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La partecipazione del pubblico nella pianificazione di bacino

Il contributo del diritto dell’UE alla partecipazione del pubblico nella gestione dell’acqua e dei servizi a essa legati, in termini di “qualità” e novità, si coglie chiaramente con riferimento alla pianificazione di bacino. L’art. 14 della DQA, che segue la disposizione che prevede la predisposizione dei piani di bacino, impone a ciascuno Stato di procedere alla consultazione del pubblico; quest’ultima rappresenta il primo livello di partecipazione reale e, in base a specifiche scadenze (con un ciclo ripetitivo di 6 anni per i piani di gestione successivi), dovrebbe rispettare alcuni requisiti

69 L’attività del legislatore europeo ha ampiamente avuto ad oggetto: la disciplina dei dati

personali, quella dell'informazione ambientale, le norme ed i principi della statistica e finanza pubblica, le politiche sulla circolazione delle informazioni pubbliche mediante Ict, e la normativa sul riutilizzo delle informazioni del settore pubblico. Sul punto si vedano, ad esempio: T.HOEREN, «Information Quality and

Law - Some reflections on Recent EU Developments», in U. GASSER (dir.), Information Quality

Regulation: Foundations, Perspectives, and Applications, Baden-Baden, 2004; M.EPPLER,U.GASSER-M.

HELFERT, «Information Quality: Organizational, Technological and Legal Perspectives», in Studies in

Communication Sciences, 2004, pp. 1-16; E. CARLONO, «La qualità delle informazioni pubbliche. L’esperienza italiana nella prospettiva comparata», in RTDP, 2009 (1), pp. 155.

70 Cfr. Direttiva 2003/4/CE, sull’accesso del pubblico all informazione ambientale, cit., art. 8.

Sul punto si veda anche il considerando 20 della stessa direttiva, secondo il quale «poiché rappresenta un fattore importante per valutare la qualità dell’informazione fornita, anche il metodo utilizzato per la raccolta dell'informazione dovrebbe essere divulgato su richiesta».

71 Ibid., art. 7, § 2.

72 Cfr. Direttiva 2000/60/CE, che istituisce un quadro per l’azione comunitaria in materia di

individuati dettagliatamente dalle linee guida elaborate nell’ambito della Common

Implementation Strategy.

La consultazione del pubblico, che dovrebbe avere luogo solo dopo il completamento o durante la preparazione delle prime versioni dei piani e degli altri documenti73, è prevista innanzitutto in forma scritta. Le linee guida elaborate nell’ambito della Common Implementation Strategy precisano, in particolare, che la consultazione scritta (su carta, tramite posta ordinaria o posta elettronica) è da considerare come un requisito minimo per l’attuazione della direttiva, mentre la

consultazione verbale rappresenta la buona pratica74.

Secondo un particolareggiato codice di condotta delle consultazioni scritte, inoltre, gli Stati dovrebbero: specificare le scadenze per l’organizzazione della consultazione sin dall’inizio nel processo di pianificazione di un orientamento o di un servizio, fatta eccezione per quelle indicate nell’art. 14 della direttiva; stabilire chiaramente quali sono i soggetti consultati, le domande da porre, i termini di tempo e le finalità previste; rispettare dei criteri di semplicità, intellegibilità e sinteticità dei documenti oggetto di consultazione (scadenze, programma di lavoro, problemi di gestione delle acque importanti, bozza del piano di gestione del bacino idrografico), predisponendo anche una sintesi di 2 pagine riguardante le questioni principali sulle quali verte la consultazione; rendere disponibili i documenti in questione utilizzando al meglio gli strumenti elettronici, affinché siano distribuiti a tutti i gruppi e gli individui interessati. Tale codice di condotta, come si può ricavare anche dal testo della stessa direttiva, ricorda che: il pubblico interessato dovrà avere sei mesi di tempo per rispondere ai documenti; le risposte dovranno essere analizzate accuratamente e senza pregiudizi; i risultati devono essere messi a disposizione del pubblico, unitamente al resoconto delle opinioni raccolte e delle motivazioni sottese alle decisioni finali; i diversi reparti dovranno controllare e valutare le consultazioni nominando un

coordinatore che garantirà la distribuzione dei risultati della consultazione75.

