandone la comprensione da parte degli utenti107.

I prossimi paragrafi illustreranno nello specifico le forme della simulazione digitale, prestando particolare attenzione al concetto di interfaccia, a quello di interazione e alle altre convenzioni e modalità di fruizione che da essa derivano. Le pagine che seguono serviranno a presentare, inoltre, i risultati dellʼintroduzione di componenti narrative allʼinterno degli ambienti virtuali culturali. Lʼobiettivo dei prossimi paragrafi è rendere più chiara la prospettiva logico-mitica che si propone in questa tesi, illustrando il nuovo modo di intendere la comunicazione di massa dei beni culturali che da essa deriva.

II.3.1 Interazione

Lʼinterazione uomo-macchina, definita in letteratura Human Computer Interaction (HCI), è un concetto chiave tanto nella teoria dellʼinformazione quanto nelle scienze psicologiche e della comunicazione. Per questo motivo esistono moltissime riflessioni e interpretazioni sullʼargomento che affrontano questa tematica con punti di vista differenti. Tentando di semplificare il concetto di interazione si può affermare che interagire con un sistema computerizzato significa attivare un flusso comunicativo bidirezionale con una macchina (nel senso di computer) e al tempo stesso avere la possibilità di intervenire in modo attivo sui contenuti che costituiscono la comunicazione mediata dal computer, definita in letteratura

Computer-Mediated Communication (CMC).

Affrontando lʼinterazione da un punto di vista comunicativo, occorre riprendere ancora una volta il discorso sulla simulazione digitale portato avanti da Gianfranco Bettetini. Egli evidenzia lʼimportanza dellʼagire come sapere fondamentale negli

ambienti virtuali poiché «Lʼinterazione uomo-macchina nella Computer Graphics può

essere collocata a metà strada, nel processo della sua formalizzazione, fra il modello della conversazione testuale [..] e ogni tipo di interazione effettiva, empirica, con la realtà, sia questa interazione a carattere conversativo o non lo sia: si tratta, infatti, in entrambi i casi di inter-azione»108. La HCI è, dunque, un processo complesso poiché

si può intendere tanto come il luogo di unʼenunciazione simbolica e virtuale tra due soggetti, lʼuomo e il computer, quanto il luogo della negoziazione tra i saperi appartenenti allʼutente e quelli relativi al sistema. La negoziazione si concretizza nella possibilità per il primo soggetto di intervenire sui processi attraverso i quali il secondo produce il senso, modificandoli; simultaneamente essa si manifesta nella capacità del computer di adattarsi a tali scelte innescando un livello ulteriore di negoziazione basato su uno scambio reciproco di interpellazioni e reazioni. Come già visto nel paragrafo precedente, lʼinterfaccia è il principale dispositivo che permette la HCI. Essa può essere considerata come un sistema complesso di gestione, rappresentazione e trasmissione delle informazioni. Lʼinterfaccia riveste un ruolo chiave nelle attività di accesso, esplorazione e azione che lʼutente compie in relazione ai dati presenti nel sistema comunicativo informatizzato. Massimo Botta propone tre diverse tipologie di interazione diretta tra utente e computer109: la prima

è la selezione, «ossia quei metodi e quelle tecniche che consentono di individuare e operare una scelta mirata delle sorgenti informative, utilizzando principalmente un impianto e degli strumenti di tipo indicale». La seconda è lʼesplorazione, «ossia quei metodi e quelle tecniche basate sulla libera ricognizione di uno spazio o ambiente informativo, in cui la distribuzione topologica dellʼinformazione è unita a dei dispositivi funzionali che manifestano una coerenza almeno locale». La terza è, infine, la manipolazione «ossia quei metodi e quelle tecniche applicati a quei casi dove la stessa rappresentazione è concepita come sorgente informativa predisposta a essere rielaborata e modificata dallʼutente». Dopo queste premesse generali che hanno consentito di analizzare lʼinterazione tra un utente e un qualsiasi sistema computerizzato, è ora necessario esaminare nello specifico il caso dellʼinterattività allʼinterno degli ambienti virtuali. Lʼinterattività è la struttura formale alla base di ogni

108 Cfr. G. Bettetini, op. cit., p. 124.

109 Cfr. M. Botta, Design dellʼinformazione, Trento, Artimedia, Valentina Trentini Editore

VE. Data la notevole influenza che tale istanza genera nel mondo della simulazione digitale, è doveroso approfondire le diverse componenti attraverso cui tale struttura formale è articolata. Non si può pensare infatti allʼinterattività negli ambienti virtuali come a un concetto univoco poiché essa è una funzione complessa il cui significato è stratificato nei tre livelli di presenza, immersione e navigazione.

