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L’obbligo di non cagionare danni si presenta come la seconda regola che discende dal riconoscimento dell’acqua quale «risorsa naturale condivisa» ed elemento materiale su cui si fonda una comunità di diritto. Tale regola, in termini più generali, è riconducibile all’obbligo di non cagionare dei pregiudizi al di là del proprio territorio: regola di origine consuetudinaria, basata sul brocardo latino «sic utere tuo ut alienum

non laedas», che ha avuto la sua prima celebre formulazione giurisprudenziale nel caso Fonderia Trail.

Nella controversia appena citata, che contrapponeva il Canada e gli USA per i danni cagionati dalle emissioni di una fonderia situata in territorio canadese agli agricoltori dello Stato di Washington, il Tribunale arbitrale istituito ad hoc affermò che

«under principles of international law, as well as the law of the United states, no state has the right to use or permit the use of its territory in such manner as to cause injury by fumes in or to the territory of another or the property or persons therein, when the case is of serious consequence and the injury is established by clear and convincing evidence»60

La regola in questione è richiamata in varie dichiarazioni e testi convenzionali

qualitativo negli obblighi di protezione dei corsi d’acqua previsti dai testi internazionali precedenti.

59 In questi termini si veda M.ARCARI,«Il progetto della Commissione di diritto internazionale

sul regime giuridico delle utilizzazioni dei corsi d’acqua internazionali», in CI, 1996, pp. 284-316, e in particolare p. 312.

60 Cfr. Sentenza del Tribunale arbitrale, 11 marzo 1941, Fonderia Trail, in UNRIAA, III, p. 1965.

Per un commento della sentenza in questione si vedano: J.E. READ, «The Trailer Smelter dispute», in

Canadian Yearbook of International Law, 1963, pp. 213 ss.; A.P. RUBIN, «Pollution by analogy: the Trail

sull’uso dei corsi d’acqua internazionali, quali: la Dichiarazione di Madrid del 1911, che all’art. I statuisce che nessuno Stato potrebbe utilizzare le acque del proprio territorio «in una maniera che possa creare un’interferenza grave» con l’utilizzazione da parte degli altri61; la Convenzione di Ginevra del 1923, che all’art. 4 richiede agli Stati di iniziare delle negoziazioni quando un progetto di sviluppo di energia idroelettrica «potrebbe causare effetti pregiudizievoli a un altro»62; la Convenzione di Helsinki del 1992 sulla protezione e uso dei corsi d’acqua transfrontalieri all’art. 263. La regola in commento, come anticipato nelle pagine precedenti, è stata infine codificata all’art. 7 della Convenzione di New York del 199764.

L’art. 7 della Convenzione di New York del 1997 è stato oggetto di un ampio dibattito che ha visto gli Stati contrapposi su tre profili tra loro strettamente connessi: la prevalenza o meno del principio in esso contenuto su quello dell’equa utilizzazione; la portata del concetto di due diligence contenuto al paragrafo 1 dell’art. 7; la nozione di danno65.

Per quanto riguarda la nozione di danno, la pratica internazionale ha adottato

61 Cfr. International Regulations regarding the use of international watercourses for purposes

other than the navigation, adottato dall’IDI alla Sessione di Madrid il 20 Aprile 1911, in Annuaire del IDI, 1911, pp 156 ss.

62 Cfr. Convention relating to the development of hydraulic power affecting more than one State

and protocol of signature, Geneva, 9 December 1923, in League of Nations (LNTS), 77, pp. 36 ss.

63 Cfr. Un Ece, Convention on the Protection and Use of Transboundary Watercourses and

International Lakes, Helsinki, 17 march 1992 (http://www.unece.org/env/water/text/text.html).

64 L’art. 7 della Convenzione di New York del 1997, intitolato Obligation de ne pas causer de

dommages significatifs, stabilisce che «1. Lorsqu’ils utilisent un cours d’eau international sur leur territoire, les Etats du cours d’eau prennent toutes les mesures appropriées pour ne pas causer de dommages significatifs aux autres Etats du cours d’eau. 2. Lorsqu’un dommage significatif est néanmoins causé à un autre Etat du cours d’eau, les Etats dont l’utilisation a causé ce dommage prennent, en l’absence d’accord concernant cette utilisation, toutes les mesures appropriées, en prenant en compte comme il se doit les dispositions des articles 5 et 6 et en consultation avec l’Etat affecté, pour éliminer ou atténuer ce dommage et, le cas échéant, discuter de la question de l’indemnisation».

65 Per una disamina completa dei profili problematici sorti in seno alla Commissione di diritto

internazionale si veda, oltre alla bibliografia citata alla nota 31, M. ARCARI, «Il progetto della

Commissione di diritto internazionale sul regime giuridico delle utilizzazioni dei corsi d’acqua internazionali», cit., pp. 284-316; IDEM, Il regime giuridico delle utilizzazioni dei corsi d’acqua

diversi orientamenti sul grado di danno causato, qualificandolo come «sostanziale»66, «grave»67, «apprezzabile»68 e «significativo»69. Il commentario della Commissione di diritto internazionale sull’art. 7 della Convenzione di New York del 1997 precisa che:

«Le mot appréciable traduit un critère factuel. Le dommage doit pouvoir être établi par des constatations objectives, il doit y avoir une véritable atteinte à l’utilisation, c est-à-dire un effet nocif de quelque importance – par exemple sur la santé publique, l’activité industrielle, les biens, l’agriculture, ou l’environnement - dans l’Etat affecté. Le dommage appréciable est donc un dommage qui n’est pas insignifiant ou à peine décelable, sans être nécessairement "grave"»70

Il termine “apprezzabile” fu sostituito dall’aggettivo “significativo” nell’ultima lettura della Convenzione, ma la Commissione di diritto internazionale ha utilizzato il concetto appena riportato nel commentario per definire il senso del termine “significativo”. In linea di principio sono esclusi i c.d. danni semplici e trascurabili ed è radicata l’idea che uno Stato debba tollerare gli effetti minori causati dall’uso ragionevole delle risorse idriche di uno Stato vicino.

