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La responsabilità civile del soggetto incapace

L’ANNULLAMENTO DEGLI ATTI DELL’INCAPACE

3.4 La responsabilità civile del soggetto incapace

Il gerodiritto non ha una disciplina a se stante perciò è opportuno ricostruire il quadro normativo a tutela degli anziani utilizzando le norme generali del nostro ordinamento e ciò vale anche per la responsabilità civile.

Se il fatto dannoso è compiuto da un soggetto anziano è opportuno valutare lo stato di capacità di intendere e di volere dello stesso al momento del compimento dell’atto. Ad esempio, una persona affetta dal morbo di Alzheimer può trovarsi in uno stato di incapacità di intendere e di volere303, perché il malato subisce un declino progressivo delle proprie abilità necessarie per la vita di tutti i giorni. Perdendo la capacità di intendere e di volere, nel caso in cui compia un fatto dannoso, il malato di Alzheimer è destinatario della stessa disciplina prevista per il soggetto incapace di intendere e di volere e trova, perciò, applicazione l’art. 2047 c.c., il quale dispone che “In

caso di danno cagionato da persona incapace di intendere o di volere, il risarcimento è dovuto da chi è tenuto alla sorveglianza dell’incapace, salvo che provi di non aver potuto impedire il fatto”. Il

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A. Scalera, L'annullamento del matrimonio contratto dall'anziano, cit.

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nostro ordinamento distingue la responsabilità prevista all’interno dell’art. 2047 c.c. per i fatti compiuti da persone incapaci di intendere e di volere, che, in quanto tali, sono considerati non responsabili, dalla responsabilità dei genitori, dei tutori e degli insegnanti regolata all’interno dell’art. 2048 c.c., per i fatti dannosi commessi da minori capaci di intendere e di volere304. Queste due responsabilità sono alternative e non concorrenti, perché dipendono dalla sussistenza della capacità di intendere e di volere del soggetto che ha compiuto il fatto dannoso305. Se il malato di Alzheimer compie un’azione oppure commette un fatto che provochi un danno a terzi, mentre è incapace di intendere e di volere, non sarà condannato al pagamento dell’indennità in favore del danneggiato, perché la responsabilità cade sul suo sorvegliante306; quest’ultimo ha, però, la possibilità di fornire la prova per dimostrare che non poteva in alcun modo impedire il fatto dannoso: in questo caso, allora, il danneggiato potrà agire direttamente nei confronti dell’incapace per ottenere l’indennità derivante dal danno subito.

Parte della dottrina ritiene che la responsabilità disciplinata dall’art. 2047 c.c. sia una responsabilità per fatto altrui, in quanto chi è condannato al risarcimento non è l’effettivo autore del danno; questo orientamento non considera però che il sorvegliante risponde per un fatto che lui stesso ha compiuto e cioè l’omessa sorveglianza307, perché l’art. 2047 c.c. espressamente indica la responsabilità del sorvegliante per non aver impedito il fatto. Affinché ci sia la condanna del sorvegliante è necessario l’accertamento dell’incapacità di

304 M. Bianca, Diritto civile, La responsabilità, V, Milano, 1994, pp. 702 in

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305 Corte di Cassazione civile, Sez. III, sentenza 25 marzo 1997, n. 2606 in

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www.alzheimer.it

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G. Alpa, La responsabilità civile, in Tratt. Alpa, Milano; 1999, p. 665 in www.studiolegale.leggiditalia.it

