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La grammatica visuale

Nel documento LINGUE , CULTURE , COMUNICAZIONE (pagine 57-64)

Capitolo 3. Il linguaggio e la rappresentazione della realtà nei media

3.1 L’analisi del discorso

3.1.3 La grammatica visuale

Similmente alla linguistica sistematico-funzionale sviluppata da Halliday, che studia come a determinati significati siano associate determinate strutture linguistiche, la grammatica visuale elaborata da Gunther Kress e Theo van Leeuwen ricerca i sistemi di regolarità nel modo in cui persone, luoghi o, più in generale, “cose” vengono rappresentate attraverso immagini di vario tipo ed i significati a loro associati. Essendo ricorrenti, queste strutture compositive sono diventate altamente convenzionalizzate nella semiotica visuale occidentale27. Proprio come i sistemi linguistici, infatti, anche le immagini sono da considerarsi una forma di comunicazione specifica della storia e della cultura di una determinata società, o detto altrimenti, il modo in cui i significati sono distribuiti attraverso le varie modalità semiotiche, che comprendono linguaggio e parola, è specifico di una cultura. La cultura d’appartenenza dell’autore non è però l’unico aspetto che determina una rappresentazione visuale, bensì Kress e van Leeuwen (2006:7) suggeriscono un altro elemento fondamentale per il suo emergere, anch’esso derivante dalla situazione culturale, sociale e psicologica di produzione, ovvero l’interesse. L’interesse dell’autore lo porta a selezionare una serie 27 Kress e van Leeuwen si concentrano sulla comunicazione visuale occidentale perché la cultura occidentale – nonostante inevitabili differenze locali e regionali – risulta particolarmente omogenea per la lunga storia dei suoi scambi commerciali e culturali. Inoltre, l’impulso all’industria dei media e delle loro tecnologie ha garantito all’Occidente un ruolo di guida nel panorama della comunicazione, tanto che in diverse parti del mondo coesiste con altre forme locali. Tuttavia, gli autori non escludono che la loro grammatica possa essere applicata ad altre culture, fornendo così ulteriori spunti per il suo sviluppo (Kress e van Leeuwen, 2006:4).

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di elementi – contestualmente plausibili, rilevanti e adeguati – dell’oggetto reale, che non verrà perciò mai rappresentato nella sua interezza. Ritroviamo qui un elemento fondamentale della SFL, la scelta: secondo la semiotica sociale l’autore ha a disposizione diverse modalità semiotiche (significanti) con cui esprimere un significato e i due sono relativamente indipendenti finché non vengono congiunti; questo processo di unione è l’oggetto di studi della disciplina. Nella grammatica visuale, questo processo che porta alla creazione di un segno è una doppia metafora: innanzitutto abbiamo una rappresentazione grafica di un concetto e poi quel concetto verrà utilizzato per motivare il segno. La doppia metafora si basa su di un principio di analogia, che è essa stessa una forma di classificazione (x = y) la quale, una volta istituzionalizzata viene vista come naturale e neutrale. La differenza tra la semiotica tradizionale e quella visuale sta nella motivazione del segno: secondo la prima, infatti, l’associazione tra significante e significato è arbitraria, mentre nella seconda prospettiva l’autore sceglie le forme che gli sembrano più adatte per l’espressione di un concetto nel contesto di produzione. La semiotica sociale vede quindi un rapporto deterministico tra le forme linguistiche ed il contesto, o gli attori sociali: i partecipanti tendono infatti a scegliere la forma che sembra loro maggiormente adatta, comprensibile e trasparente per realizzare un messaggio, al fine di garantire una buona riuscita della comunicazione nella società. Tuttavia, le società non sono mai omogenee, ma composte da vari gruppi e le strutture sociali che sottendono alle differenze di potere tra di essi possono pregiudicare questa realizzazione lineare della codifica perché sottintende una diversa visione della comprensibilità da parte di attori di diverso status sociale. Infuse di una dimensione di potere, le immagini possono diventare un mezzo per rappresentare una determinata posizione ideologica (ivi. 15). Mezzi linguistici e visivi assolvono quindi alla stessa funzione ed hanno la medesima origine sociale, anche se possono presentare delle differenze, per cui ci saranno significati esprimili più facilmente, o esclusivamente, mediante il linguaggio ed altri mediante le immagini; inoltre, i significati vengono realizzati attraverso modi che non sono né completamente sovrapponibili ma nemmeno opposti. Nonostante le inevitabili differenze, linguaggio ed immagini possono essere entrambi studiati in una prospettiva funzionale perché entrambi presentano delle regolarità che possono essere descritte, ovvero sono riconducibili ad una grammatica, che attinge alle metafunzioni individuate da Michael Halliday per il linguaggio: esperienziale, interpersonale e testuale. Questa grammatica non si propone di fornire delle regole ma solo di individuare delle regolarità nell’uso della comunicazione visuale in un determinato contesto sociale – che presenta altri modi di comunicazione – e nella prospettiva storica del loro sviluppo: per questo motivo lo spazio in cui avviene questo tipo di comunicazione viene chiamato “panorama semiotico” (ivi. 35). Di seguito verranno illustrate le tre metafunzioni e le loro realizzazioni.

