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La struttura delle relazioni nel sistema settoriale

Capitolo 2 – IL CONTESTO INTERNO: IL SISTEMA SETTORIALE

2.1 La struttura delle relazioni nel sistema settoriale

Nel capitolo precedente abbiamo visto come l’impatto della regolamentazione, della digitalizzazione e, soprattutto, della tecnologia hanno mutato la configurazione del sistema televisivo, creando spazio per l’inserimento di nuovi attori e di differenti modelli di business. Alla complessità verso cui è evoluto il contesto hanno contribuito cambiamenti nella produzione, nella distribuzione e nel consumo dei contenuti grazie alla duplice implicazione della convergenza tanto nella filiera, tanto sul fronte degli usi del pubblico nei confronti dei testi, essi stessi oggetto di una diversa organizzazione formale, estetica e narrativa.

In questo capitolo vedremo come la convergenza ha inciso sui processi conglomerativi, alimentando la creazione di un ambiente multiplayer dove attori una volta separati e operanti in settori diversi si sono trovati a coesistere all’interno dello stesso ambiente e dove dirompente è stato l’ingresso della televisione distribuita online sulle relazioni tra essi. Questo processo, che nel capitolo precedente abbiamo analizzato rispetto alle pratiche consolidatesi a cavallo tra gli anni ’90 e il volgere del millennio, è in atto ancora oggi, ma con nuove dinamiche, che rispondono dell’allargamento dei confini del settore a un sistema ancora più articolato di attori. Per affrontare lo studio della situazione contemporanea sotto il profilo economico, la teoria dell’impresa, che definiva un settore attraverso le quattro forme classiche di mercato – la concorrenza perfetta, il monopolio, l’oligopolio e la concorrenza monopolistica -, non è più sufficiente a spiegare le evoluzioni del contesto cui l’industria televisiva si sta muovendo. I mutamenti portati dalla convergenza tecnologica chiedono una riconsiderazione dei metodi alla luce dell’oggetto di studio in esame. Modelli consolidati hanno mostrato in questo senso una rigidità nel non essere in grado di cogliere a pieno le sfide poste dal ruolo delle nuove tecnologie, in particolar modo rispetto agli effetti della conglomerazione sulle dinamiche intersettoriali. Una prospettiva improntata sull’analisi di un singolo settore non è infatti più sufficiente a descrivere attività che si sviluppano tra settori. Categorie come la competizione devono essere rimodulate a partire da queste considerazioni (Albarran 2010).

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Il settore qui studiato si presta all’applicazione di modelli più fluidi di quelli presentati dall’economia classica. La nozione di sistema settoriale (Malerba 2002) viene dunque preferita e utilizzata in quanto termine che comprende l’esame delle relazioni tra gli agenti economici che fanno parte dell’ecosistema analizzato, tenendo conto della loro eterogeneità e rimodulando il concetto di concorrenza tra settori (Albarran 2010). La questione si inserisce infatti all’interno di un problema teorico per l’economia industriale, ovvero quello del passaggio da una visione causalistica e meccanicista delle relazioni tra struttura di un settore, comportamento delle imprese e risultati raggiunti (Bain 1951) a una visione comportamentista, che rilegge queste dinamiche a partire dalla centralità del comportamento.

La teoria dell’impresa, o industrial organization model (IO Model) si propone di comprendere e analizzare la relazione tra struttura di un mercato, comportamento delle imprese e risultati raggiunti. Questa visione è nota come modello Struttura-Comportamento-Risultati (SCR) e consente di studiare un settore sulla base dei comportamenti delle imprese, presupponendo che i risultati, ovvero le performance, siano dovute alle relazioni simultanee tra la sua struttura e le strategie adottate (Martin 2002). Secondo Bain (1951), che lo ha formalizzato, attraverso la struttura si possono cogliere le caratteristiche delle imprese che fanno parte di un settore e osservare gli scenari competitivi reali e potenziali, cioè rappresentati da quei soggetti che potrebbero diventare competitor. L’impianto strutturale di un settore determina poi il comportamento delle imprese che ne fanno parte e, di conseguenza, anche i risultati ottenuti. Il processo, originariamente causalistico nella visione di Bain, è stato in seguito aggiornato dimostrando la possibilità di feedback tra i tre livelli a partire dal fatto che il comportamento esercita un’influenza sulla struttura nel momento in cui le strategie attuate dalle imprese concorrono alla ridefinizione delle relazioni all’interno della struttura stessa (Hoskins et al. 2004).

