VIRTUAL WILLIAMSBURG
I.5 Una nuova frontiera per la simulazione culturale 1 Gli ambienti virtuali collaborat
I.5.2 Virtual heritage 2
Negli ultimi anni numerose ricerche hanno dimostrato come lʼutilizzo delle tecnologie di simulazione e della ricostruzione virtuale, se supportato da rigore scientifico e una buona progettualità, abbia portato indiscutibili benefici al settore museale e per estensione alla fruizione dellʼintero patrimonio culturale38.
Ripercorrendo la storia del virtual heritage, iniziata nel 1983 con il progetto di ricostruzione virtuale di Barry Cunliffe e John Woodward relativo alle terme romane della città di Bath nel sud ovest dellʼInghilterra39, si può notare come lʼevoluzione
tecnologica abbia gradualmente trasformato il processo di comunicazione e apprendimento delle informazioni culturali, aprendo di volta in volta nuovi orizzonti epistemologici e paradigmi interpretativi. Sin da quando Ivan Sutherland presentò al MIT The Sketchpad40, cioè quello che viene largamente riconosciuto come il primo
sistema di comunicazione grafica interattiva, molte cose sono cambiate nel panorama dei nuovi media sia dal punto di vista tecnologico sia da quello concettuale. Durante gli anni Ottanta i computer non erano ancora sufficientemente evoluti per mostrare materiale multimediale e i pochi esempi di super calcolatori in grado di visualizzare grafica 3D erano confinati in alcune università e nei centri di ricerca specializzati. Negli anni Novanta la situazione iniziò a cambiare. Dapprima ciò avvenne grazie alla massiccia diffusione di computer a buon mercato e, in seguito, tramite le incredibili possibilità di trasmissione di informazioni offerte dal World Wide Web.
Lʼutilizzo dei nuovi media divenne, quindi, un fenomeno di massa e spinse i principali musei e istituzioni culturali ad adottare le prime tecnologie multimediali in supporto alla fruizione, oltre che a utilizzare rudimentali siti Internet in cui sperimentare nuove modalità di comunicazione culturale. In quegli anni il virtual heritage rimaneva, però, una disciplina ancora poco diffusa, relegata alla periferia della ricerca accademica umanistica, da sempre restia allʼintroduzione delle tecnologie digitali. La scarsa disponibilità di strumenti digitali atti alla ricostruzione virtuale, e ancor più alla visualizzazione dei modelli 3D, limitava la comunicazione grafica di informazioni archeologiche o storico-artistiche a contributi audiovisivi presenti su CD-Rom, a immagini pre-renderizzate, oppure a stilizzate pagine Web. Riprendendo le parole di Antonella Guidazzoli, si può dire che fu proprio lo sviluppo del VRML1997 e la tanto attesa maturità dei sistemi di simulazione in real-time, avvenuta negli ultimi anni del XX secolo, a permettere la realizzazione di progetti di studio e visualizzazione di dati storici e archeologi maggiormente evoluti e interattivi41. Queste tecnologie
38 Cfr. E. Bonini, La trasmissione culturale attraverso applicazioni tecnologiche: risultati di un sistema
di valutazione. In V. Cappellini, U. Di Tullio, Nuove Tecnologie sulle vie dellʼarte. Appunti, Contini,
Firenze 2007.
Cfr. E. Bonini, P. Pierucci, E. Pietroni, Towards digital ecosystems for the transmission and communication of cultural heritage: an epistemological approach to artificial life, AI*IA Workshop for
Cultural Heritage, 2007.
39 Cfr. J. Woodwark, Reconstructing History with Computer Graphics. Computer Graphics 11(1), 1991,
p.2.
40 Cfr. I. E., Sutherland, The Ultimate Display, Proceedings of IFIP 65, vol.2, 1965, pp. 506-508. 41 Cfr. A. Guidazzoli, Lʼesperienza del CINECA nel campo della Virtual Archaeology in A. Coralini, D.
