1.5. La giurisdizione esclusiva nel codice del processo amministrativo
Dopo vari interventi legislativi settoriali e incoerenti, il Parlamento sentì l’esigenza di conferire una delega al Governo, attraverso la legge n°69 del 18 giugno 2009, per poter disciplinare in modo organico il processo amministrativo. Il Governo, a sua volta, avvalendosi della facoltà concessagli dalla legge, affidò la redazione del testo del decreto legislativo al Consiglio di Stato, anche se poi, in sede di approvazione
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introdusse delle modifiche sostanziali. Con il decreto legislativo n°104 del 2 luglio 2010 furono approvati quattro allegati: il primo è il codice del processo amministrativo, il secondo contiene le norme d’attuazione al codice, il terzo le norme transitorie e il quarto le norme di coordinamento e le abrogazioni.
In questo modo è stato introdotto per la prima volta nel nostro Paese un ‘codice’ del processo amministrativo38
. In generale la nuova normativa sembra in stretta correlazione con le disposizioni e gli orientamenti giurisprudenziali pregressi e quindi, anche se non sono mancate innovazioni, esso segue l’esigenza di inserirsi e continuare l’assetto precedente.
In quest’ottica di continuità si pone anche l’art.7 c.p.a. 39
, norma riguardante il riparto di giurisdizione del giudice amministrativo; infatti, al 1°comma, utilizzando una formula che riprende il discorso argomentativo contenuto nella sentenza n°204 del 2004 e nella sentenza n°191 del 200640, devolve alla
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Cfr. TRAVI, Lezioni di Giustizia Amministrativa, Torino, Giappichelli, 2000, p. 45.
39 Art. 7, 1°comma c.p.a. “Sono devolute alla giurisdizione amministrativa le controversie, nelle quali si faccia questione di interessi legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, di diritti soggettivi, concernenti l'esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo, riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente all'esercizio di tale potere, posti in essere da pubbliche amministrazioni. Non sono impugnabili gli atti o provvedimenti emanati dal Governo nell'esercizio del potere politico”; art. 7, 5°comma c.p.a. “Nelle materie di giurisdizione esclusiva, indicate dalla legge e dall'art. 133, il giudice amministrativo conosce, pure ai fini risarcitori, anche delle controversie nelle quali si faccia questione di diritti soggettivi”.
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Cfr. Relazione di accompagnamento al codice del processo amministrativo
“l’art. 7 definisce la giurisdizione del giudice amministrativo in ossequio alle norme costituzionali e ai noti principi affermati dalla Corte Costituzionale, in particolare nelle sentenze 6 luglio 2004, n°204 e 11 maggio 2006 n°191. In applicazione di tali regole e principi la giurisdizione amministrativa è strettamente connessa all’esercizio o al mancato esercizio del potere amministrativo e in tale ambito rientrano in essa le controversie concernenti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente a detto potere”.
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giurisdizione amministrativa, sia di legittimità che esclusiva, le controversie nelle quali si faccia questione di interessi legittimi e (utilizzando almeno in parte l’art. 103 della Costituzione) di diritti soggettivi in particolari materie. Sempre al 1°comma, l’art. 7 delimita l’ambito di giurisdizione attraverso il criterio della natura di diritto della posizione dedotta in giudizio, invero, possono venire in rilievo le sole controversie concernenti
“l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo, riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente all’esercizio di tale potere, posti in essere da pubbliche amministrazioni”41.
Però, a differenza della Corte Costituzionale che, soprattutto nella sentenza n°204 del 2004, aveva utilizzato in negativo il riferimento ai comportamenti, nel senso cioè, di individuare tutte quelle controversie non riconducibili nell’ambito della stessa, e quindi escludendo che alla giurisdizione esclusiva potessero essere attratti quei comportamenti oggetto di controversie “…
nelle quali la pubblica amministrazione non esercita, nemmeno mediatamente -e cioè avvalendosi della facoltà di adottare strumenti intrinsecamente privatistici- alcun pubblico potere”,
l’art. 7 c.p.a. delinea la giurisdizione amministrativa in positivo, nel senso di individuare tutte le controversie rientranti nell’ambito della stessa, includendo, quindi, espressamente nella giurisdizione amministrativa le vertenze nelle quali si faccia questione di “comportamenti” riconducibili “anche mediatamente” all’esercizio del potere42
.
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Cfr. GAROFOLI, op, cit.
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GAZZETTA, I comportamenti della Pubblica Amministrazione, www.nuovefrontierediritto.it/i-comportamenti-della-pubblica-
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Per poter capire l’effettiva ampiezza della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo è necessario analizzare in modo ancora più approfondito la nuova previsione normativa; è obbligatorio, quindi, chiarire cosa si intenda per “mancato esercizio del potere amministrativo” così da dare a tale affermazione la giusta interpretazione in modo che l’art. 7 non si ponga in contrasto con quanto previsto dall’art. 103 Cost., dall’art 76 Cost. e dalla legge del 2009 n°69, art 4443; oltre a ciò, diventa centrale comprendere l’esatta identificazione dei comportamenti che, legati mediatamente al potere, vanno assoggettati al vaglio del giudice amministrativo.