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Come abbiamo visto per il linguaggio, la metafunzione esperienziale serve per rappresentare gli oggetti e i loro rapporti con il sistema semiotico di una cultura: questa metafunzione realizza una particolare struttura, chiamata Transitivity, che comprende partecipanti, processi e circostanze. Nella grammatica visuale, Kress e van Leeuwen distinguono tra due tipi di partecipanti che contribuiscono all’atto semiotico con interazioni reciproche, ovvero quelli interattivi e quelli rappresentati: i primi possono essere considerati gli autori ed i fruitori dell’atto semiotico, mentre i secondi sono i suoi protagonisti. Quando questi ultimi sono connessi da un vettore – ovvero rappresentati in relazione tra loro – formano un pattern narrativo, ovvero un’azione in corso, un processo in divenire, un cambiamento e una transitorietà, in contrasto con i pattern concettuali, i quali rappresentano l’essenza più o meno stabile dei partecipanti, in termini di classe, struttura e significato. Nelle immagini, i vettori sono generalmente realizzati attraverso linee oblique e diagonali che partono dagli Attori principali e li integrano. I protagonisti sono riconoscibili grazie ad alcune caratteristiche, come le dimensioni, lo spazio che occupano nella composizione, il contrasto con lo sfondo, il colore, oppure tramite la rilevanza psicologica che possono avere per gli spettatori. Schematizzando, processi e partecipanti possono essere riassunti nella seguente tabella:

Processo Partecipanti

Azione Attori Obiettivi

Reazione, quando il vettore è formato dalla direzione dello sguardo

Reattore, deve essere umano o averne le caratteristiche

Fenomeno

Verbale e mentale: l’esempio più tipico è quello delle vignette dei fumetti

Parlante o percettore Contenuto Conversione: viene usato ad esempio nei

diagrammi che rappresentano eventi naturali

Staffetta (Relay): trasformano e trasmettono l’informazione

Tabella 3.2. Elenco dei processi e dei partecipanti visuali

Per quanto riguarda le circostanze, Kress e van Leeuwen (ivi. 72) sottolineano soprattutto l’importanza di quella locativa, che costituisce l’ambientazione dell’immagine e viene realizzata creando un contrasto tra il primo e il secondo piano in diversi modi:

• tramite la sovrapposizione dei partecipanti in primo piano, che quindi nascondono lo sfondo; • lo sfondo risulta più sfocato rispetto al primo piano;

• i suoi colori vengono desaturati, tendono verso la stessa sfumatura, di solito il blu per rappresentare la distanza;

• grazie alla sovra-sottoesposizione del secondo piano che gli conferisce un aspetto più irreale.

Tornando invece ai pattern concettuali, essi coinvolgono innanzitutto i processi di classificazione, che instaurano una relazione tassonomica tra i partecipanti, i quali avranno rispettivamente i ruoli di subordinati e sovraordinati. Tali classificazioni non sono ovviamente naturali, ma sono state

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studiate da un autore che ha decretato la gerarchizzazione di questi elementi. Esistono due tipi di tassonomie: implicite ed esplicite. Le tassonomie implicite – spesso usate nelle pubblicità – sono caratterizzate da una composizione simmetrica, uno sfondo neutro, senza profondità e da una prospettiva frontale: l’elemento sovraordinato deve essere quindi elicitato dall’immagine, anche grazie all’uso di parole che spesso accompagnano questo tipo di tassonomie. In quelle esplicite, il partecipante sovraordinato – sia esso visuale o verbale – è invece indicato più chiaramente mediante un processo visuale, ad esempio attraverso uno schema ad albero, in cui esso si trova in cima o in fondo a questa struttura orientata verticalmente. In questo tipo di struttura altri partecipanti avranno un ruolo di sovraordinati per gli elementi sotto di loro e di subordinati per quelli sopra di loro: per questo motivo vengono chiamati “intraordinati”.

