CAPITOLO II° La visione della pittura
4. La pittura: natura naturante
Per iniziare una diversa esplorazione del mondo esistente, è necessario, non formulare teorie o modelli delle cose, ma ritornare a guardarle, attraverso un nuovo modo di vedere. E quale visione può essere migliore di quella del pittore, che si offre essa stessa come domanda? Essa, per il pittore che la interroga, è
Interrogazione senza fine, poiché la visione, a cui essa è rivolta, è anch’essa interrogazione. Tutte la ricerche che si credevano concluse si riaprono – Che cosa sono la profondità, la luce, τί το ον? Che cosa sono non per uno spirito che si isoli dal corpo, ma per quello spirito che, come disse Cartesio, è diffuso per tutto il corpo? E che cosa sono, infine, non solamente per lo spirito, ma per se stesse dal momento che ci attraversano, ci inglobano?130
Che cos’è, allora, la natura per la natura del corpo? Per Merleau-Ponty, la natura è un oggetto enigmatico, non più di fronte a noi, dal momento che ci ingloba. Il corpo, proprio come la natura, non è del tutto oggetto, perché abitato da un’intelaiatura d’essere che è avvolgimento di corpo e spirito.
In ragione di ciò, ritengo possibile sostenere quanto segue. Nel momento in cui la natura perde i rigidi margini del suo essere oggetto frontale, solo la pittura può riuscire a ridarle la terra carnale di un’idea senza concetto. Restituirle, cioè, l’orizzonte ineludibile di enigmaticità. Siffatta operazione si compie attraverso quello che Merleau-Ponty definisce pensiero muto della pittura. Il pittore, infatti, è “sguardo pre-umano” del corpo, che restituisce alla natura quanto essa ha di enigmatico. Per il pittore, guardare vuol dire intercettare l’infrastruttura della “pregnanza profonda” che anima il visibile. Il suo occhio, che scende nella mano,
130 M. MERLEAU-PONTY, L’Occhio …, cit., p. 43. Si legge nel testo francese:
«Question interminable, puisque la vision à la quelle elle s’adresse est elle-même question. Toutes les recherches que l’on croyait closes se rouvrent. Qu’est-ce que la profondeur, qu’est-ce que la lumière, τί το ον? − que sont-ils, non pas pour l’esprit qui se retranche du corps, mais pour celui dont Descartes a dit qu’il y était répandu − et enfin non seulement pour l’esprit, mais pour eux-mêmes, puisq’ils nous traversent, nous englobent?».
consente al pennello di scavare sulla tela un abisso. È grazie a ciò che egli riesce a trovare, mediante i gesti del pensiero corporeo, il segno segreto del visibile, i fogli della natura scaglionati in profondo. In conclusione egli supera il naturalismo e vede la natura nella sua natura. Nel suo occhio le cose perdono il carattere d’oggetto. È il caso di Cézanne, che rompe i contorni della rappresentazione prosaica delle cose131.
Il pittore innova la percezione dell’oggetto, perché la sua visione è una domanda che non smette di interrogare l’irraggiarsi del visibile, la “pregnanza” della natura, che porta inscritta nel suo corpo. Egli lascia che le cose si duplichino dentro di lui. È questo l’orizzonte naturale dell’arte, che esce dai significati dello spirito, per entrare non in quelli della materia, bensì in quelli della natura, spazio estetico per l’uomo. Contestualmente, però, la natura è anche fuori di lui. Portare alla luce questo nesso così stretto, non deve, né occultare la dimensione non-umana della natura, né, per altro verso, umanizzarla. Occorre spogliare la natura dal rivestimento umano e trovare, al tempo stesso, l’uomo nella natura. In una natura, fatta anche di spirito.
La natura non si fa più vedere di fronte a noi ma, alla maniera di Cézanne, essa appare dall’interno del pittore e da qui, si trasferisce sulla tela, come sguardo estremo di una natura dipinta in fondo alla natura del corpo-spirito. Merleau-Ponty ama citare la famosa frase: “la natura è all’interno”132. È quindi interna ma, al tempo stesso, esterna: la natura che percepiamo intorno a noi come anche quella che sentiamo dentro il nostro essere. È quanto ci comunica l’avvolto-avvolgente dell’Ineinander, natura-corpo, congiungimento della natura che siamo con la
natura che non siamo, per vederle appartenere simultaneamente al circolo di
un’unica ontologia.