La visione di Scherer, formalizzata negli anni ’80, dà infatti una diversa connotazione alla performance, che ha effetti retroattivi sull’ambiente e sulle strategie attuate dalle imprese (Scherer 1980). Non solo infatti Scherer individua in essa capacità di feedback sui due aspetti precedenti, ma riconosce che essa è determinata da parametri multidimensionali. La performance non è dunque indirizzata al solo perseguimento dell’efficienza produttiva e allocativa, obiettivi perseguiti dal management, ma anche verso elementi legati al principio

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di equità, comprendenti un insieme di benefici intangibili tra cui, coerentemente con l’argomento qui trattato, gli aspetti relativi alla funzione culturale e al benessere sociale. Affronteremo questo passaggio osservando, nei capitoli 5 e 6, le performance verso cui tendono i player del sistema; in questa sede e nel prossimo capitolo ci occupiamo invece delle loro interazioni.

L’osservazione dell’industria televisiva secondo un modello sistemico fa riferimento al paradigma della network organization (Arsenault e Castells 2008; Colapinto 2010). Si tratta di una prospettiva più ampia nell’analisi degli interscambi tra imprese, che costituisce un’alternativa a modelli statici come quello SCR. L’architettura di un network è il frutto di pratiche di interazione e scambio che mettono in rilievo la natura inter-organizzativa delle imprese, i processi collaborativi, il coinvolgimento, ma anche le pratiche competitive, con uno sguardo alla strategia. Uno degli aspetti più innovativi di tale modello è costituito dalla diversa attenzione posta alla dimensione del valore: rispetto a una prospettiva incentrata sull’impresa e sulla logica di prodotto, all’interno della quale il valore viene determinato dai flussi di operazioni dai fornitori ai consumatori, un network mostra al contrario un insieme più fitto e complesso di connessioni (Fjedstat e Ketels 2006) dove gli agenti economici diventano da meri player, soggetti relazionali della configurazione (Corsaro et at. 2012) attraverso le cui interazioni è possibile cogliere anche il livello strategico (Johanson e Mattsson 1992). I costrutti maggiormente utilizzati per leggere un sistema in questo senso sono le network pictures e il networking (Oberg et al. 2007): il primo è un modello grafico utile a descrivere le proprietà di un insieme, definendo attraverso le relazioni anche le relazioni e le sovrapposizioni tra agenti; al suo interno sono presi in considerazioni gli attori (imprese, clienti, competitor), le attività (scambi e interazioni), il potere relazionale (l’influenza che essi determinano sul sistema). Il networking è l’insieme di attività prodotte dagli scambi tra agenti attraverso cui viene determinato il valore e implementata la strategia (Oberg et al. 2007).

Nel nostro caso, l’eterogeneità che emerge dal modello presenta appunto la dimensione di un ecosistema (Evens 2014) i cui confini non si limitano a includere i player tipicamente operanti nel settore televisivo (content distributor), ovvero i canali che detengono la proprietà dei contenuti, ma si estende anche alla Internet Television, in cui i portali over the top propongono un modello distributivo e di business innovativo, ai fornitori della connessione (internet cable/satellite provider), che forniscono all’utente finale l’accesso al