Abbiamo poi i processi analitici – usati ad esempio negli shooting di moda e nelle mappe – che sono le forme più elementari, o “non marcate” di rappresentazione perché mettono in relazione i partecipanti in termini di totale-parti: qui i partecipanti prendono i nomi rispettivamente di portatore e attributi. La differenza tra i due esempi risiede principalmente nella loro struttura interpersonale28, ad esempio nella loro modalità, che verrà approfondita nel prossimo paragrafo: caratteristica delle mappe è l’essenzialità delle sue caratteristiche e lo sfondo appena accennato, che non devono distrarre lo spettatore. Alcuni processi analitici possono anche essere non strutturati, ovvero mostrare le singole parti ma non l’insieme – soprattutto nel caso in cui questo sia astratto. Se questi processi hanno come focus gli oggetti e si concentrano sulla loro spazialità, ci sono invece altri processi concentrati sulla temporalità, come le linee del tempo. Queste costituiscono una categoria a metà tra processi narrativi e concettuali, infatti suggeriscono uno sviluppo degli eventi, che però non è graduale ma presenta delle caratteristiche fisse e delle fasi che possono essere considerate al pari di oggetti. Esistono inoltre i processi topologici, che si concentrano non tanto sulle connessioni spaziali, bensì su quelle logiche, e quelli simbolici, i quali rappresentano il significato di un partecipante, il portatore, che è caratterizzato da attributi simbolici, che può anche non essere presente; in questo caso il significato simbolico può essere stabilito nei seguenti modi:

• attribuendo maggiore rilevanza ad un oggetto, attraverso varie modalità; • tramite un’indicazione gestuale;

• l’oggetto risulta fuori luogo nel contesto della rappresentazione; • è tradizionalmente portatore di un valore simbolico.

Finora abbiamo trattato le relazioni che intrattengono tra loro i partecipanti rappresentati, mentre di seguito descriveremo quelle che intercorrono tra i partecipanti interattivi, ovvero autori e spettatori,

28 La modalità forma un sistema separato, anche se contemporaneo a quello esperienziale, e tende a realizzarsi in determinati modi in particolari contesti (ivi. 91).