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intendere e di volere dell’autore dell’atto e, quindi, la sua non imputabilità. L’autore del fatto dannoso deve essere una persona non imputabile secondo l’art. 2046 c.c., il quale dispone che “Non risponde delle conseguenze del fatto dannoso chi non aveva la capacità d’intendere o di volere al momento in cui lo ha commesso, a meno che lo stato d’incapacità derivi da sua colpa”: è compito del giudice valutare, caso per caso, lo stato di incapacità del soggetto, visto che l’accertamento della responsabilità civile è più elastico rispetto a quello delle responsabilità previste nelle altre branche del diritto308. Il giudice, nella sua valutazione, dovrà prendere in considerazione elementi quali lo sviluppo intellettivo, la presenza di eventuali malattie, la capacità di discernimento e di comprensione dell’illiceità del fatto compiuto, la capacità di autodeterminazione e la capacità di volere. Nel caso in cui il danneggiato non ottenga il risarcimento dal sorvegliante che risulta essere insolvente o che ha presentato una prova liberatoria o perché manca il sorvegliante stesso, il danneggiato può rivolgersi all’incapace309: questa è un’eccezione al principio di irresponsabilità dell’incapace, che si giustifica con la necessità di proteggere il terzo; deve essere precisato però che al soggetto incapace è richiesta un’indennità e non un risarcimento. Questa disposizione ha trovato scarsa applicazione, sia perché l’ordinamento prevede un regime di responsabilità notevolmente gravoso in capo ai genitori e ai sorveglianti, sia perché c’è un generale favor nei

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In ambito penale, ad esempio, la legge individua in modo puntuale le condizioni che escludono l’imputabilità del soggetto per il compimento del reato. In ambito civilistico, invece, è compito del giudice valutare se il vizio di mente, l’età del soggetto o qualsiasi altra causa escludono l’imputabilità del fatto del soggetto. Così in Corte di Cassazione civile, Sez. III, sentenza 18 giugno 1975, n. 2425 in www.studiolegale.leggiditalia.it

309 Art. 2047, secondo comma: “Nel caso in cui il danneggiato non abbia potuto ottenere il risarcimento da chi è tenuto alla sorveglianza, il giudice, in considerazione delle condizioni economiche delle parti, può condannare l’autore del danno a un’equa indennità”.

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confronti degli incapaci da parte dei giudici. Secondo parte della dottrina310la responsabilità dell’incapace, è una responsabilità oggettiva, perché il soggetto autore del fatto dannoso non è imputabile a causa della sua incapacità; ciò che rileva è il solo dato che abbia compiuto il fatto, senza analizzare il lato soggettivo dell’intenzionalità. La determinazione dell’indennità si fonda sull’esigenza di solidarietà sociale e vengono utilizzati come parametri l’equità, l’esigenza di riparare il danno della vittima e le condizioni economiche delle parti. Il giudice ha un potere discrezionale che sottolinea come il danneggiato non abbia un diritto di indennizzo, ma un potere di azione volto a sollecitare l’intervento del giudice circa la possibilità di riconoscergli l’indennità per il pregiudizio subito: parte della dottrina afferma che se il danneggiato dà prova dei presupposti fissati da legge per ottenere l’indennizzo, il giudice deve riconoscerglielo, ma, come sottolinea un altro orientamento dottrinale, l’unico criterio individuato dalla legge per l’indennizzo è rappresentato dalle condizioni economiche delle parti311, che devono essere accertate al momento della liquidazione dell’indennità e non al momento del compimento del fatto.

La giurisprudenza raramente è intervenuta in tema di responsabilità personale del malato di mente312: infatti, una volta accertata l’incapacità di intendere e di volere al momento del compimento del fatto, è necessario capire se la fattispecie rientri nell’ambito di applicazione dell’art. 2047 c.c. o in quello dell’art. 2046 c.c., nonostante tale collocazione non sia sempre semplice313. Il nostro ordinamento è estremamente garantista perché tende ad escludere la

310 Così L. Corsaro, Responsabilità Civile, I, Diritto civile, in EG, Roma, 1991, 16 in

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311 Così L. Corsaro, Responsabilità Civile, I, cit. in www.studiolegale.leggiditalia.it 312

