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Capitolo 4 – LA SERIALITA’ OGGI

4.3 La serialità nella Peak TV

Dagli anni 2000 la serialità televisiva ha subito una crescita ampia, che ha portato, in pochi anni, dalla produzione di 150 serie l’anno a più di 455 nel 2017, un fenomeno condensato nell’espressione Peak TV, coniata dal CEO di FX John Landgraf per descrivere la sovrabbondanza nell’offerta di contenuti tra cui scegliere. I numeri non sono però ripartiti in modo simmetrico: dal 2015 al 2016 le reti broadcast hanno fatto crescere la produzione del

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5% con 153 serie; i premium cable del 17% con 42, i basic cable ne hanno mandate in onda 175 e le piattaforme di streaming 117 in più, con una crescita del 30%83. La mortalità del prodotto seriale, più elevata che in passato, ha di contro portato alla considerazione che una bolla speculativa esiste e che sia destinata a scoppiare: ciascun network che distribuisce di anno in anno un numero crescente di prodotti è più incline alla cancellazione e solo una frazione delle serie andate in onda in un anno riescono a superare la prima stagione84. Le origini di questo processo vanno rintracciate nella multichannel transition, il momento fondativo dell’espansione dell’offerta: nel momento in cui i canali disponibili attraverso l’abbonamento via cavo proliferano, crescendo di numero negli anni 2000, anche l’offerta si espande per colmare i vuoti di palinsesto. Questa logica si è tuttavia scontrata da una parte con la fruizione da parte dell’audience di un numero limitato di canali, nonostante la loro presenza sempre più massiccia nei bundle della pay-TV; dall’altra con gli effetti dovuti all’accresciuta competizione tra canali nell’ambiente televisivo e con la loro necessità di emergere qualificandosi al di là del criterio di sostituibilità tra prodotti (Lotz 2018; Basin 2018). Come abbiamo detto, la questione della qualità si afferma proprio in questa fase, modificando la struttura e le forme del contenuto fino ad allora distribuito dai broadcast network. HBO viene assunta a modello per gli altri canali e, anche oggi, con la proliferazione delle piatteforme di streaming, il premium network costituisce un benchmark, specialmente per Netflix, suo più agguerrito e diretto competitor. Come le caratteristiche della TV via cavo hanno influito sulla serialità, anche le peculiarità dei portali influiscono oggi sui contenuti, non soltanto da un punto di vista distributivo, ma anche estetico e stilistico. Il panorama della serialità vede dunque la compresenza di prodotti che variano a seconda del distributore e del modello di business impiegato, ma anche di un adeguamento di alcuni canoni alle mutazioni apportate nell’ecosistema dai nuovi player.

Uno degli elementi più determinanti a mutare è il tempo, inteso come tempo della produzione, della distribuzione e della struttura della serialità. Dal punto di vista produttivo, vi è stato un adattamento di tutto il sistema all’adozione di alcuni processi e pratiche apportati dai nuovi attori. Una delle mutazioni più significative ha riguardato il passaggio dalla serialità introdotta dal tradizionale pilot al modello straight-to-series. Nello specifico, Netflix ha consolidato una pratica diretta, che prevede la produzione e la distribuzione degli

