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Il principio generale della partecipazione del pubblico in materia ambientale: la «democrazia

Le ragioni alla base del riconoscimento dell’importanza economico/sociale della partecipazione del pubblico nella gestione dell’acqua e dei servizi a essa legati, che in termini generali si pongono come altrettanti obiettivi sociali da realizzare17, concorrono, come noto, alla graduale affermazione del principio generale della partecipazione del pubblico in materia ambientale18.

Quanto appena evidenziato ha reso la DQA il primo atto di natura vincolante che traduce nell’ordinamento dell’UE, da un lato, il principio n. 10 della Dichiarazione di Rio del 1992, che ha sottolineato la necessità fondamentale di un’ampia e diffusa partecipazione del pubblico in materia ambientale e sociale19, e dall’altro, i principi alla

15 Riteniamo utile ricordare che per «legislatore europeo» s’intende normalmente il Parlamento

europeo e il Consiglio dell’Unione congiuntamente considerati, e che all’interno dell’Unione europea, coerentemente alla sua natura di organizzazione internazionale, non vige il principio della separazione dei poteri ma quello di «condivisione dei poteri».

16 Ibid., punto 24.

17 Cfr.T.BEIERLE,J.CAYFORD, Democracy in Practice – Public in Environmental Decisions,

Washington DC, 2002, e in particolare il capitolo 3, intitolato «The Social Goals of Public Participation», pp. 21-32.

18 Sulla graduale emersione della partecipazione del pubblico quale principio generale del diritto

dell’ambiente si vedano, oltre ai principali manuali di diritto dell’ambiente italiani e stranieri: G. MONÉDIAIRE, «Droit de l’environnement et participation», in I. CASILLO, R. BARBIER,L. BLONDIAUX,F.

CHATEAURAYNAUD,J-M.FOURNIAU,R.LEFEBVRE,C.NEVEU,D.SALLES (dir.), Dictionnaire critique et

interdisciplinaire de la participation, Paris, 2013; F. JAMAY, «Principe de participation: droit à

l'information (refonte)», in Jurisclasseur environnement et développement durable, 2013 (1), pp 1-78.

base della Convenzione di Aarhus20, che riguarda l’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale21. Quest’ultima riconosce, in termini del tutto simili a quelli rilevati nella DQA, che in materia ambientale «un migliore accesso alle informazioni e una più efficace partecipazione pubblica nei processi decisionali, possano migliorare la qualità e l’applicazione delle decisioni, contribuire alla consapevolezza diffusa riguardo le tematiche ambientali, fornire all’opinione pubblica l’opportunità di esprimere le proprie necessità e permettere alle autorità di prendere atto di tali preoccupazioni»22.

sull’ambiente e lo sviluppo di Rio, 3-14 giugno 1992. Il principio n. 10, come noto, recita che «i problemi ambientali sono meglio gestiti se vi è partecipazione di tutti i cittadini interessati, ai diversi livelli. A livello nazionale ciascun individuo avrà adeguato accesso alle informazioni concernenti l’ambiente in possesso delle pubbliche autorità comprese le informazioni relative alle sostanze ed attività pericolose nella comunità ed avrà la possibilità di partecipare ai processi decisionali. Gli Stati faciliteranno ed incoraggeranno la sensibilizzazione e la partecipazione del pubblico rendendo ampiamente disponibili le informazioni. Sarà assicurato un accesso effettivo ai procedimenti giudiziari ed amministrativi, compresi i messi di ricorso e di indennizzo». Sul punto si vedano: C.DI LEVA, «International Environmental Law

and Development», in Georgetown International Environmental Law Review, 1998, 10, pp. 501-525; G. WALKER, «Dal pensare globale all’agire locale. Il diritto internazionale e la sua influenza sul diritto

ambientale, in Riv. giur. amb., 2002 (6), pp. 913 ss.

20 Cfr. A. MASSARUTTO, «Partecipazione al pubblico e pianificazioni del settore idrico», in

AA.VV La partecipazione pubblica nell’attuazione della direttiva quadro europea sulle acque, Milano,

2005.

21 La Convenzione sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi

decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale, nota come Convenzione d’Aarhus, è stata negoziata nell’ambito della Commissione economica per l’Europa delle Nazioni Unite (UNCE), ed è stata conclusa il 25 giugno 1998 ad Aarhus in Danimarca. L’Italia ha ratificato la Convenzione con la legge 108 del 16 marzo 2001, recante del « Ratifica ed esecuzione della Convenzione sull'accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale, con due allegati, fatta ad Aarhus il 25 giugno 1998» pubblicata sulla G.U. n. 85 dell’11 aprile 2001, mentre l’Unione europea ha proceduto ad aderirvi solo nel 2005 con la decisione 2005/370/CE del Consiglio, 17 febbraio 2005, in GUCE L 124, p. 1.