Bisogna iniziare ad esaminare la questione tenendo conto del fatto che lo stesso art. 7 del codice devolve, come abbiamo detto, alla giurisdizione amministrativa anche le controversie nelle quali venga in discussione il mancato esercizio del potere amministrativo; la previsione si presta a due contrapposte interpretazione. Secondo la prima può ritenersi che il primo comma dell’art. 7 dia, al giudice amministrativo, la possibilità di conoscere anche dei comportamenti materiali della amministrazione che si inseriscono in una fattispecie in cui il potere non sia mai stato esercitato e anche ove tali condotte incidano su diritti soggettivi (tipico il caso dell’occupazione illegittima) nella ambito della giurisdizione esclusiva. La seconda
del potere, anche se posti in essere nell’ambito di un’attività paritetica della pubblica amministrazione, costituiscono il segmento di una sequenza procedimentale caratterizzata dall’esercizio di una potestà pubblica, e quindi essi non sono meri comportamenti e ciò comporta che essi possono essere attribuiti alla cognizione della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo…”.
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Legge del 2009, n°69, art 44 ha attribuito al Governo la facoltà di riordinare le norme sulla giurisdizione con il limite della conformità al diritto vivente, e segnatamente della giurisprudenza delle magistrature superiori.
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interpretazione fa riferimento al mancato esercizio del potere che richiama le sole ipotesi in cui la Pubblica Amministrazione avrebbe dovuto esercitare il potere ed ha mancato di farlo. Trattasi quindi delle controversie riguardanti le ipotesi di c.d. silenzio-rifiuto; tale opzione interpretativa potrebbe per prima cosa apparire recessiva attesa la sua attitudine ad implicare un giudizio di superfluità dell’art. 7 nella parte che si esamina; come è noto le controversie del c.d. silenzio sono da sempre attratta alla giurisdizione amministrativa. Sennonché nell’esaminare la situazione prospettata occorre tenere conto della necessità di attendere ad una interpretazione costituzionalmente orientata del citato art. 7 del codice del processo amministrativo e del riferimento ivi contenuto alle controversie concernenti il mancato esercizio del potere amministrativo.
Già prima del codice del processo amministrativo, la giurisprudenza della Corte di Cassazione e del Consiglio di Stato aveva concordemente sostenuto che, perché possa ritenersi radicata la giurisdizione esclusiva amministrativa, la condotta materiale dell’Amministrazione deve essere correlata all’esistenza di atti amministrativi dei quali si chieda di accertare la legittimità o meno, la condotta materiale cioè deve essere sorretta dalla pregressa adozione di provvedimenti amministrativi.
Le Sezioni Unite, in specie, hanno ritenuto che la tutela giurisdizionale contro l'agire illegittimo della Pubblica Amministrazione spetta al giudice ordinario ogni volta che il diritto del privato non sopporti compressione per effetto di un potere esercitato in modo illegittimo o, se lo sopporti, quante volte l'azione della Pubblica Amministrazione non trovi
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rispondenza in un precedente esercizio del potere, che sia riconoscibile come tale, perché a sua volta deliberato nei modi ed in presenza dei requisiti richiesti per valere come atto o provvedimento “e non come mera via di fatto”44
.
Per la Cassazione, dunque, la giurisdizione del giudice amministrativo presuppone un collegamento con l'esercizio “in concreto” del potere amministrativo. Essa, pertanto, va esclusa quando l'amministrazione agisca in posizione di parità con i soggetti privati, ovvero quando l'operare del soggetto pubblico sia ascrivibile a mera attività materiale, priva di una copertura provvedimentale45.
Il Consiglio di Stato, sebbene talvolta è giunto a esiti applicativi diversi da quelli previsti dalla Cassazione, ha sostenuto che sono devolute alla giurisdizione amministrativa esclusiva le controversie nelle quali si faccia questione di attività di occupazione e trasformazione di un bene conseguenti ad una dichiarazione di pubblica utilità, con essa congruenti e ad essa conseguenti, anche se il procedimento all'interno del quale sono state espletate non sia sfociato in un tempestivo atto traslativo ovvero sia caratterizzato dalla presenza di atti poi dichiarati illegittimi46.
In base a tale visioni, quindi, vengono in rilievo come comportamenti omissivi le ipotesi di silenzio significativo, come il silenzio assenso (che si ha quando in un procedimento ad
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Cass., s.u., 2 luglio 2009, n. 15469; da ultimo, id., 25 marzo 2010, n. 7160 e, prima, id. 12 settembre 2008, n. 23561; id. 19 aprile 2007, n. 9323; id. 2 aprile 2007, n. 8210; id. 28 febbraio 2007, n. 4632; id. 7 febbraio 2007, n. 2688; id. 31 ottobre 2006, n. 23339; id. 13 giugno 2006, n. 13659.
