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Modelli culturali per la comunicazione al pubblico di massa

TERAMO ROMANA IN 3DMETAVERSITY

II.2 Modelli culturali per la comunicazione al pubblico di massa

!

Prima di andare ad analizzare le convenzioni comunicative, cioè le forme e i codici che costituiscono il cuore della prospettiva logico-mitica, è necessario compiere una riflessione sul contesto culturale in cui tale punto di vista si va a inserire. Fare questo significa chiedersi quale sia il ruolo comunicativo della ricostruzione virtuale nella comunicazione museale, quale sia il contributo portato dalle tecnologie digitali alla trasmissione culturale e, infine, quali siano i modelli enunciativi che hanno influenzato il linguaggio utilizzabile negli ambienti virtuali culturali. Come già anticipato nel paragrafo precedente, lʼobiettivo primario della comunicazione dei beni culturali, intesa come trasferimento di informazioni al pubblico dei musei e delle mostre, dovrebbe essere quello di portare il fruitore a una comprensione chiara e precisa dellʼoggetto comunicato. Comprendere significa apprendere e capire. Riflettere sulle componenti dellʼapprendimento aiuta a portare avanti questo ragionamento. Francesco Antinucci evidenzia che le principali componenti di ogni processo di apprendimento sono due: comprensione e motivazione90. Antinucci

specifica che la prima componente è di tipo cognitivo e corrisponde con il comprendere lʼoggetto dellʼapprendimento (per apprendere qualcosa è necessario innanzi tutto capirlo). La seconda, invece, è di tipo dinamico e coincide con la motivazione. Questʼultima è la leva, lʼinteresse che ci spinge ad apprendere (non si apprende se non si ha interesse a farlo). Importanti studi di settore dimostrano che la maturità di molte tecnologie digitali interattive usate nei musei permette di affermare che il loro utilizzo influisca positivamente su entrambi i fattori dellʼapprendimento91.

Questo avviene perché le tecnologie digitali, coinvolgendo interattivamente il sistema percettivo dellʼutente, influiscono sulla motivazione ad apprendere facendo leva sul coinvolgimento emotivo92. Ma se una maggior motivazione implica una maggior

comprensione, da tale affermazione si può dedurre che il digitale agisca positivamente su entrambi i fattori dellʼapprendimento e permetta di raggiungere lʼobiettivo fondamentale della comunicazione culturale.

Per comprendere meglio il ragionamento sul ruolo delle tecnologie nella comunicazione nei musei sviluppato in questa ricerca, si propone unʼulteriore lettura delle pratiche della museologia virtuale. Stefano Vitali, in una conferenza del 2000 sulle nuove metodologie archivistiche, definisce le tecnologie di ricostruzione virtuale

commutatori di storia poiché esse invertono il regolare flusso di informazioni

allʼinterno di un sistema di comunicazione storica93. Tale inversione si verifica perché

i commutatori di storia piuttosto che trasmettere informazioni seguendo percorsi lineari attirano il pubblico allʼinterno dellʼambiente storico simulato. Gli utenti di questi nuovi strumenti di comunicazione culturale sono coinvolti in un processo interattivo di simulazione in grado di rappresentare tanto elementi tangibili del passato quali monumenti, edifici e simili, quanto elementi intangibili quali eventi storici, scene di vita quotidiana, momenti rituali o religiosi. Analizzando il nuovo modello enunciativo

90 Cfr. F. Antinucci, Musei virtuali, op. cit., p. 7.

91 Cfr. S. Monaci, Il futuro nel museo. Come i nuovi media cambiano l'esperienza del pubblico. Milano,

Guerini e Associati, 2005, passim.

92 Cfr. F. Antinucci, Musei virtuali, op. cit., p. 8.

93 Cfr. S. Vitali, Intervento introduttivo alla giornata Archivi e voci dʼautorità, Metodologie ed

che caratterizza i commutatori di storia si può affermare che la sua caratteristica principale è la capacità di trasmettere le informazioni culturali attraverso uno schema relazionale. Questo avviene perché allʼinterno del nuovo contesto digitale la creazione di significato è basata non tanto su singoli elementi o nozioni separate, ma bensì sulle interconnessioni che legano a livello concettuale e percettivo gli elementi dello spazio simulato. In questo modo la ricostruzione virtuale, intesa come paradigma di trasmissione culturale per il pubblico di massa, consente una comunicazione efficiente di memorie storiche appartenenti a specifici eventi o luoghi del passato. Un esempio di ciò è la simulazione digitale di città medievali. Tale pratica si avvale della rappresentazione geometrico-grafica delle relazioni spaziali tra elementi urbanistici e geografici che oggi non esistono più. Date queste premesse, si propone ora di passare allʼanalisi dei modelli enunciativi usati nella prospettiva

logico-mitica di virtual heritage proposta da questa tesi.