II.3.2 Le tre dimensioni dellʼinterattività: Presenza, Immersione e Navigazione

Il senso di presenza è un concetto chiave in questa riflessione sul linguaggio degli

ambienti virtuali e in tutte le teorie che riguardano la comunicazione mediata.

Wijnand IJsselsteijn afferma in proposito: «As a user experience, the feeling of being there, or presence, is not intrinsically bound to any specific technology – it is a product of the mind»110. Sentirsi presenti in un ambiente virtuale è una sensazione

che deriva dalle facoltà percettive della nostra mente. Ciò implica che il senso di presenza non si relazioni con la realtà in quanto tale, ma sia relativo invece ai processi cognitivi attraverso cui un individuo si costruisce modelli mentali dellʼambiente in cui agisce. Nella vita di tutti i giorni non si è coscienti del senso di presenza nellʼambiente in cui si vive semplicemente perché il nostro cervello non è abituato a dubitare della sua veridicità. Lʼevoluzione delle tecnologie di simulazione della realtà ha mutato questa prospettiva, portando allʼattenzione della comunità scientifica lʼimportanza “dellʼesserci” allʼinterno di uno spazio virtuale. Il livello dʼillusione che caratterizza qualsiasi simulazione entra in competizione con le normali modalità con cui lʼuomo è abituato a esperire lʼambiente in cui vive. Il senso di presenza caratterizza la percezione allʼinterno di un VE e concorre al processo di formazione di immagini mentali dello spazio simulato.

Le prime teorie volte a indagare il senso di presenza identificarono questa componente dellʼinterazione come uno degli elementi chiave del fenomeno dellʼassenza di mediazione che costituisce una caratteristica esclusiva della simulazione messa in atto dagli ambienti virtuali. Matthew Lombard e Theresa Ditton attribuiscono proprio a questa qualità illusoria dei VE la capacità di persuadere gli utenti a sospendere il giudizio su ciò che stanno percependo e, dunque, accettare il contenuto della simulazione111. Nel corso degli anni Novanta si capì quasi subito che

lʼillusione di non mediazione non avrebbe potuto essere il solo obiettivo da raggiungere nel design della comunicazione mediata dagli ambienti virtuali. Frank Biocca sostiene in proposito delle attività interattive che si possono compiere in un VE «If Virtual Environments are technologies of the mind [..] Presence is not just about the illusion of being there, but also about how the simulation of future, past, or imaginary space can sharpen the mindʼs performance»112. Essendo, dunque, il

senso di presenza un fatto principalmente mentale e percettivo, i creatori di VE che

110 Cfr. W.A. IJsselsteijn, Being There: The experience of presence in mediated environments. In Riva,

G., Davide, F., IJsselsteijn, W.A. (a cura di), Being There: Concepts, Effects and Measurement of

User Presence in Synthetic Environments, Amsterdam, IOS Press 2003, p. 3.

111 Cfr. M. Lombard, T. B. Ditton, At the Hearth of It All: The Concept of Presence, Journal of

computer-mediated communication, (2), 1997.

112 Cfr. F. Biocca, Preface of Being There: Concepts, Effects and Measurement of User Presence. In

Riva, G., Davide, F., IJsselsteijn, W.A. (a cura di), Synthetic Environments, Amsterdam, The Netherlands, IOS Press 2003.

vogliono ottenere un elevato livello di presenza devono coinvolgere al massimo la principale interfaccia che collega la mente e lʼambiente con cui essa si relazione; il corpo. In un sistema interattivo, cioè lʼunico contesto mediale in cui si può parlare di presenza, per chiamare in causa il corpo dellʼutente sarà necessario predisporre un cospicuo numero di eventi-azione attraverso i quali garantire ai partecipanti alla simulazione unʼampia libertà di intervento sui contenuti della Computer Mediated

Communication. Lʼinterattività è, infatti, la condizione primaria del senso di presenza.