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Cfr. Relazione tenuta al Convegno “Il codice del processo amministrativo”, Lecce, 12 novembre 2010.
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Cons. St., A.P., 30 luglio 2007, n. 9; id. 22 ottobre 2007, n. 12; di recente, id., sez. IV, 13 gennaio 2010, n. 92.
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istanza di parte, l’amministrazione scaduto il termine non si pronuncia e tale silenzio legittima l’inizio dell’attività), il silenzio diniego (che si ha quando la legge collega all’inerzia della Pubblica Amministrazione il significato di un diniego dell’istanza) e il silenzio inadempimento (che opera quando per legge è disposto che il silenzio significhi rifiuto, non assume però alcun significato decisorio in quanto il terzo potrà ricorrere in sede giurisdizionale come per il silenzio inadempimento).
Per quanto riguarda, invece, i comportamenti mediatamente collegati all’esercizio del potere occorre dire che essi non sono diretta esecuzione di un provvedimento amministrativo, ma presentano un collegamento mediato col potere. Tali comportamenti, anche se posti in essere nell’ambito di un’attività paritetica della Pubblica Amministrazione, sono il segmento di una sequenza procedimentale caratterizzata dall’esercizio di una potestà pubblica e quindi essi non possono essere considerati come meri comportamenti (cioè svincolati dall’esercizio del potere e spettanti alla cognizioni del giudice ordinario) e la loro cognizione è attribuita alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, in ossequio a quanto stabilito dalla stessa Corte Costituzionale. E’ emblematica l’originaria previsione dell’art. 53 d.p.r. n°327 del 2001, in base alla quale la Corte Costituzionale ha affermato che sussiste la connessione tra l’atto, anche se illegittimo, e il comportamento; essa non viene meno per il solo fatto che si riscontri l’illegittimità del primo, in quanto il comportamento risulta mediatamente collegato all’esercizio di un pubblico potere, nel senso che nel momento in cui il comportamento è stata attuato, sussisteva l’atto, il che vale a giustificare la giurisdizione del giudice amministrativo. Con
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particolare riferimento ai comportamenti, quanto previsto dal primo comma dell’art.7 deve essere correlato al terzo comma dello stesso articolo, nel quale si precisa che “la giurisdizione amministrativa si articola in giurisdizione generale di legittimità, esclusiva ed estesa al merito” e con il quarto comma, per il quale “sono attribuite alla giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo le controversie relative ad atti, provvedimenti o omissioni delle Pubbliche Amministrazioni, comprese quelle relative al risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi e agli diritti patrimoniali consequenziali, pure se introdotte in via autonoma”.
Dall’analisi di queste disposizioni emerge che i comportamenti della Pubblica Amministrazione sono menzionati nel primo comma, relativo alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ma non nel quarto comma, concernente l’area del giurisdizione generale di legittimità. Tale scelta è indice della volontà del legislatore di disciplinare in modo esplicito i soli comportamenti che presentano una correlazione più o meno marcata con il potere amministrativo, collocandoli nell’ambito che a loro risulta più adeguato, ovvero nella giurisdizione ordinaria, in quanto potenzialmente lesivi di diritti soggettivi, salvo prevedere per essi la cognizione del giudice amministrativo in sede esclusiva, come avviene esplicitamente per la materia di espropriazione per pubblica utilità (art. 133, 1°comma lett. g) c.p.a.)47.
Nel codice, oltre che nell’art. 7, la materia della giurisdizione esclusiva tratta anche all’art. 133 dove vengono
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Cfr. E. GAZZETTA, “I comportamenti della Pubblica Amministrazione”, www.nuovefrontierediritto.it/i-comportamenti-della-pubblica-
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elencate le varie materie in cui il giudice amministrativo esercita la giurisdizione sia sugli interessi legittimi che sui diritti soggettivi. L’importanza fondamentale della disposizione in commento ai fini dell’esatta individuazione della giurisdizione del giudice amministrativo è confermata dal fatto che il legislatore è intervenuto in più occasioni sull’art. 133 c.p.a., correggendo le ipotesi contemplate e introducendone di nuove.
In particolare, tali modifiche sono state apportate con il decreto legislativo n°75 del 2011, il decreto legislativo 31 marzo del 2011, n°58 e con il decreto legislativo n°195 del 2011. A tali ipotesi, poi, vanno aggiunte le ulteriori previsioni di legge, così come stabilito dal legislatore, al primo comma dell’art. 133. Tale argomento verrà trattato in modo più dettagliato nel prossimo capitolo.
Si può notare, per concludere sul punto, come le novità più significative apportate dal Codice del processo amministrativo abbiano interessato la giurisdizione generale di legittimità, piuttosto che quella esclusiva, e che le due tendano sostanzialmente allinearsi, sebbene non sia stato del tutto realizzato quel modello unico processuale della giurisdizione piena che ci si aspettava e la giurisdizione generale di legittimità non abbia perso del tutto il suo originario carattere impugnatorio- cassatorio.
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