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contenuto tramite il cavo o il satellite, e ai produttori di dispositivi tecnologici (CE manufacturer), che operano come connettori tra la distribuzione e l’utente. L’ecosistema proposto nella figura illustra i player e le relazioni tra di essi. I content maker sono i produttori di contenuti seriali; tra essi troviamo il folto gruppo degli studi di produzione attivi nel settore televisivo e cinematografico. Si tratta di un numero di imprese ampio, che varia per grandezza e specializzazione: accanto alle case di produzione di proprietà di gruppi industriali operanti nel settore dei media, e dunque integrate verticalmente, esiste una costellazione di studi di produzione indipendenti, che vengono talvolta costruiti ad hoc per una produzione specifica. Il gruppo dei content distributor è costituito dalle imprese tipiche del settore e da quelle nate con la convergenza. Si tratta di un gruppo dalla composizione varia, in cui broadcaster come CBS, FOX, NBC e ABC coesistono non soltanto con i canali pay basic, come AMC, FX, SyFy, e i canali premium, cioè accessibili a un costo aggiuntivo come Showtime e HBO, ma anche con i portali che offrono contenuti over the top, tra cui CBS All Access e HBO Now, di proprietà degli stessi network. Pur essendo, da un punto di vista dell’offerta, aggregatori di contenuti, Netflix, Amazon Prime Video, YouTube e Hulu figurano in questo insieme, perchè condividono con le imprese tipiche il canale distributivo. Le offerte triple play o i pacchetti che offrono internet e pay-TV viaggiano infatti sulla stessa infrastruttura tecnologica, anche se vengono proposti all’utente come servizi separati da parte dei provider via cavo e via satellite. In questo gruppo troviamo da una parte AT&T, Comcast, Verizon e Charter, dall’altra Dish e DirecTV, quest’ultima di proprietà di AT&T. I satellite provider sono in grado di offrire servizi televisivi, internet e voce grazie alla possibilità di sfruttare la connettività internet satellitare e grazie a una rete di accordi con gli operatori via cavo locali che consente di garantire una copertura su tutto il territorio. Per CE manufacturer si intendono i dispositivi di trasmissione che consentono l’accesso ai contenuti audiovisivi, tecnologie per il consumo mobile e personale che utilizzano una connessione internet, come tablet, pc e smartphone, e dispositivi per il consumo domestico, come smart TV, console e streaming device. Questi ultimi sono degli apparecchi in grado di convertire lo schermo televisivo in smart TV, dotandolo di un’interfaccia che offre in streaming contenuti digitali. I maggiori presenti al momento sul mercato sono Google Chromecast, Apple TV, Amazon Fire TV e Roku.

59 Figure 1 Le relazioni nel sistema settoriale

Nella figura sono rappresentate le interconnessioni tra i player. Le frecce sono una semplificazione, che mette in evidenza le relazioni prevalenti, senza cioè tenere in considerazione le eccezioni o le sperimentazioni, ovvero i comportamenti non ancora formalizzati come norma nell’ecosistema. I content maker presentano un legame con i content distributor per ragioni di affiliazione parentale - nel caso di integrazione verticale - o nei casi di sfruttamento dei diritti legati alla distribuzione del prodotto. Quando un contenuto viene prodotto internamente, può essere diffuso (content distributor) su rete propria, o può essere redistribuito su altre reti secondo un processo di windowing, ovvero di sfruttamento delle finestre distributive secondarie alla prima messa in onda. L’integrazione verticale comporta la comproprietà del content maker e del content distributor. Anche nel caso in cui il contenuto venga prodotto in modo indipendente esso può circolare presso i content distributor, cambiano però, come vedremo, le modalità di ricavo e la gestione dei costi. I content distributor presentano un doppio legame con i cable/satellite provider: la relazione è reciproca nella misura in cui ogni canale, sia esso broadcast, cable o facente parte della Internet Distributed Television, viene trasmesso attraverso l’infrastruttura di rete. La natura di questa relazione comporta anche uno scambio economico: le imprese tipiche vengono pagate dai provider in virtù delle must carry rules per essere offerte all’utente nei pacchetti televisivi. Per gli operatori over the top in particolare l’accesso a internet è

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condizione necessaria per poter essere fruiti. In un sistema che, come abbiamo visto, tende all’eliminazione delle condizioni di neutralità della rete, il legame tra chi fornisce la connessione e chi fornisce contenuti online diventa ancora più vincolante e discriminatorio: le imprese over the top, invece, possono presentare degli accordi che favoriscono il loro traffico sulla rete del distributore, come per la pay for priority. Vi sono inoltre due casi, rappresentati da Comcast e più recentemente da AT&T, in cui un cable provider è allo stesso tempo proprietario di content provider e di content maker: queste due conglomerate sono infatti integrate verticalmente con alcuni network broadcast e cable e con alcune case di produzione, oltre a essere presenti, entrambi con una quota proprietaria in Hulu, e AT&T su HBO Now, tra i content distributor over the top. I CE manufacturer, ovvero gli intermediari tra il pubblico e la distribuzione ricoprono in primo luogo la funzione di beni complementari: senza di essi non sarebbe possibile ricevere il contenuto. Le aziende che producono tali dispositivi sono anche presenti tra i content distributor in quanto proprietari di piattaforme per la internet television. Google, per esempio, offre Chromcast come streaming device e YouTube TV per la fruizione di contenuti televisivi in rete.