P. Cendon, Infermità di mente e responsabilità civile, Giur. It., 1991, 3.

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responsabilità personale e diretta dell’infermo di mente, preferendo attribuirla al sorvegliante o ai familiari del soggetto; secondo una parte della dottrina314 sarebbe opportuno promuovere la responsabilizzazione dell’infermo di mente, dato che allo stesso viene riconosciuta tutta una schiera di diritti e, in particolare, il diritto all’autodeterminazione, in modo da seguire quanto fatto anche in altri ordinamenti315. La sua responsabilizzazione porterebbe a circoscrivere la responsabilità dei familiari e del personale sanitario al mero compiuto di sorveglianza e, soprattutto, permetterebbe di facilitare il reinserimento sociale del sofferente psichico316. Secondo questo orientamento dottrinale, sarebbe opportuno un intervento legislativo volto ad introdurre un modello di responsabilità civile speciale, tipica, per il soggetto infermo di mente, che sia “il più vicino possibile a

quello ordinario”317.

L’introduzione di una forma di responsabilità civile dell’incapace permetterebbe al giudice di considerare, nella valutazione equitativa necessaria per individuare l’indennità da disporre, non solo le condizioni economiche della parti, ma, soprattutto, la rilevanza dello stato di incapacità del soggetto. I sostenitori della responsabilità civile tipica per l’incapace sono favorevoli all’introduzione di un obbligo di risarcimento per l’infermo di mente318; è opportuno sottolineare, però, che il soggetto che ha compiuto l’atto dannoso era incapace di intendere e di volere al momento del compimento del fatto, perciò l’obbligo di risarcimento, anche se si basasse su parametri diversi da

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P. Cendon, Infermità di mente e responsabilità civile, cit

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La tendenza alla responsabilizzazione dell’infermo di mente è presente in Francia, dove l’attuale art. 489 – 2 code civil prevede espressamente la responsabilità civile dell’infermo di mente, ma anche negli Stati Uniti, dove l’infermità mentale del danneggiante non è considerata una causa di esenzione della civil liability. Così P. Cendon, Infermità di mente e responsabilità civile, cit.

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P. Cendon, Infermità di mente e responsabilità civile, cit

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P. Cendon, Infermità di mente e responsabilità civile, cit.

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quelli previsti per i sorveglianti, potrebbe apparire eccessivamente repressivo per la persona incapace, che non deve e non può essere assolutamente paragonato alla persona capace di intendere e di volere, cioè pienamente consapevole del gesto che stava compiendo.

3.5 Conclusioni

L’annullamento degli atti compiuti dall’incapace è un importante strumento di tutela perché riconosce la centralità del soggetto: quest’ultimo mantiene l’autonomia di concludere contratti e di riceverne gli effetti a meno che, essendo il proprio consenso viziato, non decida di eliminarli. L’annullamento trova le sue radici e la sua forza nell’istituto dell’incapacità naturale: l’art. 428 c.c. ha favorito il riconoscimento di una “più ampia tutela del soggetto che, pur non

infermo di mente, si trovi, al momento della conclusione del contratto, in stato di alterazione psicologica o, comunque, di minorazione e debolezza”319.

Le persone anziane non sempre sono incapaci di agire o affette da malattie che ne limitano la capacità di autodeterminarsi; più semplicemente, talvolta, non hanno le conoscenze e gli strumenti per far fronte alle circostanze di una società molto complessa: si pensi alle numerose truffe telefoniche, oppure alla contrattazione telematica in cui è obiettivamente privo di qualsiasi tutela il contraente telematico. Inoltre, a causa dello stereotipo creatosi intorno alle persone anziane, queste sono le vittime preferite di truffe e raggiri. Per questo, più che in altri istituti, il legislatore ha prestato particolare attenzione all’età, al punto da renderla un importante elemento per la valutazione del comportamento dell’altra parte contraente, quando si profila la

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M. Ambrosoli, Tutela dell'incapace naturale e requisito del pregiudizio, in I

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necessità, ad esempio, di valutare l’intensità di una minaccia o la portata della scorrettezza di una pratica commerciale.

L’annullamento risulta un idoneo strumento di protezione: non è sempre detto che l’atto viziato produca effetti negativi nella sfera del soggetto; qualora si presentassero effetti negativi e pregiudizievoli per il soggetto l’atto annullabile potrà essere impugnato in modo da farne cessare gli effetti.

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Capitolo 4