La sensazione di essere presenti in un ambiente altro, fatto di bit, può dunque essere considerato un fattore percettivo complesso. Tale sensazione è composta di una pluralità di dimensioni in cui si articolano set di dati plurisensoriali e processi cognitivi. I fattori dellʼattenzione ricoprono, dunque, una posizione di assoluto rilievo nel determinare la presenza in un ambiente virtuale. Wijnand IJsselsteijn propone due differenti categorie di variabili che influiscono nel determinare il senso di presenza di un utente in un VE113. Esse sono riconducibili alle caratteristiche del

medium (A) e alle caratteristiche dellʼutente (B). La categoria A può a sua volta

essere suddivisa in due sottoinsiemi cui appartengono rispettivamente variabili relative alla forma mediale (A1), considerate le proprietà fisiche e oggettive del mezzo, e al contenuto mediale (A2), cioè gli elementi, i soggetti e gli ambienti rappresentati dal mezzo. Ciascuno dei due sottoinsiemi ha una notevole influenza sugli utenti e determinando la creazione di differenti livelli del senso di presenza. Riprendendo le teorie di Thomas Sheridan114, IJsselsteijn afferma che esistono tre

categorie di determinanti del senso di presenza attribuibili alla forma mediale: la

dimensione delle informazioni sensoriali presentate allʼutente, il livello di controllo che egli ha sui vari dispositivi sensoriali e, infine, la capacità del partecipante di modificare lʼambiente in cui agisce. Le variabili relative al contenuto mediale

assumono unʼimportanza critica nel determinare il coinvolgimento e lʼinteresse dellʼutente verso la simulazione poiché concorrono alla creazione di flussi causali di eventi, meglio conosciuti con il nome di struttura narrativa. Il senso di presenza in un VE è, dunque, un fatto mentale e come tale è probabile che essa cambi da individuo a individuo. Per questo motivo, nellʼesaminare il senso di presenza si parla di

caratteristiche dellʼutente, cioè di un insieme di variabili che derivano dalle diverse

capacità percettive e motorie, dai gusti, dalle necessità e dagli stati mentali che appartengono a ciascuna persona. Matthew Lombard e Theresa Ditton identificano sei differenti tipologie di presenza: realism, immersion, transportation, social

richness, social actor within medium, medium as social actor115. I due ricercatori

americani pongono lʼaccento sulla capacità dei VE di apparire come sistemi mediali in cui vi è assenza di mediazione. Lʼutente ha lʼimpressione di trovarsi nel medesimo ambiente in cui riesce a percepire gli oggetti che costituiscono il modello 3D e non allʼinterno di un sistema computerizzato di simulazione. Presenza, quindi, come

illusione spazio-temporale che determina situazioni differenti riferibile a tre differenti

enunciati: la prima è “Tu sei là” e rientra nellʼambito della telepresenza, indicando una situazione in cui lʼutente interagisce e si sente presente in un ambiente a lui remoto. La seconda corrisponde con “È qui” e serve a indicare che lo spazio virtuale

113 Cfr. W.A. IJsselsteijn, Being There: The experience of presence in mediated environments, op. cit.

pp. 4-8.

114 Cfr. T.B. Sheridan, Musings on telepresence and virtual presence, Presence: Teleoperators and

Virtuale Environments 1, 1992, p. 120-125.

e i suoi elementi sono portati alla presenza dellʼutente. La terza corrisponde, invece, con “Siamo insieme” e si verifica soltanto in sistemi multiusers in cui due o più utenti condividono la sensazione di presenza nel medesimo ambiente virtuale. Da queste considerazioni è possibile dedurre che la presenza ha, quindi, un aspetto fisico e un aspetto relazionale. Il primo riguarda la sensazione di sentirsi presenti fisicamente in un determinato ambiente mediale, mentre il secondo si riferisce alla sensazione di prossimità con altri individui collocati nel medesimo ambiente mediale oppure in un altro spazio virtuale remoto. Wijnand IJsselsteijn definisce questʼultimo fattore: «co- presence, or a sense of being together in a shared space, combining significant characteristics of both physical and social presence. »116. Tale affermazione

introduce un ulteriore livello di indagine sul concetto di presenza nellʼambito dei VE multiutente. Il concetto di co-presenza diventa la principale forma dei VE in cui agiscono più utenti; essa contribuisce al processo evolutivo attraverso cui le dinamiche comunicative di tali sistemi stanno rapidamente trasformando il concetto stesso di interattività.