22 Considerando 8 della Convenzione in commento. Per un’introduzione sulla Convenzione in

questione si vedano, ad esempio: A.TANZI,E.FASOLI,L.IAPICHINO (dir.), La Convenzione di Aarhus e

l’accesso alla giustizia in materia ambientale, Padova, 2011; E.J.LOHSE,M.POTO (dir.), Participatory

Rights in the Environmental Decision-Making Process and the Implementation of the Aarhus Convention: a Comparative Perspective, Berlino, 2015; A.ANGELETTI, (dir.), Partecipazione, Accesso e Giustizia nel

Gli atti di diritto dell’UE relativi all’acqua, in realtà, non contengono nessun riferimento né alla dichiarazione di Rio del 92 né alla Convenzione di Aarhus, cosi come non si rileva nessun accenno nelle relazioni sull’attuazione della DQA o su quella relativa alle alluvioni. La Convenzione di Aarhus, tuttavia, è stata gradualmente integrata nell’ordinamento giuridico dell’UE con l’adozione delle direttive 2003/35/CE23, 2003/04/CE24 e del regolamento (CE) 1367/2006 sull’applicazione alle istituzioni e agli organi comunitari delle disposizioni della Convenzione di Aarhus25. I principi in essa contenuti, di conseguenza, si applicano anche alla gestione dell’acqua, così come ricordato dal Parlamento europeo che ha richiamato gli obblighi degli Stati stabiliti dalla Convenzione di Aarhus con specifico riferimento alla gestione dei servizi idrici26.

Il riconoscimento dell’importanza economico/politica della partecipazione del pubblico s’inserirebbe, dunque, nella più ampia emersione di quella che è definita come «democrazia ambientale», di cui la Convenzione di Aarhus si fa esplicitamente portatrice27. Tale particolare forma di democrazia potrebbe essere definita, secondo

Diritto Ambientale, Napoli, 2011; B.VANHEUSDEN,L.SQUINTANI,(dir.), Environmental and Planning

Law Aspects of Large Scale Projects, Intersentia, 2016.

23 Cfr. Direttiva 2003/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, 26 maggio 2003, che

prevede la partecipazione del pubblico nell'elaborazione di taluni piani e programmi in materia ambientale, in GU L 156, pp. 17–25.

24 Cfr. Direttiva 2003/4/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, 28 gennaio 2003,

sull’accesso del pubblico all informazione ambientale, in GU L 41 del 14.2.2003, pp. 26 ss.

25 Cfr. Regolamento (CE) 1367/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, 6 settembre 2006,

sull’applicazione alle istituzioni e agli organi comunitari delle disposizioni della Convenzione di Aarhus sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale, in GU L 264, pp. 13-19. La Convenzione d’Aarhus, nello specifico, è

stata firmata il 25 giugno 1998 et approvata a nome della Comunità europea con la decisione 2005/370/CE del Consiglo, del 17 febbraio 2005, in GU L 124, p. 1. Sul punto si veda, ad esempio: B. Lorz, «Verso l’applicazione della Convenzione di Aarhus nell’UE. Disposizioni di attuazione e progressi realizzati», in Riv. giur. amb., 2006 (6), pp. 1047 ss.

26 Cfr. Risoluzione del Parlamento europeo, 8 settembre 2015, sul seguito all'iniziativa dei

cittadini europei "L'acqua è un diritto" (Right2Water), 2014/2239(INI), punto 58.

27 Sul ruolo della Convenzione di Aarhus ai fini dello sviluppo della c.d. democrazia ambientale

si vedano: V.M. PRIEUR, «La Convention d’Aarhus, instrument universel de la démocratie

quanto evidenziato in dottrina, «come l’insieme dei diritti ambientali procedurali che mettono in discussione la tradizionale libertà degli Stati nelle forme di esercizio della sovranità e nella gestione delle risorse naturali prive di rilevanza transfrontaliera»28. Le linee guida elaborate nell’ambito della Common Implementation Strategy a supporto dell’attuazione della DQA29, difatti, definiscono la partecipazione del pubblico come «la possibilità offerta alle persone di influenzare gli esiti di piani e procedure. (…) Un mezzo per migliorare le modalità decisionali, per sensibilizzare il pubblico sulle tematiche ambientali e per aumentare il consenso e l’impegno rispetto a piani prestabiliti»30. Ciò ha condotto parte della dottrina parlare di vera e propria «democrazia dell’acqua»31.