Nonostante il fenomeno della digitalizzazione continui a definire nuove forme espressive basate su codici specifici e modalità inedite di produzione/fruizione culturale, il panorama mediatico dellʼEra di Internet vede le proprie modalità di organizzazione delle informazioni fortemente condizionate dalle convenzioni dei media tradizionali. Il concetto di rimediazione, proposto da Jay David Bolter e Richard Gruisin è, dunque, un punto di partenza importante per questa riflessione sul contesto in cui si muovono gli ambienti virtuali culturali. La rimediazione sottolinea il fatto che ogni medium che nasce contenga in sé caratteristiche essenziali che derivano dai mezzi di comunicazione che lʼhanno preceduto94. Janet

Murray mette in evidenza, inoltre, che la fase di gestazione di ogni linguaggio mediale, quella cioè in cui le convenzioni del nuovo mezzo sono ancora in fase di definizione, è caratterizzata da una forza additiva che somma le forme mediali dei media precedenti. Murray porta come esempio di ciò sia i testi letterari stampati tra il 1455 e il 1501, gli incunabula, sia il cinema delle origini. Le prime opere letterarie stampate, non utilizzando ancora le convenzioni del libro moderno quali foglio rettangolare rilegato nel lato lungo, indice, numeri di pagina, note a piè di pagina, suddivisione in capitoli e paragrafi, possono essere visti come semplici addizioni della tecnica inventata da Gutenberg ai manoscritti appartenenti alla letteratura precedente. Allo stesso modo il film delle origini basandosi su lunghe inquadrature

monopuntuali, che descrivevano senza stacchi né movimenti di macchina o diversi

punti di vista la performance degli attori nella sua interezza, si possono intendere come una forma espressiva derivante dallʼaddizione dello sguardo fotografico alla rappresentazione teatrale95.A questo punto viene spontaneo chiedersi quali siano i

modelli e le convenzioni mediali che caratterizzano la fase attuale di comunicazione culturale basata sugli ambienti virtuali. Nonostante la storia della simulazione sia contrassegnata da alcuni interessanti esempi di simulatori polisensoriali della

94 Cfr. J. D. Bolter, R. Grusin, Remediation. Understanding New Media, Cambridge, MA, USA, The

MIT Press 1999 (tr. it. di Benedetta Gennaro, Remediation, 2ªed., Milano, Guerini e Associati 2002),

passim.

95 Cfr. J. Murray, Hamlet on the Holodeck. Cambridge, MA, USA, The MIT Press 1998, pp. 28-29,

realtà96, il prossimo paragrafo evidenzierà che gli ambienti virtuali sono ancora oggi

strumenti comunicativi principalmente legati alla percezione audiovisiva e alle convenzioni estetiche da essa derivanti. Sʼindividua, dunque, nel linguaggio cinematografico il principale modello di riferimento per la trasmissione culturale contemporanea. Questo perché un tipo di comunicazione basata principalmente su immagini, sonoro, grafiche e testo trova nellʼenunciazione cinematografica il modello più efficace e collaudato cui far riferimento. La lunghissima tradizione di simulazione audiovisiva che caratterizza il cinema è, però, qualcosa in più di una semplice fonte di ispirazione per i nuovi media. Lev Manovich considera il cinema come modello culturale primario nel panorama mediale di fine XX secolo. Tale posizione deriva dal fatto che la società di oggi è caratterizzata da una tendenza sempre più radicale a rappresentare le informazioni sotto forma di contenuti audiovisivi dinamici e a considerare lʼapproccio alla cultura sempre più attraverso un punto di vista cinematografico97. Lʼesempio più evidente di questo fenomeno è il fatto che, a partire