Lʼimmersione è una particolare forma di presenza che permette di compiere una fondamentale distinzione tra ambienti virtuali immersivi e ambienti virtuali non

immersivi. I primi sono sistemi di simulazione digitale in real-time in cui le immagini

che rappresentano lo spazio simulato occupano la totalità del campo visivo dellʼutente. Chi usa un VE immersivo è, dunque, isolato dal mondo circostante poiché utilizza particolari dispositivi di visualizzazione, come ad esempio un visore stereoscopico chiamato head mounted display, oppure perché si trova fisicamente in ambiente chiuso in cui le immagini stereoscopiche sono proiettate sulle quattro pareti, sul soffitto e sul pavimento, come ad esempio i sistemi Cave Authomatic

Virtual Environment (CAVE). In questa tipologia di ambienti virtuali il realismo della

simulazione è molto elevato. In essi, infatti, sono impiegati dispositivi di tracking che permettono al sistema di simulazione di presentare immagini con un punto di vista e una prospettiva spaziale esattamente calcolate per la posizione esatta occupata dal fruitore in quellʼistante. Gli ambienti virtuali non immersivi denotano importanti differenze rispetto ai sistemi appena descritti, tanto che non sono accettati dallʼunanimità degli addetti ai lavori come forme proprie di realtà virtuale. Il principale elemento di discrepanza è costituito dai dispositivi usati per la visualizzazione del VE. I sistemi non immersivi, definiti anche Desktop Virtual Reality (DVR), propongono modelli tridimensionali interattivi mediante semplici schermi desktop, per intenderci quelli in dotazione a ogni comune personal computer. In essi lʼinterazione con lo spazio virtuale avviene mediante uno schermo, come ad esempio un tradizionale monitor di PC, caratterizzato dalla presenza di una cornice, cioè un confine ben visibile che non permette al sistema di nascondere la finzione e allʼutente di sentirsi in un mondo altro.

Dopo questa breve digressione sulle varie tipologie di VE, pare opportuno ritenere che il concetto di immersione sia una caratteristica univoca degli ambienti virtuali che non è possibile riscontrare in altri media. Immersione significa, infatti, “essere” nel mondo virtuale. Tale qualità assegna un significato ulteriore al concetto di presenza attribuendogli una connotazione di tipo ontologico. Lʼimmersione è dunque la sola componente dellʼinterattività che si dimostra svincolata dalla pura componente percettiva. Il discorso sullʼinterattività in uno spazio virtuale immersivo si arricchisce per questo motivo di un elemento fondamentale. Essere immersi in un mondo

virtuale significa essere talmente concentrati su uno specifico compito o esperienza al punto di non poter percepire altri stimoli se non quelli provenienti dal sistema di simulazione. Eliminando i fattori di disturbo si determina una situazione in cui i sensi sono stimolati a riconfigurare lʼimmaginazione, a fornire esperienze nuove e migliorare la conoscenza e la consapevolezza di sé. Lʼindividuo immerso nellʼambiente virtuale concentra il fuoco della propria attenzione soltanto sullo spazio simulato avendo di conseguenza la possibilità di interagire con un VE in modo da percepire quellʼambiente illusorio come contesto cognitivo primario. Come già detto, questa condizione è determinata dallʼisolamento dellʼutente dal luogo in cui egli si trova fisicamente e dallʼutilizzo di immagini stereoscopiche e tecniche di tracking. A tale vincolo corrisponde, però, la possibilità per lʼutente di relazionarsi con il sistema di simulazione utilizzando il proprio corpo come strumento primario di accesso, selezione ed esplorazione delle informazioni. Lʼillusione, attivata da un ambiente

virtuale, soprattutto di tipo immersivo, permette al sistema di mantenere sospesa