83https://variety.com/2018/TV/news/peak-TV-1202654457/

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episodi di una serie in un’unica soluzione, come è accaduto per House of Cards e Orange is the New Black. Davanti a questa strategia, le reti broadcast, già occupate a concorrere con le reti via cavo sul fronte della qualità dei contenuti, per resistere alla concorrenza sono state costrette ad allentare la rigidità del sistema produttivo ordinando, dal 2013 al 2015, il 15% di pilot in meno (Corbetta 2015). Il pilot come strategia preventiva per il contenimento del rischio è tuttavia una pratica che ha garantito alcuni vantaggi al distributore e la sua eliminazione potrebbe portare a un aumento del tasso di mortalità della serialità. Ne è dimostrazione il fatto che la serie che, nel momento in cui scriviamo, costituisce il modello cui tutto l’ecosistema televisivo guarda in modo imitativo, tanto che, nelle parole di Jeff Bezos, Amazon vuole dotarsi del proprio Game of Thrones da distribuire sulla piattaforma di streaming Prime85, il pilot ha rappresentato un momento essenziale per giungere alla configurazione attuale e alla maturità assunta dal prodotto nel tempo. Nel momento della prima messa in onda nel 2011, Game of Thrones aveva infatti sostenuto già la revisione di due episodi pilota, che avevano aiutato le professionalità coinvolte a vagliare i contenuti e a ricalibrare le caratteristiche dello show. Lo sviluppo della serie era in cantiere per HBO dal 2007 e ha comportato numerosi aggiustamenti, come il cambiamento di alcuni attori nel cast, e la possibilità per gli sceneggiatori Benioff e Weiss, estranei al medium televisivo, di apprendere una modalità di scrittura differente. Il cambiamento nei tempi di produzione accelera questi processi, esponendo a un rischio maggiore, oltre che facendo lievitare costi che, con un sistema più cauto, verrebbero gestiti diversamente86.

Rispetto alla distribuzione, si affermano due modalità: la day-and-date per i mercati internazionali e la modalità full release per le piattaforme di streaming. Nel primo caso si tratta di una strategia che porta alla contrazione delle finestre distributive tra mercati diversi per ridurre l’incidenza della pirateria e fenomeni come lo scambio peer to peer. Questa pratica si è diffusa in primo luogo nel mercato cinematografico, dove i tempi di distribuzione di un prodotto variano da nazione a nazione sulla base di accordi commerciali, stagionalità e concorrenza interna: per il pubblico, invece, una volta diffuse le piattaforme digitali, è stato più semplice e rapido utilizzare forme di download digitale piuttosto che attendere i tempi canonici della distribuzione nazionale. Il meccanismo day-and-date prevede che lo stesso contenuto venga reso disponibile internazionalmente in contemporanea, ovvero nello stesso

85https://www.businessinsider.com/jeff-bezos-wants-amazon-to-get-its-own-game-of-thrones-2017-9?IR=T

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giorno in cui è prevista l’uscita sul mercato principale, tipicamente quello americano. È chiaro che questo processo viene attuato per i prodotti di grande richiamo, come produzioni blockbuster o saghe come Star Wars. Nel caso della serialità, questo tipo di distribuzione si verifica per titoli come Game of Thrones o The Walking Dead, oppure per una serie di culto come Twin Peaks. Un fenomeno emergente e complementare è costituito dalla distribuzione day-and-date sulle piattaforme di streaming contemporaneamente all’uscita nelle sale cinematografiche. Netflix costituisce l’esempio più evidente di questa pratica, che modifica alla base alcuni meccanismi propri del cinema. Nel 2017 la piattaforma entra infatti in conflitto con il festival del cinema di Cannes per aver negato la distribuzione cinematografica nelle sale francesi, condizione ritenuta necessaria dal festival per il riconoscimento e l’approvazione dei titoli in competizione, ai due film presentati in concorso, Okja e The Meyerowitz Stories, che invece vengono direttamente caricati sulla piattaforma alla fine della competizione87. Netflix stringe inoltre contratti di distribuzione internazionale anche con gli Studios. Nel 2017 firma con Paramount un accordo per portare sulla piattaforma, dunque su tutti i mercati in cui è presente, il film Annihilation dopo la release nelle sale americane. Questo sistema erode il potere delle sale e del produttore, ma garantisce, per quei prodotti che non avrebbero una performance sicura, un investimento meno rischioso88. La pratica della full release è invece propria della serialità ed è stata inaugurata da Netflix nel 2013 con la pubblicazione sulla piattaforma della serie House of Cards per intero, cioè senza l’attesa di un episodio la settimana. Questa scelta costituisce una novità per il mercato e desta inizialmente numerose perplessità nel sistema tradizionale, ma provoca effetti immediati, rafforzando pratiche già in atto, come il binge watching, cioè il consumo da parte dell’utente di un contenuto seriale senza interruzioni, attraverso la fruizione di più puntate consecutivamente, il time shifting, ovvero la libertà fruitiva da logiche di palinsesto e di linearità televisiva, la tracciabilità dei comportamenti per la piattaforma, tramite l’affinamento degli algoritmi di misurazione dell’audience, la fidelizzazione del pubblico grazie all’offerta di titoli esclusivi. La struttura dei portali consente di sperimentare con altre forme di distribuzione: Hulu, per esempio, ha assunto una strategia per la sua serie di punta, The Handmaid’s Tale, di diversa natura. Della prima stagione sono stati infatti rilasciati i primi tre episodi, poi i successivi con cadenza settimanale fino all’ultima puntata. La scelta, che consente al player over the top più giovane