La natura, potremmo dire, è questo chiasma di non-umano-umano. Il corpo è la ricerca stessa del di dentro nel di fuori e del di fuori nel di dentro. La pittura è l’espressione di questo circolo interno-esterno, sintomo del primordiale che si forma
131 CITAZ CéZANNE
132 Cfr. J. GASQUET, Cézanne, Paris, Bernheim Jeune, 1926; rist. Cynara, Grenoble 1988, tr. it. di N. Zandegiacomi, in M. Doran, Cézanne. Documenti e interpretazioni, Roma, Donzelli, 1995, p. 125. Citato da Merleau-Ponty in M. MERLEAU-PONTY, L’Occhio …, cit., p. 20; [L’Œil …, cit., p. 16].
continuamente nel presente della natura, nell’eternità esistenziale dei suoi momenti, tutti simultanei.
A questo punto, si potrebbe forse dire che l’opera d’arte è anch’essa chiasma. Infatti, se il corpo è reversibilità di attività e passività, di visibile e invisibile, in altre parole una impalcatura ontologica estesiologicamente paradossale, ne consegue che anche la tela acquista, attraverso il corpo, la medesima trama ontologica. Pertanto, l’opera d’arte diventerebbe chiasma tra la carne del corpo e la carne del mondo, unica carne umano-ontologica.
Merleau-Ponty vede i dipinti come «il di dentro del di fuori e il di fuori del di dentro»133. Essi raffigurano la visibilità segreta che è nella nostra interiorità, il dentro carnale delle cose che è nella profondità del corpo. I dipinti sono questa natura interna, che è raddoppiamento di quella esterna, la quale, a sua volta, lavora dentro il corpo. Questo rapporto corpo-natura trova la sua trasfigurazione più rivelante nella visione pittorica, perché la forma “non disvelata” delle cose, attraverso il corpo, passa nel dipinto.
5. Magia e paradosso
Il paradosso estesiologico fa sì che, nella visione, il mondo appaia nella sua
aseità134, cioè nel suo essere reale, e, al tempo stesso, nell’occhio del pittore, duplicato in lui attraverso un’analogia genetica, in quanto non offre al suo
133 Reputo interessante riportare l’intera citazione: «Ils ont le dedans du dehors et le dehors du dedans, que rend possible la duplicité du sentir, et sans lesquels on ne comprendra jamais la quasi-présence et al visibilité imminente qui font tout le problème de l’imaginaire».
M. MERLEAU-PONTY, L’Œil ..., cit., p. 17; [L’Occhio …, cit., p. p. 21].
134 Si tratta di quella situazione di estraneità nella quale il mondo può presentarsi quando colui che, pure lo percepisce, ne sperimenta il mistero. Una siffatta esperienza è descritta in Phénoménologie de la perception, come nel saggio dedicato a Cézanne. È lo stupore di un mondo «pre-umano», profondità misteriosa in cui le cose si ancorano all’esperienza primordiale di una natura da cui il mondo stesso scaturisce. È dimensione di trascendenza, spiega M. Carbone, perché è la scoperta di una zona sotterranea che supera l’uomo in quanto non è stata costituita da ques’ultimo. Contattare il mistero del pre-umano non deve far pensare, sottolinea ancora questo interprete, al «mondo empirico anteriore alla comparsa dell’uomo», perché si tratta di un rivelare lo stato nascente dell’umanità e, secondo Merleau-Ponty, sempre sotteso dall’agire umano. Ciò costituisce altresì quanto viene espresso dalla sostanza pittorica moderna e dalla inquietante novità dell’opera cézanniana che, a giudizio di Merleau-Ponty, rappresenta quella pittura in modo emblematico. Ciò produce quello che Carbone definisce «una sorta di “effetto Cézanne” che si configura come effetto di spaesamento nella fiducia dell’uomo di essere, in linguaggio heideggeriano, “il signore dell’ente”».
M.CARBONE, Ai confini …, cit., pp. 30-31; ID., Il sensibile e l’eccedente, Milano, Guerini Studio, 1996, p.
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