Scagliarini Corlàita (a cura di), Ut Natura Ars – Virtual Reality e archeologia, Imola, University Press Bologna 2002, pp. 81-89.
spianarono definitivamente la strada al virtual heritage, disciplina che proprio in quel periodo iniziò a delinearsi sia in termini metodologici sia realizzativi. I primi anni 2000 videro, infatti, la nascita di molte conferenze scientifiche dedicate a tale settore, oltre che la diffusione di sofisticati sistemi di simulazione. Centri di ricerca, musei e università iniziarono a mettere a disposizione dei ricercatori avanzati sistemi di grafica immersiva, quali CAVE e teatri virtuali, con il fine di migliorare le pratiche di studio, conservazione e comunicazione del cultural heritage.
Dallʼanalisi diacronica del settore della ricostruzione virtuale si può dedurre che il progredire delle tecniche di visualizzazione e rappresentazione dei dati ha permesso di sviluppare progetti sempre più complessi dal punto di vista realizzativo, oltre che determinare unʼintensa evoluzione delle metodologie di studio e interpretazione a disposizione di storici e archeologi. Lʼintroduzione dellʼanalisi spaziale dei dati e la possibilità di utilizzare ambienti stereoscopici che mettono lʼosservatore nella condizione di avere una prospettiva sullʼambiente simulato, che è del tutto analoga a chi in passato ha vissuto gli ambienti e i luoghi oggetto della simulazione, hanno coinvolto in nuove sfide chi è coinvolto nel virtual heritage. Questo perché la visualizzazione tridimensionale delle informazioni devʼessere supportata da molti più dati rispetto alla semplice descrizione testuale; questa condizione ha, dunque, stimolato i ricercatori a giungere a una conoscenza sempre più approfondita del loro oggetto di studio.
Nei paragrafi precedenti è stato evidenziato che oggi il settore del virtual heritage sia una disciplina matura che si sviluppa attraverso pratiche consolidate e standard condivisi a livello internazionale. Dallʼanalisi delle stato dellʼarte si è, però, notato che negli ultimi anni questo ambito disciplinare è diventato oggetto di unʼaltra importante rivoluzione tecnologica e metodologica che vede negli ambienti virtuali collaborativi e nella distribuzione online di contenuti tridimensionali e i suoi principali elementi di innovazione. Utilizzare i CVE per visualizzare informazioni storiche o archeologiche permette di dare una forte contestualizzazione al monumento o sito di interesse culturale che si sta simulando, rendendo la simulazione maggiormente interattiva. Gli
ambienti virtuali collaborativi garantiscono, inoltre, la possibilità di trasformare
lʼesperienza di interpretazione o fruizione del cultural heritage in unʼattività condivisa a distanza tra più persone. Tali caratteristiche rendono i CVE un potente strumento a disposizione di chi oggi vuole fare attività di ricerca, comunicazione o didattica.
Si provi a ipotizzare, ora, quello che in un futuro non troppo lontano sarà possibile fare con un CVE avanzato di tipo immersivo, immaginando un team di archeologi intenti nellʼinterpretazione di un delicatissimo artefatto dellʼEtà del Bronzo, rinvenuto durante una campagna di scavo. Con un laser scanner a triangolazione gli studiosi ottengono un modello 3D ad altissima risoluzione, per geometria e texture, del manufatto. In seguito essi inseriscono i dati post processati nel VE stereoscopico e iniziano ad analizzarli. Per ottenere una conoscenza più approfondita dellʼoggetto di studio, gli archeologi decidono di rivolgersi a un loro collaboratore, tra i massimi esperti mondiali di quel tipo di artefatti, che però si trova in un altro paese e non ha la possibilità di viaggiare in quel momento. Tramite lʼutilizzo di un ambiente virtuale
collaborativo di tipo immersivo, ovviamente presente in entrambi gli istituti, il gruppo
di archeologi si potrà incontrare in un luogo virtuale di interpretazione in cui lʼartefatto verrà rappresentato in scala uno a uno. Gli studiosi, impersonificati in avatar, potranno così muoversi intorno allʼoggetto in modo analogo alla realtà, zoomando su alcuni particolari, tentando di scomporre il manufatto in oggetti più piccoli, isolando alcune zone decorate per analizzarle in modo più approfondito, senza incorrere nel