La lettura del grafico conduce a due principali osservazioni: l’ecosistema televisivo e l’insieme di relazioni tra player è stato determinato dal consolidamento degli assetti proprietari creatisi con la convergenza. Il primo fattore da considerare è la conglomerazione, insieme all’integrazione verticale. Le relazioni all’interno del sistema sono soggette a dinamiche non simmetriche, e alcuni equilibri sono sbilanciati a favore di taluni soggetti rispetto ad altri. Il secondo fattore da analizzare è dunque il peso di ciascun attore sul sistema e la sua capacità di controllare la filiera e la catena del valore dipendentemente dalla struttura dell’ecosistema e dalla morfologia delle imprese. Il comportamento strategico messo in atto da ciascun player va compreso alla luce della dimensione d’impresa e della sua diversificazione: ciascuna impresa presenta infatti un diverso modello di business, e dunque un diverso comportamento strategico, a seconda delle attività perseguite e delle aree di affari in cui opera. Tuttavia, essa risente anche delle sollecitazioni dell’ecosistema e, pertanto, è necessario cogliere quali adattamenti manifesta. Il concetto di ecosistema presuppone una complessità all’interno della quale l’impresa è vista come sistema adattivo, che evolve al mutare delle condizioni interne ed esterne (Evens 2014), questo implica che all’impresa sia richiesto un adattamento costante ai mutamenti dell’ambiente in modo da operare un conseguente adattamento dei modelli di business in grado di rispondere all’innovazione

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(Chesbrough 2007). Conglomerazione e diversificazione possono essere in questo senso intese come effetti del mutamento e proprio per questa ragione rendono i quattro modelli di mercato sostenuti dalla theory of the firm inadatti a categorizzare l’ecosistema. Per analizzare i sotto-settori in cui ciascuna impresa sviluppa le proprie attività è dunque necessario un approccio accross-industry e non una lettura within-industry (Albarran & Dimmick 1996) che analizzi tale realtà ibrida, nella quale coesistono elementi di oligopolio con ambienti più competitivi (Albarran 2003).

Le analisi di settore possono essere condotte individuando l’arena competitiva tramite le indicazioni fornite dai sistemi di classificazione ufficiali. Negli Stati Uniti il SIC (Standard Industrial Classification) è lo strumento utilizzato per la classificazione delle aziende sulla base di codici a quattro cifre in cui ogni numero definisce un insieme di pertinenza sempre più specifico delle attività e delle sotto categorie in cui un’impresa è impegnata. Esso viene utilizzato dal governo per una tassonomia delle attività economiche prevalenti secondo una struttura gerarchica e top-down: a un primo livello, il più ampio, viene definita la divisione (agricoltura, manifattura, commercio, finanza, amministrazione, servizi), a un secondo livello il gruppo, a un terzo il settore. Sebbene si tratti di un sistema ufficiale, il SIC ha mostrato nel tempo alcuni limiti dovuti alla rigidità dei codici numerici e alla lentezza nel riconoscere e classificare le imprese operanti nei settori emergenti, specialmente in quello tecnologico. Questo ha portato alla riconsiderazione da parte degli istituti governativi del sistema e alla creazione di uno strumento più ampio, il NAICS (North American Industrial Classification System), in collaborazione con il Canada e il Messico con il quale si potesse dare maggiore flessibilità alla tassonomia, introducendo criteri comuni a un mercato geografico più esteso e consentendo, tramite la giustapposizione di altre due cifre al codice del SIC, un aggiornamento rispetto ai settori più nuovi e sottorappresentati. Per l’argomento qui trattato, il sistema di classificazione ufficiale si rivela poco duttile non tanto a descrivere la complessità del sistema settoriale e a restituire l’eterogeneità data dalla diversificazione, dal momento che ciascun distaccamento delle conglomerate viene definito da un codice proprio, quanto a unificare le aziende che operano nello stesso segmento sotto una categoria univoca e, dunque, a definire l’arena competitiva basandosi esclusivamente sul codice di appartenenza. Prendiamo, per esempio, le imprese che operano nel sistema settoriale televisivo come content distributor: all’interno di questo gruppo operano i network della broadcast television, i canali della televisione pay e i portali over the top. I broadcast