87https://www.theverge.com/2017/5/31/15720580/netflix-reed-hastings-code-conference-interview-cannes

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e con l’audience più ridotta di mantenere desta l’attenzione del pubblico attraverso il bilanciamento di binge watching e distribuzione tradizionale, si inserisce all’interno di un meccanismo decisionale complesso, per il quale i portali possono optare grazie alla conoscenza dell’audience attraverso i propri strumenti di tracciamento89.

La libertà consentita ai portali ha determinato inoltre alcuni cambiamenti nella struttura della serialità. Nel sistema di broadcast una serie TV ha solitamente durata annuale e viene proposta da ottobre a giugno con 22 episodi, per ottemperare alle dinamiche stagionali di produzione e distribuzione. Il rafforzamento del mercato cable inizia a cambiare questa dinamica, proponendo, per ragioni di contenimento dei costi, un numero inferiore di episodi, circa 13. La strategia si rivela, nel lungo periodo, un vantaggio per tali reti, che riescono in questo modo a coinvolgere personalità estranee al settore televisivo, come abbiamo detto in precedenza, e a influire, nel corso del tempo, anche sulla serialità broadcast, che inizia a ridurre il numero di puntate per stagione (Cardini 2017). Una delle novità è per esempio costituita dal ritorno della serie antologica, di cui Fargo di FX o True Detective di HBO sono esempio. La serie antologica è una serie caratterizzata da un’articolazione autoconclusiva e da autosufficienza narrativa (Pescatore e Innocenti 2008): non ha ripercussioni sulle successive stagioni. L’eventuale prosieguo presenta infatti una continuità tematica, stilistica o di luoghi e non la riproposizione degli stessi personaggi. Per entrambe le tipologie di player, tuttavia, il formato è subordinato alle logiche di palinsesto e, dove il modello di business lo prevede, alle interruzioni pubblicitarie. La narrazione viene quindi organizzata in modo da conformarsi ai tempi della programmazione e alle pause interne: la durata di un episodio è in questo senso fissata rigidamente a circa 39-42 minuti, pubblicità esclusa, per le serie e a 18-21 per le sitcom. Nel caso dei premium cable, che non hanno pubblicità, i tempi sono di circa 45-48 minuti. Il numero di pagine di una sceneggiatura che copre tradizionalmente questa durata è di circa 50. Tale rigidità inizia a essere superata proprio dalle piattaforme di streaming e dai canali premium. HBO in particolare dà spazio a un formato più esteso, il pilot-film (Cardini 2017): si tratta del primo episodio di una produzione seriale, che può essere affidato a un regista cinematografico, che presenta una lunghezza variabile dai 90 ai 120 minuti e un’opulenza visiva, scenografica ed estetica più vicina al cinema che agli standard produttivi della televisione. Ne sono esempi la prima puntata di Boardwalk Empire, della durata di 73 minuti, e quella di Vinyl, 113 minuti, entrambe dirette