rischio di danneggiare lʼoggetto. Lʼintero processo interpretativo avverrà in tempo reale, secondo modalità collaborative e multi-vocali. Tale esempio ipotetico descrive una possibile nuova metodologia di ricerca basata sullʼanalisi spaziale in scala uno a uno, sul confronto diretto e sulla condivisione delle informazioni. Ciò che già oggi si può fare con gli ambienti virtuali culturali è particolarmente proficuo per chi si occupa di didattica e comunicazione culturale. Lʼunicità dellʼesperienza virtuale condivisa con altri utenti espande il valore cognitivo delle informazioni simulate rendendo lʼapprendimento di informazioni culturali un qualcosa che i partecipanti allʼesperienza di simulazione apprezzano con maggior intensità e coinvolgimento emotivo. Per tali ragioni utilizzare un CVE per insegnare a una classe di giovani studenti la storia di una particolare città, oppure di un suo monumento specifico, diventa una pratica particolarmente vantaggiosa. Questo perché la simulazione digitale permette di coinvolgere i giovani studenti, così altamente sensibili alla tecnologia, in una ricca esperienza formativa che utilizza il linguaggio a loro più consono. Recenti studi di psicologia cognitiva applicata allʼapprendimento di informazioni culturali hanno evidenziato che la grafica 3D e le tecnologie interattive sono strumenti utilissimi per stimolare i fattori dellʼattenzione e ottenere una maggiore profondità della ricezione culturale42.
La ricostruzione virtuale effettuata in ambito collaborativo apre, dunque, nuovi orizzonti per la didattica. Questo interessante tema sarà trattato in modo più approfondito nellʼultimo capitolo. In tale sezione verranno descritti i risultati ottenuti in prima persona dallʼautore di questa tesi, mettendo in pratica le suddette metodologie, nella scuola di Humanities, Social Science and Arts dellʼUniversità della California Merced. È evidente che questʼapproccio sia molto utile anche in ambito museale. Elena Bonini sottolinea che gli elevati livelli di ludicità o interattività che gli
ambienti virtuali collaborativi mettono a disposizione, uniti a un tipo di simulazione in
cui gli utenti sono impersonificati in avatar, rendono più efficace la comunicazione culturale e la comprensione del contesto storico simulato43. La sensazione di essere
in un altro luogo e in un altro tempo, che può essere prodotta negli ambienti virtuali
culturali, quando si naviga lo spazio virtuale assieme ad altri utenti diventa un
fenomeno maggiormente accettato dagli utenti. Ciò deriva dal fatto che gli esseri umani sono abituati a condividere la loro esperienza spaziale di un ambiente o luogo con altri loro simili. Nei CVE gli utenti sono chiamati ad apportare il proprio contributo alla simulazione mediante lo svolgimento di compiti e mansioni studiate dai designer dellʼambiente virtuale. In tali ambienti di simulazione la rappresentazione acquista, dunque, un valore aggiunto tramite la partecipazione attiva del pubblico nella definizione del significato relativo a ciò che è simulato. Elevata interattività, creazione dei contenuti da parte degli utenti, architettura dellʼinformazione di tipo ibrido, condivisione delle esperienze e delle notizie sulle varie fonti dellʼinformazione e loro valutazione sono state negli ultimi anni gli elementi che hanno determinato il successo del fenomeno culturale del Web partecipativo, definito dagli addetti ai
42 Cfr. F. Antinucci, Musei virtuali. Bari, Laterza, 2007, pp. 5-25.
43 Cfr. E. Bonini, Building Virtual Cultural Heritage Environments The Embodied Mind at the Core of
the Learning Process, International Journal of Digital Culture and Electronic Tourism, vol. 1, No. 2-3, 2008, pp. 113-125.
lavori Web 2.044. La seconda fase del Web vede il cyberspazio diventare un
fenomeno di massa attraverso la nascita di nuove reti sociali e comunità virtuali. In esse si sviluppano nuove tipologie di interazione basate sulla condivisione delle informazioni e la partecipazione collettiva degli utenti45. Alla luce di queste
informazioni sembra possibile individuare alcuni punti in comune tra il Web 2.0 e gli
ambienti virtuali collaborativi; ci si riferisce allʼimportanza assegnata in entrambi i
contesti mediali alla dimensione sociale dellʼesperienza di fruizione. Essa si concretizza nellʼinterazione tra i partecipanti alla simulazione nello sviluppo di reti sociali, nella possibilità per gli utenti di intervenire in modo collaborativo nel processo di comunicazione, modificando o creando collettivamente i contenuti.
