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La periferia dell’Avana

UNIVERSITA TRADIZIONALE

ETNOGRAFIA DI UNA RICERCA IM(POSSIBILE)

3.4 La periferia dell’Avana

Figura 29 – Quartiere di Mariañao

Dal centro dell‟Avana mi sposto a Mariañao, una delle periferie più malfamate della capitale. Quando chiacchierando con qualcuno gli dico dove alloggio, egli mi guarda con occhi stralunati e mi dice: “Sei pazza? È un luogo di delinquenti, di povera gente, è pericoloso per te vivere lì! Ma come mai vai lì?”. Dentro di me una voce dice: veramente l‟ho scelto perché non voglio fare la vita da turista ma stare con voi, immergermi nella semplice e dura vita quotidiana cubana, ancora meglio se è quella della gente povera, quella della maggior parte dei cubani/e. Ė vero che Mariañao è una delle zone più povere e degradate dei dintorni della città, ma a far paura è più la cattiva fama del passato che il presente, visto che non ho mai incrociato delinquenti o pericoli di nessun genere, anzi le persone mi stavano sempre alla larga. In questo senso mi sembrava di essere tra veronesi,

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tranne quando andavo dal fruttivendolo dove trovavo sempre qualcuno gentile, soprattutto il capo del quartiere che mi chiedeva come stavo, cosa facevo lì, quanto tempo mi fermavo. Quando gli dicevo che ero amica delle missionarie italiane mi faceva un gran sorriso e iniziava a chiacchierare.

Non ero ospitata dalle suore, perché non avevano posto, stavano aspettando delle loro sorelle messicane e cilene, ma anche se vi fosse stato non avrei approfittato della loro generosità, desideravo vivere in una famiglia cubana e dare i soldi dell‟affitto a chi si trovava in serie difficoltà economiche (le missionarie non li avrebbero accettati per loro). Ė certo che vivere con le missionarie mi avrebbe fatto sentire a casa, cosa che accadeva quando facevo loro visita, non perché alcune erano italiane, ma per i loro valori, la loro fede e lo stile di vita che avevano scelto con tanta naturalezza. Sono state loro a farmi conoscere Michele, l‟amico che mi ha affittato un mini appartamento al piano superiore della sua abitazione.

A Mariañao io e l‟altra ricercatrice siamo rimaste pochi giorni perché la nostra meta era l‟Università di Pinar del Rio dove ci aspettava Juan Silvio vice responsabile del CECES (Centro Studi di Scienze dell‟Educazione superiore), con il quale dovevamo accordarci sul nostro soggiorno a Cuba e sulle rispettive ricerche. A Mariañao sono poi ritornata l‟ultimo mese e mezzo, lì ho concluso la ricerca e ho raccolto altro prezioso materiale grazie alle indicazioni fornitemi da una sociologa amica delle missionarie.

Prima di proseguire il viaggio per la città dei pinareñi la mia collega ed io abbiamo incontrato un antropologo amico di Flora Bisogno, una dottoranda dell‟Università degli Studi di Milano Bicocca con la quale ho conversato durante la prima fase della ricerca sul campo. Anche lei ha svolto la sua ricerca etnografica a Cuba, nella città dell‟Avana.

L‟incontro con Paul e la compagna mi ha aperto la finestra sul mondo della famiglia cubana, sull‟educazione dei giovani e sulla trasmissione dei valori.

Riporto la parte del diario in cui racconto l‟incontro con Paul, l‟antropologo cubano.

20 aprile 2008, Mariañao

Sono andata con Maria Cristina a casa di Paul al Vedano. Paul è venuto alla fermata dell‟autobus a prenderci per accompagnarci a casa sua. Ci ha presentato alcune persone e poi la sua nuova compagna, visto che entrambi erano stati in precedenza sposati.

Tutti siamo saliti al piano di sopra e, seduti in terrazza, dopo aver bevuto il caffè cubano che è sempre super zuccherato ma molto buono, abbiamo parlato di vari temi a partire dal motivo per cui io e Maria Cristina eravamo lì. Paul più volte ha sottolineato che Flora era come una figlia e che era sempre la benvenuta nella sua casa. Poi ci ha raccontato del suo lavoro di antropologo che riguarda molti campi differenti. In quel momento si stava occupando di un progetto in Angola, mentre

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prima aveva fatto ricerca nel campo della delinquenza minorile. Ha specificato che il suo lavoro era quello di occuparsi del lato grigio della società. Inoltre aveva viaggiato in vari Paesi europei.

Il suo linguaggio era molto metaforico. Si divertiva a prendere in giro gli abitanti di Pinar del Rio, scherzando sulla loro “piccolezza” culturale o sull‟essere un po‟ “tonti”. Ma poi ha dichiarato che sono persone di buon cuore e che l‟Università di Pinar si sta sviluppando molto, soprattutto è molto famosa per gli studi forestali e le energie rinnovabili.

La sua comapagna è ingegnere nel campo dei trasporti, ci ha detto che il giorno prima Raúl Castro aveva dato l‟autorizzazione affinché i cubani potessero viaggiare nei Paesi extra Cuba, cosa che fino ad allora era impossibile. Infatti ogni cubano che lasciava l‟Isola senza un permesso speciale veniva considerato un esiliato. A essere sincera, l‟impossibilità concreta di uscire dal Paese resta, per l‟elevato costo del biglietto aereo, inaccessibile per un cubano, a meno che i soldi non arrivino da qualche parente residente all‟estero.

Quando gli ho riferito il mio desiderio di fare ricerca sui giovani non solo nel campo formale ma anche in quello informale, Paul ha girato “la palla” alla compagna dalla quale aveva avuto un figlio che aveva vent‟anni. Allora lei ci ha spiegato che dalla loro unione avevano avuto solo un figlio mentre Paul aveva già due figli dalla moglie precedente (una figlia è in Francia e un altro figlio lavora in un altro paese di Cuba), e lei aveva avuto un figlio dal primo marito. Mi è sembrato che fossero un po‟ in imbarazzo nello svelarci questa la loro storia famigliare. L‟attuale compagna di Paul parlava del figlio che stava facendo il militare con un‟aria preoccupata perché il ragazzo non voleva proseguire gli studi ma andare a lavorare negli Stati Uniti, presso uno zio.