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da Martin Scorsese proprio per HBO. La strategia si rivolge non all’inserzionista, ma allo spettatore, che viene agganciato attraverso la promessa di un prodotto dagli alti standard produttivi, con l’obiettivo di dirigerne l’attenzione verso le puntate successive, che seguono la distribuzione a cadenza settimanale. Per le piattaforme over the top, invece, è la “stagione pilota” (Cardini 2017) il driver per catturare il pubblico e testarne i gusti. Contrariamente a quanto accade nella televisione lineare, infatti, Netflix ha rilevato che il trend per lo spettatore dei portali è di guardare un prodotto alla volta, dedicando la propria attenzione in modo selettivo ed esclusivo a una serie, finché non la si porta a termine90. La stagione, a maggior ragione perché rilasciata per intero e perché fruita in modo autonomo e non vincolato dalla cadenza settimanale degli episodi, diventa dunque l’unità di misura della serialità e il metro di giudizio per l’analisi e il commento da parte del pubblico e della critica. La possibilità di fruire secondo schemi individuali e non irreggimentati consente in ambito produttivo e di scrittura una libertà speculare: se, da una parte, le piattaforme tendono a replicare la durata della serialità della televisione lineare, rispettando le lunghezze di formato, vi sono casi in cui al contrario la sperimentazione coinvolge i tempi narrativi e la suddivisione in puntate, come per The OA. La serie Netflix presenta infatti un formato anomalo, con episodi di durata diversa, che variano dall’ora ai 30 minuti91, un modello impossibile da replicare all’interno delle logiche del palinsesto. The OA segue in questo senso più la struttura di un libro che di un prodotto televisivo in senso tradizionale, con una variabilità nei tempi che non tiene conto della necessità di adeguare la narrazione alla scaletta, ma dell’adeguamento della struttura formale alla narrazione. Il primo episodio, per esempio, comincia in medias res con un’introduzione della durata di oltre 55 minuti; solo al termine vengono mostrati i titoli di testa.

L’avvicinamento della serialità al cinema avviene sul piano della forma e anche su quello estetico: la crescita della dimensione produttiva, alimentata dall’innalzamento dei budget, favorisce processi di espansione delle possibilità di ripresa e degli strumenti utilizzati. Rispetto alla serialità prodotta in studio, che caratterizzava la network era, la serialità via cavo, specialmente quella di HBO, aveva già mostrato una flessibilità produttiva con lo spostamento delle location verso l’esterno, luoghi tipicamente più costosi dei set. La serialità contemporanea si serve di spazi aperti e di location che la avvicinano sempre più al cinema:

90https://www.gq.com/story/netflix-founder-reed-hastings-house-of-cards-arrested-development

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ancora una volta Game of Thrones rappresenta l’esempio più chiaro di questo mutamento, che ha visto la produzione muoversi in un territorio geograficamente ampio, che ha coinvolto l’Irlanda, la Croazia, la Spagna e l’Islanda, dove sono state individuate location diventate successivamente mete turistiche e generatrici di risorse economiche per le comunità locali. Questo aspetto, che trova rispondenza e favore nelle politiche pubbliche ed economiche dei singoli Stati, porta, sul piano visivo e dell’immaginario, a una density of visual texture (Nelson 2013) che offre al prodotto una maggiore profondità narrativa e un accresciuto piacere fruitivo. Se, appunto, parte di queste dinamiche si devono ai cambiamenti tecnologici, che hanno facilitato i processi di assimilazione tra cinema e televisione, grazie anche ai costi inferiori per l’attrezzatura necessaria alle riprese o per la realizzazione di effetti speciali (Nelson 2013), rimane aperto il dibattito, almeno in sede di Cultural Studies e di Television Studies, non tanto sulla contaminazione del linguaggio della serialità televisiva con quello del cinema, quanto sul significato di cinematic (Mills 2013) come qualità precedentemente estranea al mezzo televisivo e ora considerato un effetto espressivo connaturato a esso (Bordwell 2008). L’attributo, che viene trattato quasi come un genere identificativo di alcune caratteristiche della televisione, non fa infatti che rafforzare le gerarchie tra media e intra-media, ovvero tra quei player che offrono tale tipo di contenuto e quelli che, nel pensiero comune, continuano a proporre una serialità procedurale e normativa, come i broadcast network. Tali qualità contraddistinguono una quota della serialità contemporanea, generalmente associata ai brand più prestigiosi, ovvero ai premium cable e agli over the top, che si sono mossi, o che si stanno muovendo, nella medesima direzione produttiva.