dagli ultimi due decenni del Novecento, gli sviluppatori di software hanno iniziato a utilizzare abitualmente il concetto di macchina da presa, centrale nel cinema, inserendolo tra le principali funzioni delle applicazioni di grafica 2D e 3D. In molti media digitali la macchina da presa non è più un dispositivo usato per fissare le forme della realtà su una pellicola cinematografica, ma diventa uno strumento virtuale cui si fa ricorso per accedere ai dati presenti nello spazio tridimensionale simulato al computer. Negli ambienti virtuali culturali la macchina da presa diventa una camera virtuale e assume il ruolo di convenzione rappresentativa primaria per la rappresentazione in tempo reale. Concepita in questi termini, la camera virtuale assume il ruolo di interfaccia, di dispositivo di collegamento tra le informazioni presenti nel modello e lʼutente. Essa permette ai partecipanti allʼesperienza di fruizione di effettuare tutta una serie di operazioni che influiscono in modo diretto sul punto di vista che essi hanno sullo spazio virtuale. La possibilità di ingrandire/ rimpicciolire la scena (zooming), inclinare lo sguardo (tilting), muovere il punto di vista orizzontalmente (panning) su un ambiente 3D diventano operazioni comuni a tutti gli utilizzatori dei VE. In un sistema interattivo di simulazione visiva la camera

virtuale è, dunque, la convenzione comunicativa che permette il passaggio dalla

condizione di spettatore a quella di utente. Si può, quindi, constatare che la tecnologie digitali convertono la macchina da presa, icona dellʼenunciazione cinematografica e dispositivo di rappresentazione non interattiva per eccellenza, in uno dei principali veicoli dellʼinterattività dei nuovi media, assegnandole nuove funzionalità. Questa riflessione verrà ripresa nei prossimi paragrafi in cui si analizzeranno le forme dellʼinterattività. Ora bisogna dedicarsi a unʼaltra caratteristica che gli ambienti virtuali culturali ereditano dai media precedenti: la volontà di nascondere la natura illusoria dei mondi sintetici che vengono rappresentati. Tutte le tipologie di simulazione appartenenti alla tradizione della

96 Partendo dallo Smell-O-Rama, sistema di simulazione olfattiva da abbinare al cinema

stereoscopico degli anni Cinquanta, presentato dalla General Electric nel 1953, e passando per il celebre Sensorama di Morton Heilig, che nei primi anni Sessanta racchiudeva in unʼunica piattaforma per lʼintrattenimento tecnologie per la simulazione visiva, olfattiva, sonora, del vento e del movimento, arriviamo alle più moderne periferiche di simulazione tattile ideate per il settore videoludico, oppure alle interfacce aptiche utilizzate nel training medico o nella telepresenza per simulare la prossimità e il contatto della pelle con oggetti esterni, oppure la resistenza dei materiali al tatto.

97 Cfr. L. Manovich, What is digital cinema?, Telepolis - das Magazin der Netzkultur. Munich,

rappresentazione visiva hanno sviluppato nel tempo un proprio repertorio di tecniche e convenzioni (il linguaggio per lʼappunto) volto a “ingannare” il pubblico, a celare i meccanismi che stanno dietro il processo di comunicazione. La pittura, ad esempio, dal Rinascimento ha utilizzato la prospettiva lineare per descrivere con strutture matematiche lo spazio rappresentato, creando unʼillusione di tridimensionalità allʼinterno di unʼimmagine bidimensionale. Si può rilevare, però, che il linguaggio cinematografico, inteso come una delle principali modalità di creazione di realtà artificiali con cui nel Novecento si è tentato di simulare spazi narrativi coerenti, sia il codice comunicativo che influenza maggiormente la comunicazione degli ambienti

virtuali. Questo perché le convenzioni del linguaggio filmico sono riuscite a gestire al

meglio i fattori comuni ai due sistemi di comunicazione; ci si riferisce alla spazialità, alla temporalità e al regime causale. Il discorso su tali convenzioni comunicative non verrà approfondito in queste pagine poiché a esse verrà successivamente dedicato un paragrafo specifico. Continuando questa riflessione sul contesto in cui sʼinserisce la prospettiva logico-mitica occorre specificare che i VE sono per loro stessa natura, mezzi di comunicazione anomali. Lʼatipicità di tali media deriva dal fatto che lʼobiettivo primario del processo comunicativo a loro relativo è fornire al pubblico unʼesperienza percettiva priva di mediazioni, attraverso la quale interagire in prima persona col mondo virtuale che si sta esplorando. Ciò avviene perché le sensazioni di immersione e presenza generate dal modello 3D portano lʼutente a sentirsi parte integrante della realtà artificiale che sta percependo e, allo stesso tempo, tendono a occultare la natura mediale del VE. Ancora una volta la prospettiva di Jay David Bolter e Richard Grusin torna utile per comprendere le relazioni tra la simulazione dei VE e i media tradizionali98. I concetti di trasparenza (immediacy) e