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network sono identificati dal codice 4833 Television Broadcasting Stations, all’interno del gruppo Communications della divisione E, Transportation, Communications, Electric, Gas and Sanitary Services. I canali pay si trovano invece sotto il codice 4841 Cable and other Pay Television Services. Gli over the top, invece, presentano una maggiore difficoltà a essere etichettati: Netflix ricade sotto la categoria 7374 Computer Processing and Data Preparation Services, Hulu è identificato da codici diversi a seconda della tipologia di servizio offerto, mentre ad Amazon non è riconosciuta alcuna affiliazione con la distribuzione video in relazione al servizio Amazon Prime Video.

Un altro metodo per cogliere la portata della diversificazione è identificare in quali Aree Strategiche d’Affari (ASA) o Strategic Business Units (SBU) operano le imprese che fanno parte di un sistema. L’ASA descrive un ambito in cui un’azienda, solitamente di grandi dimensioni, opera in modo strategico attraverso le sue divisioni. Essa identifica quindi un segmento di un sistema settoriale all’interno del quale l’azienda è presente con una strategia competitiva che risponde alle dinamiche di tale particolare segmento. Le imprese possono essere infatti articolate su diversi livelli organizzativi, per i quali la strategia e dunque il comportamento cambiano sulla base del livello preso in considerazione. L’ASA si pone come elemento intermedio tra il livello corporate e il livello funzionale, ovvero tra il piano globale di un’azienda, definito dalla sua missione e dagli elementi strutturali che la costituiscono, e i livelli operativi, che riguardano le funzioni aziendali, entrambi dotati di strategie che li definiscono. Nell’ambito qui in esame, le imprese sono per lo più diversificate, operano cioè in ASA diverse. È evidente se si prende a esempio il caso di Time Warner Inc., una delle entertainment company più significative, che copre tre principali segmenti: canali via cavo e digital properties (Turner), televisione via cavo premium e servizi in streaming (Home Box Office), produzione e distribuzione di film, videogame, home video, programmi televisivi (Warner Bros). Ancora diverso è il caso di The Walt Disney Company, multinazionale dell’intrattenimento che lavora su quattro segmenti diversificati: non soltanto infatti fanno parte delle aree d’affari gli studi di produzione e i media network, ma anche il segmento parchi divertimento e resort, e quello legato ai prodotti di consumo e media interattivi, di cui fanno parte le attività di merchandising e retail, la concessione di licenze per lo sfruttamento dei diritti sul marchio e sui personaggi, le attività commerciali connesse al mercato librario e dei videogiochi41. Per ciascuna ASA dunque

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l’impresa predispone un piano strategico specializzato che risponda alle caratteristiche del prodotto o del servizio offerto, alle componenti dell’ambiente esterno e alle forze competitive rivali. La diversificazione è essa stessa una strategia: le imprese possono infatti nascere in una specifica ASA, ma crescendo possono svilupparsi in direzioni più ampie, mutando la propria strategia di portafoglio da aziende mono-business ad aziende multi-business. La diversificazione può essere condotta attraverso l’acquisizione di un’azienda già operante nell’ASA di riferimento, oppure quando un’impresa vuole estendere il proprio raggio d’azione in un altro ambito con l’obiettivo di limitare il rischio, oppure di rafforzarsi. Ancora una volta, è evidente come l’integrazione verticale giochi un ruolo fondamentale all’interno di un sistema settoriale. L’identificazione e lo studio delle aree strategiche d’affari costituisce dunque una buona metodologia cui appoggiarsi: da una parte è utile nella descrizione della struttura e degli ambiti in cui i player sono compresenti, dall’altra parte questa distinzione consente di analizzare le strategie operate da ciascun soggetto nelle aree di competenza in modo più empirico e dunque più puntuale di quanto possa avvenire se ci si attiene alle classificazioni standard dei mercati tramite i codici.