73 Cfr. WWF Italia, La partecipazione pubblica nel governo delle acque. Traduzione delle linee

guida sulla partecipazione pubblica in relazione alla Direttiva 2000/60/CE, cit., p. 40.

74 Ibid. 75 Ibid. p. 41.

La consultazione del pubblico, oltre ad essere obbligatoriamente prevista dalla direttiva in commento, si pone come fase di fondamentale importanza della procedura di approvazione del piano di bacino perché realizza una maggiore trasparenza nelle scelte, permettendo allo stesso tempo alla collettività di contribuire attivamente alla formazione delle stesse decisioni76. Come sottolineato in dottrina, anche se le autorità preposte all’adozione del piano di bacino non sono giuridicamente vincolate agli esiti della consultazione del pubblico, la decisione tende a configurarsi come il frutto dell’avvenuta valutazione (e ponderazione) dei diversi interessi emersi in fase di pianificazione77. Ciò esalta, innanzitutto, l’importanza del diritto di accesso alle informazioni e il dovere di divulgazione delle stesse da parte dei soggetti preposti alla pianificazione e che rivestono un ruolo di gestione delle risorse idriche: la diffusione delle notizie attinenti alle risorse idriche assume rilievo nell’ambito dei processi decisionali relativi alla realizzazione di specifici interventi che hanno ricadute rilevanti sul territorio e sulla disponibilità e accessibilità della risorsa in questione. Il diritto del cittadino a ricevere notizie in materia, dunque, assume un ruolo strumentale rispetto alla tutela del diritto di partecipare ai processi decisionali delle autorità pubbliche78. Tale diritto, alla luce dell’obiettivo dichiarato della direttiva di raggiungere un buon livello di condivisione delle misure adottate, implica dunque un ruolo “attivo” del pubblico interessato.

Il ruolo attivo richiesto al pubblico durante la consultazione non deve indurre a confondere quest’ultima con la partecipazione attiva; i due concetti, ai sensi del considerando 14 della DQA, si presentano distinti. La consultazione è intesa come un processo mediante il quale il pubblico può reagire ai piani e alle proposte elaborate dalle

autorità competenti. La partecipazione attiva, così come evidenziato anche dalle linee

guida elaborate nell’ambito della Common Implementation Strategy, implica la presenza

76 Cfr. G.GARZIA,«La pianificazione delle acque nel sistema dei piani regionali e locali», in FA,

2006 (1), pp. 298 ss.

77 Ibid. L’autore, a riguardo, cita F.LEDDA (cfr. «Problema partecipativo e partecipazione al

procedimento», in Dir. amm., 1998, p. 168), secondo il quale «scopo degli istituti di partecipazione non è quello di catturare il consenso dell’interessato, ma di suscitare una differenziazione nelle prospettive e un incremento delle possibilità di acquisizione e selezione dei fatti rilevanti».

78 Cfr. A.BONOMO, «Informazione ambientale, amministrazione e principio democratico», cit.,

concreta delle parti interessate nel processo di pianificazione, nella discussione dei problemi e nell’apporto di contributi necessari alla loro risoluzione; dovrebbe trattarsi di una presenza tale da permettere alle parti interessate di esercitare un’influenza sul

processo, senza che ciò implichi necessariamente che debbano diventare responsabili

della gestione delle acque79.