ipermediazione (hypermediacy) esprimono la tendenza contraddittoria che caratterizza la cultura postmoderna di cui gli ambienti virtuali sono una significativa espressione. Tali principi evidenziano che nel panorama mediale contemporaneo esiste un forte desiderio di moltiplicare a dismisura il numero degli strumenti di comunicazione. Allo stesso tempo è riscontrabile che in esso si verificano anche tentativi di cancellare ogni traccia del processo di mediazione. Esempio di ciò sono i sistemi di interfacciamento naturale in cui i dispositivi di interazione con il computer sono scomparsi, o meglio sono nascosti allʼutente. Bolter e Grusin arrivano a sostenere che la cultura contemporanea vorrebbe eliminare i propri mezzi di comunicazione proprio nellʼistante stesso in cui essi vengono moltiplicati99. Si

potrebbe aggiungere che gli ambienti virtuali sono lʼepitome di questa tendenza. Tali media costruiscono nuove modalità di creazione e trasmissione dei significati facendo proprie, e riconfigurando, le forme dei mezzi di comunicazione che li hanno preceduti, come ad esempio il cinema; contemporaneamente, però, gli ambienti

virtuali tentano di nascondere se stessi attraverso unʼinterfaccia trasparente. La

volontà di immediatezza è riscontrabile anche in altri media tradizionali quali pittura, dirette televisive e alcune produzioni cinematografiche sperimentali. Ma è proprio nei VE che tale logica comunicativa si sviluppa con più vigore. Questo avviene perché negli ambienti virtuali la mente dellʼutente si trova nello stesso luogo artificiale in cui sta lʼoggetto che sta essa osservando. Tale condizione fa in modo che il fruitore possa percepire il mondo simulato mediante un punto di vista soggettivo e diretto. La trasparenza e lʼimmediatezza dei VEs si concretizzano nella possibilità di “afferrare”

98 Cfr. J. D. Bolter, R. Grusin, Remediation, op. cit. pp. 30-37. 99 Cfr. J. D. Bolter, R. Grusin, Remediation, op. cit., p. 29.

un oggetto di cui si vogliono conoscere le caratteristiche, di “entrare” in una stanza del museo virtuale che si sta visitando, quindi nellʼinteragire con il contenuto del mezzo di comunicazione compiendo gesti naturali. Questa situazione è possibile perché gli ambienti virtuali hanno ridefinito la comunicazione digitale facendo in modo che gli utenti dimentichino di avere a che fare con un medium e credano di poter accedere direttamente ai suoi contenuti. Tale possibilità deriva da un altro modello culturale che compartecipa alle definizione dei codici utilizzati dalla

prospettiva logico-mitica per il virtual heritage. Il linguaggio cinematografico non è,

infatti, il solo sistema di simulazione che presenta analogie con gli ambienti virtuali culturali. Grafica 3D e visualizzazione in real-time sono caratteristiche comuni tanto ai VE quanto al mondo dei videogiochi. Si ritiene quindi necessario tentare di analizzare le relazioni che esistono tra questi forme di comunicazione digitale. Nello scenario della comunicazione mediata da computer i videogame sono uno dei pochi paradigmi culturali che si possono definire “nativi digitali”100. Per la prospettiva di

questa tesi lʼaspetto più interessante del linguaggio videoludico sta nel fatto che in esso la relazione tra interattività e narratività è utilizzata in modo creativo per creare un coinvolgimento emozionale. Per individuare le caratteristiche che gli ambienti

virtuali ereditano dai videogiochi, bisogna rifarsi alle teorie usate da Steven Malliet

per definire i videogame come veri e propri media autonomi, oltre che come applicazioni informatiche dʼintrattenimento101. Malliet definisce tre livelli indipendenti

che determinano la produzione di significato nei videogiochi: livello concettuale,

livello di logica di programma e livello di interfaccia. Del primo fanno parte gli

elementi che derivano dal fatto stesso che i videogiochi sono media digitali, basati su sistemi computerizzati. Ci si riferisce dunque ai vincoli logici imposti dal sistema agli oggetti di cui il videogioco si compone, oppure alle modalità interattive di modifica dei contenuti che per loro natura non possono generare ambiguità. Il secondo livello permette di considerare il videogame come una successione di elementi significanti arrangiati mediante una precisa struttura decisa dai designer. Tali elementi dinamici consentono il procedere del gioco e sono connessi tra loro per mezzo di transizioni. La logica di programma è basata di solito su una struttura narrativa, sugli algoritmi che gestiscono lʼinterattività tra il sistema e il giocatore e quelli che hanno il compito di gestire lʼautomazione dei personaggi virtuali. Il terzo e ultimo livello deriva dallʼattenzione posta dai designer dei videogiochi alla coerenza e allʼusabilità interna dei loro prodotti. Tale caratteristiche derivano dalla consapevolezza dellʼimportanza fondamentale nella user experience delle strategie che consentano ai giocatori di accedere alle funzioni interne al sistema. Usabilità, coerenza funzionale e accessibilità sono tra i principale elementi che indirizzano lʼinteresse e il favore del pubblico verso un videogioco piuttosto che un altro. Il livello della logica di