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e che corrispondono alla metafunzione interpersonale di Halliday. Queste interazioni non sono equiparabili a quelle di una comunicazione face-to-face perché i due partecipanti non condividono uno spazio fisico, ciò che li unisce è l’immagine stessa e una conoscenza comune delle sue regole di codifica e di interpretazione nella società. Per questo Rimmon-Kenan (ivi. 115) parla di autore e spettatore sottintesi, dove con il primo intende “una voce disincarnata, o un set di norme implicite” e con il secondo “l’immagine di una certa competenza apportata al e strutturata nel testo”: la relazione tra i due è altrettanto sottintesa, immaginata, rappresentata. Una tecnica usata per cercare di stabilire questa relazione immaginaria è quella di rappresentare il soggetto – solitamente umano o animale, ma anche una figura antropomorfizzata – mentre guarda lo spettatore negli occhi. Questo ha una funzione di appello29, ovvero riconosce lo spettatore come un “tu” a cui rivolgersi direttamente per instaurare un qualche tipo di relazione segnalata da altri elementi dell’immagine, come la gestualità o l’espressione del viso. Inoltre, i soggetti – compresi quelli inanimati – possono essere rappresentati più o meno lontani dallo spettatore, e quindi la scena può essere più o meno dettagliata. Nelle interazioni quotidiane la distanza è determinata dalle relazioni sociali e dal rapporto che si ha con l’interlocutore: questo è il campo di studi della prossemica, la quale ha trovato applicazioni anche nell’ambito delle rappresentazioni, in cui sono state istituzionalizzate determinate prospettive. Nel campo lungo, ad esempio, il partecipante è rappresentato a figura intera ed occupa circa la metà della scena, al contrario nei close-up vengono mostrate solo le spalle ed il viso. Ciò corrisponde alle relazioni face-to-face, dove la distanza diminuisce all’aumentare dell’intimità con l’interlocutore: allo stesso modo, i close-up vengono utilizzati per dare un’impressione di maggiore familiarità con il partecipante rappresentato che è, solitamente, un estraneo per lo spettatore, mentre il campo lungo trasmette maggiore autorità e rispetto. Il terzo elemento che contribuisce alla costruzione della relazione è la scelta della prospettiva, ovvero di un angolo, che esprime su di un partecipante rappresentato e per un partecipante interattivo un punto di vista inteso come soggettivo e individuale, anche se spesso socialmente determinato. La prospettiva, di origine rinascimentale, pur essendo considerata una copia della realtà empirica, ha in realtà un fondamento geometrico che seleziona per i partecipanti e per lo spettatore un punto di vista singolo e centralizzato da cui si sviluppa l’inquadratura. La sua funzione è quella di separare l’immagine rappresentata dall’ambiente di ricezione, creando un nuovo ambiente che è una “finestra sul mondo” (ivi. 130). All’interno di questa rappresentazione, il piano frontale dell’autore e quello dei soggetti possono essere sia allineati che divergere, determinando un diverso angolo orizzontale – ovvero la funzione tra i due: quando l’angolo orizzontale è divergente l’immagine può avere un doppio punto di vista, frontale o obliquo. Ciò che differenzia i due è il maggiore o minore 29 Dove Halliday distingue tra domanda e offerta (ivi. 124)

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coinvolgimento dell’autore con i partecipanti rappresentati: l’angolo obliquo, a differenza di quello frontale, crea infatti un maggiore distacco nei loro confronti, cerca di mantenere una distanza tra il loro mondo e quello dei partecipanti interattivi, anche se gli spettatori possono sempre decidere se accettare o rifiutare tale punto di vista. Un’altra tecnica che definisce i rapporti tra i due tipi di partecipanti, in questo caso i rapporti di potere, è l’altezza dell’angolo di ripresa. Un angolo alto mostra infatti i partecipanti rappresentati come fossero rimpiccioliti ed implica un maggiore potere dei partecipanti interattivi su di essi, viceversa per l’angolo basso, che ne esalta il trionfo, la superiorità; un punto di vista a livello dello sguardo – invece – indica una relazione paritaria tra i due.

Nella sezione precedente sono stati elencati i diversi tipi di rapporti che intercorrono tra i due tipi di partecipanti, che comprendono anche rapporti di potere. I rapporti di potere nelle strutture sociali regolano anche le scelte che l’autore fa in termini di modalità, ovvero quella serie di segni ritenuti maggiormente adatti, plausibili per conferire credibilità al messaggio della comunicazione. Ciò non assicura la sua veridicità, ma piuttosto indica se l’autore ha voluto rappresentarla come veritiera o meno perché “dal punto di vista della semiotica sociale, la verità è un costrutto semiotico, perciò la verità di un particolare gruppo sociale emerge dai suoi valori e dalle sue credenze” (ivi. 154). Tuttavia, la comunicazione non serve unicamente ad affermare i propri valori, ma anche a valutare la veridicità di quelli altrui, ed è per questo che possono essere usati vari gradi di modalità. Come il linguaggio, anche le immagini possono conferire ai soggetti una maggiore impressione di realtà o, al contrario rappresentarli come creature immaginarie: il realismo viene codificato all’interno delle pratiche che definiscono un gruppo sociale, ad esempio nella fotografia tende ad essere identificato con il naturalismo, ovvero una rappresentazione che deve avvicinarsi quanto più possibile alla visione “normale” dell’oggetto nel suo contesto concreto. Nelle immagini, la modalità si realizza attraverso l’intreccio di alcune variabili:

• il colore, nei suoi aspetti di saturazione, differenziazione e modulazione – tuttavia non ci soffermeremo su questo aspetto perché non è indicativo per i documenti di riferimento per l’analisi, i quali risalgono agli anni Cinquanta, cioè prima dell’avvento del colore nel cinema;