La differenza tra le due nozioni in commento si ricava chiaramente anche dal fatto che, così come anticipate nelle pagine precedenti, la partecipazione attiva è

indicata come un ulteriore livello di partecipazione del pubblico: i soggetti sono invitati

a contribuire fattivamente al processo decisorio, discutendo le varie questioni e dando un apporto alla loro risoluzione. Quest’ultimo livello di partecipazione non è configurato come obbligatorio, diversamente dall’informazione e dalla consultazione, ma gli Stati membri sono comunque tenuti a promuoverne la diffusione in rapporto all’elaborazione, al riesame e all’aggiornamento dei piani di gestione dei bacini idrografici80.

Il riferimento alla “discussione” con il pubblico nel corso delle consultazioni, che possiamo rilevare in più parti delle linee guida elaborate nell’ambito della Common

Implementation Strategy, indicherebbe un certo favor del legislatore europeo all’utilizzo

di strumenti partecipativi aventi natura deliberativa81. La DQA, tuttavia, non contiene

79 Cfr. WWF Italia, La partecipazione pubblica nel governo delle acque. Traduzione delle linee

guida sulla partecipazione pubblica in relazione alla Direttiva 2000/60/CE, cit., p. 20.

80 Cfr. Direttiva 2000/60/CE, che istituisce un quadro per l’azione comunitaria in materia di

acqua, cit., art. 14 § 1.

81 In dottrina si è evidenziato che tale costante riferimento alla “discussione”, da intrattenere nel

corso delle consultazioni, richiami gli strumenti tipici delle c.d. «arene deliberative», ossia le forme di partecipazione ai processi decisionali come il participatory budgeting, le citizens ‘juries, le Planungszelle o planning cells, le consensus conferences, i deliberative opinion polls, il francese débat public, i town

meetings, ecc. In tal senso si veda V.MOLASCHI, «La partecipazione dei privati al governo della gestione delle acque. Riflessioni sull’attuazione della direttiva quadro 2000/60/CE», cit., p. 154. L’autrice sottolinea come tali strumenti siano retti dall’inclusione e della deliberazione, dove quest’ultima deve intendersi non già come la decisione in sé, ma l’iter che conduce ad essa. La deliberazione è intesa come un processo, antecedente alla decisone in sé, caratterizzato dal confronto tra posizioni e argomentazioni spesso contrastanti. Della stessa autrice si veda anche: «The Implementation of the Second Pillar of the Aarhus Convention in Italy. The Need for Reform and for Introduction of the so-called “Deliberative Arenas”», in B.VANHEUSDEN,L.SQUINTANI (dir.), Environmental and Planning Law Aspects of Large

indicazioni che vadano oltre tale favor, cosicché, come argomentato in dottrina, si rileva «un disallineamento tra la primarietà della funzione demandata agli apporti partecipativi e l’inadeguatezza dei moduli procedurali entro cui dovrebbe incanalarsi la presenza attiva dei cittadini»82. Il diritto dell’UE, d’altronde, prevede come obbligatoria la sola fase d’informazione e quella di consultazione, mentre come più volte sottolineato stabilisce che gli Stati debbano semplicemente favorire la partecipazione attiva.

Alla luce di quanto appena evidenziato, dunque, possiamo rilevare che il diritto dell’UE, pur introducendo una metodologia di pianificazione aperta allo scrutinio dell’opinione pubblica e al coinvolgimento dei portatori di interessi, non impone alcuna

“participatory governance”. Le disposizioni passate in rassegna nelle pagine

precedenti, infatti, non predispongono un reale coinvolgimento degli utenti/cittadini nella scelta del modello di gestione delle risorse idriche o, tanto meno, in ordine alla determinazione delle tariffe.

Sulla capacità della partecipazione del pubblico d’incidere sulle decisioni finali, dunque, è lecito sollevare dei dubbi83, ma è un dato di fatto che la previsione di obblighi informativi e della fase di consultazione imponga comunque un impegnativo approccio educativo sia per le Autorità competenti che per gli attori sociali che, collettivamente, sono chiamati a realizzare obietti di social learning e water awareness, così da ridurre i conflitti riguardo all’uso dell’acqua e ad aumentare l’efficienza della relativa gestione.