programma comprende le modalità di interfacciamento e le tecniche di

rappresentazione grafica e di animazione utilizzate. Sicuramente le principali analogie tra i VE e i videogiochi risiedono nel livello concettuale e in quello dellʼinterfaccia. I motori grafici e i database utilizzati per la simulazione in real-time dei VE soggiacciono alle stesse logiche e vincoli usati in ambiente videoludico.

100 Cfr. L. Manovich, New Media from Borges to HTML. In Wardrip-Fruin, N., Montfort, N. (a cura di),

New Media Readers. Cambridge, MA, USA, The MIT Press 2003. p. 15.

101 Cfr. S. Malliet, Anthropologists from Mars or home-grown philosophers? Toward a model for the

systematic analysis of the contents in Videogame. In Proceedings of IAMCR/AIECS/AIERI 2002, Barcelona, Spain 2002.

Esempio di ciò è lʼutilizzo in entrambi di una scena di simulazione, basata sul concetto di spazio virtuale, che mette in relazione oggetti tridimensionali indipendenti tra loro le cui informazioni univoche sono raccolte in una base di dati. Le convenzioni appartenenti al livello dellʼinterfaccia sono quelle da cui gli ambienti virtuali ereditano il maggior numero di caratteristiche. Le tecniche di lighting e shading, la simulazione sonora spazializzata, le periferiche di I/O, le tecniche di animazione degli avatar e dei personaggi virtuali sono componenti che nascono per i videogiochi e poi sono utilizzate negli ambienti virtuali con altri scopi. Tale condizione deriva del fatto che lʼenorme rendita economica derivante dalla produzione e vendita di videogiochi conferisce allʼindustria dellʼintrattenimento il ruolo di principale operatore nel campo della ricerca sulle interfacce e sulle tecniche di visualizzazione e rendering in real-

time. Il livello della logica di programma è quello che si sposa maggiormente con lo

sviluppo di nuove forme narrativo-interattive di comunicazione che la prospettiva logico-mitica di questo saggio propone per il mondo degli ambienti virtuali culturali. Lʼutilizzo di tecniche narrative per coinvolgere gli utenti nel gioco e il ricorso a componenti dinamiche interattive sono elementi che fanno parte dei videogiochi fin dalla nascita di questi media. Anche gli ambienti virtuali possono avere al loro interno programmi che riconfigurano in tempo reale lʼesperienza virtuale degli utenti, generando nuove sequenze narrative, oppure gestendo i personaggi e le ambientazioni virtuali secondo lʼevoluzione della sessione di fruizione. Le soluzioni sviluppate nel caso di studio di questa tesi102 sono la dimostrazione di quanto la

simulazione digitale sia oggi influenzata dai paradigmi che derivano dal linguaggio dei videogiochi. Un elemento che relaziona in modo ancora più diretto gli ambienti

virtuali con i videogame è il modello testuale non lineare che in entrambi i media

porta alla definizione del significato dello spazio virtuale. Lʼinterazione uomo- macchina in entrambi i sistemi è la principale componente strutturale. Lʼutente di un VE come quello di un videogioco ha la possibilità di accedere in un modo potenzialmente sempre diverso ai dati contenuti nel database che sta alla base del sistema. Egli ha la possibilità di decidere i percorsi di navigazione dello spazio virtuale, di selezionare le informazioni da approfondire, di eseguire attività che lo porteranno alla comprensione del senso delle informazioni che il sistema computerizzato sta simulando. Per comprendere il concetto di modello testuale non

lineare, proprio dei VE, bisogna rifarsi ancora una volta ai media tradizionali, cioè

alle forme di comunicazione lineare più popolari. In un film la struttura testuale è di tipo lineare nel senso che essa ha una forma stabilita a priori che impone allo spettatore di ricevere informazioni soltanto seguendo lʼintreccio, inteso come il percorso significante che il regista ha deciso di utilizzare per narrare la storia. In un film, come in un libro, lʼistanza enunciatrice che produce il significato stabilisce una