Una delle principali caratteristiche di tale democrazia dell’acqua, volta a ridurre i potenziali conflitti e ad aumentare il consenso nell’attuazione delle regole di tutela e

«The Aarhus Convention: A Driving Force for Environmental Democracy», in JEEPL, 2005 (2), pp. 2 ss.

28 Cfr. C.PITEA, Diritto internazionale e democrazia ambientale, Napoli, 2013, pp. 1 ss. Oltre

all’autore appena citata, per un approfondimento sulla c.d. «democrazia ambientale» si vedano: M. BOUTELET, J. OLIVIER, La démocratie environnementale. Participation du public aux décisions et

politiques environnementales, Dijon, 2009; K. SCHNACK, «Participation, Education, and Democracy:

Implications for Environmental Education, Health Education, and Education for Sustainable Development», in A. REID, B.B. JENSEN,J. NIKEL, V.SIMOVSKA (dir.), Participation and Learning.

Perspectives on Education and the Environment, Health and Sustainability, Berlino, 2008, pp. 181-196.

Con riferimento al contesto interno italiano, invece, si vedano: D.SINCLARI, «La democrazia ambientale

nel quadro dei diritti partecipativi e dell’accesso all’informazione ambientale», in S. GRASSI, M.A. SANDULLI (dir.), I procedimenti amministrativi per la tutela dell’ambiente, in R. FERRARA, M.A.

SANDULLI (dir.). Trattato di diritto dell’ambiente, vol. II, Milano, 2014, pp. 471 ss.; G.MANFREDI,S.

NESPOR, «Ambiente e democrazia: un dibattito», in Riv. giur. amb., 2010, pp. 293 ss.

29 Si tratta di un documento di consultazione, non vincolante, che è stato elaborato da un gruppo

informale europeo costituito da esperti e da parti interessate, noto come Gruppo di lavoro 2.9 sulle buone pratiche da seguire nella pianificazione di bacino, costituitosi appunto nell’ambito della strategia comune di attuazione della DQA. Tale documento, che costituisce la Guidance document n°8, della Strategia comune sulla direttiva quadro, si compone di una parte generale e di alcuni allegati). In Italia tale linee guida sono state tradotte e diffuse da WWF Italia: La partecipazione pubblica nel governo delle acque.

Traduzione delle linee guida sulla partecipazione pubblica in relazione alla Direttiva 2000/60/CE,

Milano, 2005.

30 Ibid., p. 9.

31 Cfr. L.SUSSKIND,«Water and democracy: new roles for civil society in water governance, in

gestione dell’acqua, è il coinvolgimento del livello locale e delle autorità che la rappresentano. Ciò significa che gli Stati membri, nel garantire i servizi idrici come servizi universali gravati dall’obbligo di servizi pubblico, dovrebbero coinvolgere pienamente le comunità territoriali e i livelli giuridici locali e regionali; in altri termini, nell’ipotesi in cui si decida di delegare la prestazione dei servizi idrici a società holding, alle comunità locali devono essere garantiti poteri di controllo e d’ingerenza gestionale a prescindere dalla loro partecipazione al capitale azionario della società affidataria. Ciò in linea con l’Agenda 21 che, come evidenziato nel terzo capitolo del presente lavoro, rinvia ai livelli giuridici locali e regionali per operare «il compromesso sociale volto a una gestione sostenibile delle risorse idriche»32.

Le indicazioni contenute nell’Agenda 21 sono ampiamente recepite dalla DQA, secondo la quale «le decisioni dovrebbero essere adottate al livello più vicino possibile ai luoghi di utilizzo effettivo o di degrado delle acque»33. A favore del necessario coinvolgimento delle comunità territoriali e del livello giuridico locale, inoltre, deporrebbe anche il costante riferimento alle specificità locali, intese come valori da tutelare34, che traduce il c.d. principio di differenziazione. La gestione dell’acqua e dei servizi a essa legati si pone, in tal senso, come uno dei casi emblematici di applicazione congiunta dei principi di sussidiarietà e di differenziazione, che s’intrecciano in modo spesso inestricabile alla luce del fatto che «la sussidiarietà o è differenziazione o non esiste»35.

32 Cfr. A.TAITHE, L’eau. Un bien ? Un droit ? Tensions et opportunités, Paris, 2008, p. 93. Sul

punto si veda quanto già detto al paragrafo 6 del secondo capitolo del presente lavoro.

33 Cfr. Direttiva 2000/60/CE, che istituisce un quadro per l'azione comunitaria in materia di

acqua, cit., considerando 13.