Le analogie che esistono tra il Web del XXI secolo e gli ambienti virtuali collaborativi usati oggi nel virtual heritage, aprono una nuova stagione per lʼinterpretazione e la comunicazione dei dati storici e archeologici. Si propone, dunque, di definire tale nuova fase del settore della ricostruzione virtuale virtual heritage 2.0. Tale dicitura consente di creare una sorta di linea di demarcazione tra ciò che avveniva nei sistemi di simulazione del passato prima dellʼintroduzione dei CVE e la situazione attuale. La differenza tra i due periodi è dato dal fatto che nel virtual heritage 2.0 lʼattenzione non è più solo orientata al realismo del VE, ottenuto applicando le tecnologie digitali al cultural heritage e implementando una ricostruzione virtuale filologica. Lʼaccento è bensì posto sui processi cognitivi che si sviluppano nelle fasi di interpretazione dei dati culturali simulati, sulle procedure di creazione collaborativa (co-creazione) dellʼambiente virtuale e, infine, sulla fruizione multiutente delle ricostruzioni virtuali. Tutte queste attività devono, ovviamente, avere come denominatore comune il fatto di essere sviluppate attraverso Internet. Il virtual
heritage 2.0 fa sue le dinamiche che hanno caratterizzato il Web degli ultimi anni
trasformando lʼattività di fruizione del patrimonio culturale in una sorta di virtual
heritage social networking in cui la partecipazione delle comunità di utenti porta alla
nascita di nuove modalità di trasmissione culturale e alla definizione di nuove modalità di significazione. Introducendo questa prospettiva non si ipotizza, tuttavia, una nuova stagione della ricostruzione virtuale in cui saranno gli utenti stessi a creare i contenuti storici o archeologici. Si è, infatti, ben consapevoli che la simulazione di un paesaggio antico, di un contesto urbano medievale, oppure la ricostruzione per ipotesi di un sito archeologico non abbiano alcun valore accademico quando sono effettuate da persone non esperte che producono contenuti privi di autorevolezza e rigore scientifico. Quando ci si riferisce al virtual
heritage 2.0 è cosciente del rischio di un potenziale “effetto Wikipedia”, cioè un
fenomeno di user-generated content che potrebbe determinare una banalizzazione delle informazioni culturali comunicate e unʼeccessiva stilizzazione dei paradigmi ermeneutici. Ciò di cui si è certi è che allʼinizio degli anni Dieci si stia verificando una radicale ridefinizione delle pratiche di fruizione museale, dei processi di comunicazione culturale e delle attività didattiche relative alle discipline storiche e archeologiche. La terminologia degli ambienti virtuali culturali, che si sviluppa
44 Cfr. T. Oreilly, What is Web 2.0: Design Patterns and Business Models for the Next Generation of
Software. Communications & Strategies, No. 1, First Quarter 2007, p. 17. Da <http://ssrn.com/abstract=1008839> [Accesso: 24/08/10].
45 Nel 2010 Facebook ha più di 250.000.000 di contatti unici al mese, Wikipedia ospita più di
13.000.000 di lemmi in più di 200 lingue, in soli 2 mesi gli utenti di Youtube hanno pubblicato online una quantità di video maggiore che i tre principali network americani dal 1948 ad oggi.
attraverso concetti come modellazione collaborativa, narrazione sociale e didattica
partecipativa, fa ormai parte del lessico usato nelle conferenze sul virtual heritage o
nelle riviste scientifiche di questo settore. Nelle parti successive di questa tesi si proverà, dunque, a riflettere sul fenomeno del virtual heritage 2.0, andandone a definire alcuni degli aspetti comunicativi che si ritengono più interessanti per la prospettiva di questa dissertazione.