La circostanza che uno Stato debba tollerare una parte di danni causati dagli altri Stati rivieraschi è confermata dal fatto che, ai sensi del paragrafo 1 dell’art. 7, il danno deve esse valutato alla luce della due diligence, vale a dire dell’attenzione e della diligenza tenuta dallo Stato nell’utilizzare le proprie risorse idriche 71 . Come ampiamente sostenuto in dottrina, la responsabilità internazionale di uno Stato rivierasco per un danno significativo sorge nel caso in cui i danni contestati siano provocati da un comportamento volontario o da una grave negligenza72. Alla luce di

66 Cfr. In tal senso le c.d. «Helsinki rules», cit.

67 Cfr. La Convenzione sugli effetti transfrontalieri degli incidenti industriali, firmata a Helsinki

il 17 marzo 1992, ha adottato l’aggettivo “grave” all’articolo 1.

68 La Commissione di diritto internazionale all’inizio dei suoi lavori sul progetto di Convenzione

del 1997 ha adottato il termine “apprezzabile”, per poi prima optare per quello di “significativo”.

69 Cfr. Convenzione di Helsinki sulla protezione e l’uso dei corsi di acqua transfrontalieri e dei

laghi internazionali, cit., articolo 1 § 2.

70 Cfr. commentaire sur l’article 7, in A.C.D.I., 1994, II, 2e partie, p. 109, § 4.

71 Sulla portata e gli effetti della c.d. Due diligence nel diritto internazionale si veda, tra tutti, R.

PISILLO MAZZESCHI, Due diligence e responsabilità internazionale degli Stati, Milano,1989.

72 Cfr. L.CAFLISCH, «Regulation of the Uses of International Watercourses», in L.BOISSON DE

quanto appena evidenziato, il divieto di cagionare danno va inteso come obbligo di condotta e non come risultato, con la conseguenza che l’oggetto principale del divieto non è il danno significativo strictu senso ma il comportamento dello Stato nell’uso delle proprie risorse idriche.

Il paragrafo 2 dell’art. 7 della Convenzione di New York del 1997 disciplina l’ipotesi in cui il danno significativo si sia realizzato nonostante l’esercizio della diligenza dovuta, imponendo l’obbligo di cooperazione tra le parti. Tale obbligo rappresenta il punto di equilibrio della problematica relazione tra l’uso ragionevole di un corso d’acqua e l’obbligo di non cagionare danni, che vede contrapposti, senza apparente soluzione, gli Stati a valle a quelli a monte73 e parte della dottrina74. Data la difficoltà obiettiva di determinare in concreto l’uso ragionevole di una determinata risorsa e il giusto equilibrio con il divieto di cagionare danni, la soluzione “cooperativa” appare come l’unica percorribile in ultima istanza, oltre che quella più coerente all’idea di comunità di diritto che si basa sulla proprietà condivisa di una determinata risorsa idrica75.

L’obbligo di cooperazione, che è emerso nelle pagine precedenti con riferimento al principio della partecipazione equa e ragionevole, è enunciato in termini generali all’art. 8 della Convenzione di New York del 1996 e discende dal principio generale di

Conflict, Washington, 1998, pp. 18-19.

73 Gli Stati a valle argomentavano la supremazia della nozione contenuta all’articolo 7 e il fatto

che non si poteva considerare equo e ragionevole un uso delle risorse idriche che causasse danni a un altro Stato. Gli Stati a monte, viceversa, sostenevano la “prevalenza” dell’articolo 5 e il conseguente “diritto” di causare un danno.

74 Il principale sostenitore della posizione espressa dagli Stati a valle e alla preminenza

dell’obbligo di non cagionare danni è stato il relatore speciale Mc Caffrey (cfr. S.C.MC CAFFREY, «The UN Convention of the Law of the Non-Navigation Uses of International Watercourses : Prospects and Pitfalls», in World Bank Technical Papers, n°414, 1998). Per una disamina delle posizioni dottrinali favorevole alla supremazia dell’articolo 5 si veda L.CAFLISCH, «La convention du 21 mai 1997 sur

l’utilisation des cours d'eau internationaux à des fins autres que la navigation», cit., pp. 775.

75 In dottrina si è argomentato che l’obbligo di cooperazione «costituisca il catalizzatore

normativo di un equilibrato bilanciamento tra il principio dell’equa e ragionevole utilizzazione e il divieto di causare danni significativi» (cfr. A. TANZI, «La Convenzione di New York sui corsi d'acqua

cooperazione internazionale, sancito in molti testi convenzionali 76 e nella giurisprudenza internazionale77. Tale obbligo si articola attraverso la previsione dell’obbligo di scambio d’informazioni78 e di quello di notifica dei nuovi progetti79, oltre a caratterizzare l’intera Parte IV dedicata alla tutela degli ecosistemi80. Pur suscitando non poche perplessità circa la sua portata effettiva 81, l’obbligo di cooperazione conferma la configurazione della risorsa idrica quale «risorsa condivisa» e fondamento di una comunità di diritto, strutturando la necessaria armonizzazione e l’inevitabile coordinamento degli usi di una risorsa sensibile e sempre più “scarsa”.

6. L’acqua come «risorsa naturale condivisa» e le pretese degli individui: il ruolo