34 Cfr. CGCE, 22 giugno 2000, C-318/98, Procedimento penale a carico di Giancarlo Fornasar,

Andrea Strizzolo, Giancarlo Toso, Lucio Mucchino, Enzo Peressutti e Sante Chiarcosso, in Racc., 2000,

p. I-04785, punto 46.

35 In questi termini si veda: M.CAMMELLI, «Sussidiarietà e pubblica amministrazione», in Non

profit, 2000 (1), p. 35, richiamato da: G.PIPERATA, Tipicità e autonomia nei servizi pubblici locali,

Milano, 2005, p. 215; P.DURET, «Crossing the great divide. Spunti per un approccio sussidiario alla

gestione dell’acqua (ovvero della rondine e della primavera)», in M.ANDREIS,Acqua, servizio pubblico e

Il diritto dell’UE, dunque, con specifico riferimento alle problematiche idriche si farebbe portatore di una vera e propria «democrazia di prossimità»36, che avrebbe segnato il superamento del tradizionale modello decisionale di programmazione definito come dad (acronimo di «decidi-annuncia-difendi»), criticato fin dalla metà degli anni ottanta del secolo scorso37.

Ancor prima dell’esplosione dei c.d. «conflitti di prossimità», che hanno registrato un aumento esponenziale negli ultimi anni con riferimento alle grandi opere infrastrutturali38, la nascente “democrazia dell’acqua” si sarebbe opposta al monopolio

36La nozione di «democrazia di prossimità» è di origine francese ed è stata elaborata con

riferimento alla partecipazione degli usagers alle instances consultatives locales. Si tratta dei lavori delle

Commissions consultatives des services publics locaux (CCSPL), chiamate a rilasciare un avis [ ] sur tout projet de recours à la délégation e a interloquire nell’individuazione della formula gestoria del

servizio idrico. Create da una legge del 6 febbraio 1992, tali Commissioni sono state rese obbligatorie nel 2003 dalla legge detta, appunto, démocratie de proximité del 27 febbraio 2002 (art. L. 413-1 del Code

général des collectivités territoriales), come ricorda l’annuale Rapport del Conseil d’Etat francese

dedicato nel 2010 a L’eau et son droit (cfr. p. 89). Sul punto, con specifico riferimento alla gestione delle acque, si vedano: F.FRAYSSE, «La gestion du service de l’eau: perspective comparatiste», in V.PARISIO

(dir.), Demanio idrico e gestione del servizio idrico in una prospettiva comparata: una riflessione a più

voci, Milano, 2011, pp. 30-31; J.HUET, «Quel(s) apport(s) des Sociétés Coopératives d’intérêt collectif

dans la gestion de l’eau?», Université Montpellier III, consultabile sul sito della Revue internationale de

l’économie sociale (http://recma.org/).

37 Sulla critica al modello decisionale «decidi-annuncia-difendi», a favore di una trasformazione

in senso maggiormente discorsivo e dialogico dei processi decisionali pubblici, si veda l’opera fondamentale di L. SUSSKIND E J. CRUIKSHANK, Breaking the Impasse, Consensual Approaches to

Resolving Public Disputes, New York, 1986.

38 Sull’emersione delle resistenze locali e territoriali alle grandi opere infrastrutturali, e alla loro

acquisizione di una dimensione internazionale, si veda, ad esempio: P.M.SAINT,R.J.FLAVELL,P.F.FOX,

Nimby Wars: The Politics of Land Use, Hinghamm, Saint University Press, 2009. Nel corso del presente

lavoro si preferisce non utilizzare la nozione di Nimby (acronimo inglese per Not In my Back Yard, lett. «Non nel mio cortile») poiché è stata spesso utilizzata, ad opinione di chi scrive, per inquadrare le opposizioni locali alla costruzione di opere pubbliche come manifestazioni patologiche di resistenza individualista e irrazionale alla realizzazione degli interessi generali. A tale nozione, come già fatto da parte della dottrina, si preferisce quella di «conflitti di prossimità», formulata dalla dottrina francese e maggiormente idonea a cogliere la dimensione locale e territoriale della difesa di diritti ugualmente legittimi. Sull’uso della nozione di conflitti di prossimità in luogo di quella di Nimby si veda, tra gli autori italiani, A. AVERARDI, «Amministrare il conflitto: costruzione di grandi opere e partecipazione

della razionalità e della legittimità che tradizionalmente tende ad essere attribuito unicamente a chi deve prendere le scelte di interesse generale, escludendo i livelli territoriali locali che possono subire le esternalità negative prodotte da queste decisioni.