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La retrodatazione degli effetti fiscali della fusione transfrontaliera.

4.1. Come l’Italia ha recepito la X Direttiva sulle fusioni transnazionali.

4.2.6. La retrodatazione degli effetti fiscali della fusione transfrontaliera.

differente alla prima259.

Il carattere di transnazionalità dell’operazione può creare delle complicazioni in merito all’omogeneità delle disposizioni fiscali in materia di calcolo delle perdite tra Paesi differenti260.

4.2.6. La retrodatazione degli effetti fiscali della fusione transfrontaliera.

All’interno del progetto di fusione il legislatore italiano impone, nel D. Lgs. n. 108/2008, di indicare oltre alla data a partire dalla quale decorrono gli effetti anche quella dalla quale vengono imputati in bilancio dell’incorporante i beni appartenenti all’incorporata.

In questo caso si autorizza la retrodatazione dal punto di vista contabile della fusione transfrontaliera, mentre l’Art. 179 del TUIR conferma che è possibile attuare anche la retrodatazione fiscale. Quest’ultima è consentita nel limite della data di chiusura dell’esercizio dell’incorporata.

Tale strumento applicato alle fusioni transfrontaliere può generare alcuni problemi, date le necessità di conciliare discipline fiscali diverse e di non perdere gettito fiscale. Per quanto riguarda l’Italia, se è la società italiana che incorpora quella straniera si verifica “una fusione in entrata”.

In tal caso l’incorporante nazionale attrae il reddito prodotto ante fusione della incorporata non residente. Quindi si deve riconoscere ad essa un credito d’imposta per le imposte dovute allo Stato membro per il reddito maturato nel periodo ante fusione. Il problema che sorge è quello dell’imputazione del reddito in base alla territorialità261.

Nel caso opposto, ovvero quando la società italiana è incorporata da una società straniera, la cosiddetta “fusione in uscita”, i redditi maturati nel periodo ante fusione si imputano al reddito della Stabile Organizzazione che si crea a seguito del compimento dell’operazione straordinaria. 259 D. Stevanato, Le Riorganizzazioni internazionali di imprese, Cedam, 1999, pag 370 e ss. 260 Lovisolo, Profili fiscali della fusione transfrontaliera di società, Studi in onore di V. Uckmar, Cedam, Padova, 1997, pag. 798. 261 R. Michelutti, Fusione transfrontaliera in entrata e retrodatazione fiscale, Corrire Tributario, 2010, fascicolo 36, pag. 2979.

Il problema della tassazione sorge quando non si mantenga una Stabile Organizzazione in Italia da parte dell’incorporante straniera. L’imponibilità dei redditi da parte dello Stato italiano risulta dubbia in quanto attraverso la retrodatazione non si soddisfano i criteri di collegamento previsti dall’Art. 23 del TUIR262. In questa situazione, ovvero nel caso in cui si verifichino i fenomeni

realizzativi, si potrebbe ritenere non applicabile la retrodatazione degli effetti fiscali263. In conclusione il fenomeno della retrodatazione non viene predisposto dalla Direttiva, ma rimandato alla singola autonomia degli Stati membri i quali scelgono in base alla loro legislazione se applicarla o meno alle fusioni transfrontaliere264. 4.2.7. Il principio di neutralità applicato alla tassazione dei soci. I soci della società incorporata cambiano la loro partecipazione a seguito della fusione transfrontaliera, ma ciò non giustifica la tassazione delle plusvalenze generate a fronte dell’operazione. Il legislatore anche in tal caso garantisce la neutralità fiscale. Ad esempio se i soci dell’incorporata sono residenti nello stesso Paese membro della società, a fronte della fusione essi detengono una partecipazione di una società non residente. Quindi cambia la natura della partecipazione.

Nel caso in cui i soci siano non residenti, a seguito della fusione essi perderebbero qualsiasi collegamento con il Paese di origine della società incorporata.

Questo potrebbe generare problemi di doppia imposizione delle plusvalenze latenti da partecipazione, i quali sono risolti dall’Art. 13 del modello OCSE, che stabilisce che il potere di tassazione del Capital Gain spetti allo Stato di residenza del socio, il quale realizza la plusvalenza.

Quindi se un italiano produce una plusvalenza in uno Stato estero, questa viene tassata solo in Italia, mentre se un soggetto non residente realizza un capital gain in Italia, questo viene tassato esclusivamente all’estero265.

262 Rolle, La disciplina fiscale delle fusioni transfrontaliere. Alcune questioni aperte dopo l a Dir.

2005/56/Ce, Fiscalità Internazionale, 2009, pag. 23 e ss. 263 R. Michelutti, Fusione transfrontaliera in entrata e retrodatazione fiscale, Corrire Tributario, 2010, fascicolo 39, pag. 3251. 264 M. Giaconia e D. Chiesa, Fusioni Transnazionali: “Slalom” fra vincoli fiscali e lacune normative, Fiscalità & Commercio Internazionale, 2011, fascicolo 11, pag. 5. 265 D. Stevanato, Le Riorganizzazioni internazionali di imprese, Cedam, 1999, pag 370 e ss.

4.3. Exit Taxation

4.3.1. Il quadro generale dell’Exit Tax

Attraverso le operazioni transfrontaliere le società trasferiscono la loro residenza dal Paese d’origine a quello di destinazione, in tale maniera si perdono i criteri di collegamento con lo Stato di residenza e questo può generare un problema legato alla tassazione.

Ad esempio se la società è residente in Italia e matura, durante la sua permanenza in tale luogo, dei redditi che non sono ancora stati monetizzati, al momento del trasferimento, lo Stato rischia di perdere quel gettito imponibile.

La realizzazione della fusione sottrae reddito imponibile a vantaggio di un altro Paese o a vantaggio esclusivo del contribuente266, infatti la società fusa dovrebbe concorrere

alle spese pubbliche dello Stato di origine secondo il principio di contribuzione per tutto il periodo in cui era residente in tale territorio.

La monetizzazione del reddito prodotto in Italia in un altro Stato, comporterebbe un danno ai fini fiscali ed uno spostamento ingiustificato della ricchezza.

In tale contesto l’Italia e anche altri Paesi hanno deciso di inserire le exit tax, ovvero delle forme di tassazione che vengono applicate ogniqualvolta il contribuente, sia persona fisica che giuridica, non soddisfi più il collegamento con il territorio dello Stato e quest’ultimo non possa più esercitare la sua potestà impositiva267.

Le exit tax si applicano sui redditi maturati fino al momento della fusione ed il contestuale spostamento. La logica che persegue il legislatore è di considerare il trasferimento come un evento realizzativo del reddito, anche se si tratta di un reddito soltanto maturato e non monetizzato. L’obiettivo che si vuole perseguire è quello di evitare che tali redditi sfuggano totalmente dalla tassazione.

Nell’ordinamento italiano questa materia è disciplinata dall’Art. 166 del TUIR in relazione a quanto disposto per le plusvalenze da trasferimento. 266 Se la società si trasferisce in uno Stato a fiscalità privilegiata con aliquote basse o addirittura nulle e sfugge alla tassazione italiana, si produce un vantaggio esclusivo a favore del contribuente. 267 G. Ascoli, Exit taxation: quadro sistematico della disciplina, Il Fisco n. 21, 2014, pag. 1-2033.