• la contestualizzazione, ovvero il grado di astrazione o precisione con cui viene rappresentato lo sfondo: se i partecipanti vengono decontestualizzati, essi risultano maggiormente generici, quasi un modello o l’esempio di una categoria. Per modulare il contesto si può scegliere di sfocare o sovraesporre il secondo piano, così da limitarne la visibilità dei dettagli;

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• la rappresentazione più o meno particolareggiata dei dettagli dei partecipanti, la quale crea un sentimento di vicinanza o di distacco tra partecipanti rappresentati e interattivi. Nella fotografia, la rappresentazione è realizzata tramite la definizione della messa a fuoco e l’esposizione

• la profondità, dove il massimo grado di modalità si ottiene grazie alla prospettiva centrale; • l’illuminazione, cioè la rappresentazione dei partecipanti in un contesto di luci ed ombre

create da una precisa fonte luminosa;

• la luminosità, ovvero il grado di differenza tra le zone più chiare e quelle più scure, per creare un effetto più definito o più sfocato, quasi nebbioso.

Bisogna sottolineare che il grado massimo di questi parametri non coincide con il massimo effetto di naturalezza: come per il linguaggio, anche per le immagini la modulazione rappresenta un continuum i cui poli opposti conferiscono ugualmente un’impressione di irrealtà. Inoltre, in una singola immagine diversi parametri possono avere diversi gradi, che combinati insieme risulteranno più o meno naturalistici.

Gli elementi finora analizzati contribuiscono alla rappresentazione dell’immagine e tuttavia ne determinano una singola caratteristica: ciò che invece li mette in relazione e costituisce un tutto organico è la composizione, equiparabile alla metafunzione testuale della SFL. Nella composizione agiscono tre sistemi: il valore informativo, la rilevanza ed il framing. Il valore informativo è legato alle zone in cui sono posizionati gli oggetti: destra-sinistra, centro-margini, alto-basso. Il valore destra-sinistra presenta nelle immagini che si sviluppano secondo un’asse orizzontale una struttura simile a quella tematica del linguaggio individuata da Halliday: sulla sinistra vengono infatti solitamente posizionate le immagini “date”, assodate, condivise – tematiche – mentre sulla destra quelle nuove – o rematiche – che generalmente attraggono l’attenzione dello spettatore e possono essere problematiche o contestabili30. Lo schema di rappresentazione verticale, invece, in cui alcuni elementi sono rappresentati in alto ed altri in basso pone una distinzione di tipo idealità-realtà. Gli elementi posti nella parte superiore risultano idealizzati perché presentano informazioni più generalizzate, mentre quelli in basso sono più ricchi di dettagli e specificità, anche di valore pratico. L’ultimo set di opposizioni, che risulta meno tipico nella cultura occidentale rispetto ai primi due, posiziona l’elemento principale al centro, circondato da altri elementi secondari che dipendono da esso secondo vari gradi di marginalità. Il secondo sistema è costituito dalla rilevanza del soggetto, ottenuta grazie al suo posizionamento, al contrasto, alla prospettiva o alle dimensioni reciproche, oltre che a fattori culturali, per evidenziarne la maggiore o minore l’importanza, creando quindi una

30 Questa struttura è valida nelle culture dove la scrittura si sviluppa da sinistra a destra mentre risulta ribaltata per le lingue che vengono lette da destra verso sinistra (ivi. 181).

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gerarchia. La valutazione della rilevanza si effettua a partire dalla totalità della composizione, per identificarne il punto centrale – che può non corrispondere con il centro della composizione ma semplicemente con un punto di forza (ivi. 202) – attorno al quale si organizza tutto il resto. L’ultima tecnica compositiva è il framing, che unisce o separa, secondo vari gradi, gli oggetti, attraverso linee di demarcazione fisiche o deducibili dalla presenza di oggetti. Se non sono presenti confini netti, gli oggetti appaiono come componenti di un gruppo più omogeneo.

La grammatica visuale è il primo esempio di come l’approccio socio-semiologico possa essere applicato ad altri codici, per estendere l’analisi del discorso oltre i confini del linguaggio. Nel prossimo paragrafo come le analisi dei diversi codici possano combinarsi per far emergere nuovi significati nei testi.

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