Infine, un ultimo aspetto risulta emergere nel contesto che abbiamo descritto: l’affermazione di mercati alternativi a quello americano nella produzione e nella distribuzione di contenuti verso gli Stati Uniti. Pur analizzando in questa sede il solo sistema televisivo americano, è necessario sottolineare come alcuni scenari nazionali abbiano recentemente destato l’attenzione degli investitori: la Turchia, Israele, l’Europa stessa – fino a qualche decennio fa conosciuta oltreoceano soltanto per le produzioni britanniche – hanno cominciato ad affermarsi non solo come territori di investimento, ma anche come luoghi cui guardare per l’appropriazione diretta di contenuti, ovvero la distribuzione sul mercato americano, o per il loro adattamento, ovvero nel caso in cui di un determinato titolo venga ottenuta una versione con attori e forze produttive americane. Mentre l’Inghilterra ha da sempre rappresentato, in

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ambito seriale, un mercato di esportazione, territori come l’Italia iniziano a essere guardati solo recentemente con interesse dagli investitori stranieri, non solo in termini produttivi, per i luoghi di ripresa, ma anche in termini distributivi, come cataloghi per l’acquisizione di prodotti. Si assiste dunque a un doppio processo, insieme di decentralizzazione e di centralismo dell’industria americana. Da una parte sono infatti cresciute le pratiche relazionali tra mercato americano e mercato straniero, con un accento sulla trasmissione di informazioni e risorse, scambi e collaborazioni (Chalaby 2005), dall’altra la creazione di queste sinergie creative ha però rafforzato le dinamiche di potere delle conglomerate mediali, secondo un modello centro-periferia in cui dalla sede americana vengono organizzate e coordinate le interazioni con i network locali (Chalaby 2016, Esser 2010). Quest’ultimo aspetto si inserisce nelle dinamiche già note di internazionalizzazione delle imprese dei media, che sono chiamate a bilanciare la centralizzazione delle funzioni dirigenziali dell’azienda con una quota di decentralizzazione che possa garantire flessibilità allo sviluppo di nuovi prodotti e ai processi creativi, specialmente per quei contenuti non strettamente seriali, come per esempio i format, che necessitano di una componente essenziale di autonomia culturale (Chalaby 2012).

Nel primo caso, invece, l’elemento transnazionale assume uno spessore diverso, che è in parte conseguenza delle strategie sovranazionali condotte dalle piattaforme distributive online. Il caso dell’adattamento costituisce uno degli elementi di maggiore prestigio per i mercati emergenti: questa eventualità si verifica quando vengono venduti i diritti di trasposizione di una serie nata su un territorio non americano per essere adattata a beneficio di un’audience più internazionale. Israele costituisce in questo senso un caso emblematico con prodotti come In Treatment, adattata da HBO, e Homeland, riproposta da Showtime. Rispetto ai budget più contenuti, che prediligono una focalizzazione sulla narrazione e sulla sperimentazione linguistica, l’adattamento americano dà al prodotto quelle high production values altrimenti irrealizzabili sul mercato locale e consente alle personalità creative che hanno ideato il prodotto originale di intervenire nella fase di riscrittura, oltre a insignirle di un prestigio culturale procurato dall’interesse dell’investitore straniero (Hadas 2014). L’attraversamento del confine occidentale rappresenta dunque un’aspirazione per i mercati emergenti, ma anche un elemento strategico per il mercato americano per attrarre porzioni di audience, rappresentate dalle minorities, ovvero da gruppi etnici fino a poco tempo fa non economicamente rilevanti, che costituiscono oggi spettatori preziosi nella logica del mercato

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a due facce, ovvero per gli investimenti pubblicitari92. Son, per esempio, è una serie di origine turca adattata negli Stati Uniti per il broadcast network ABC che è stata in grado di superare il confine nazionale, dove non aveva avuto successo a causa del carattere eccessivamente femminista e sperimentale della narrazione (Baran 2017). Rispetto all’originale, la versione americana è ambientata negli Stati Uniti e accentua l’opposizione tra tradizione e modernità, ovvero tra origini culturali mediorientali dei personaggi e contesto occidentale, proprio in riferimento al pubblico immaginato.

Netflix è il player che più di ogni altro ha contribuito all’affermazione di questi nuovi modelli proprio grazie alla sua natura di piattaforma trans-territoriale. La presenza su più mercati contemporaneamente e l’esigenza di riempire il catalogo di titoli originali, snellendo costi che le sole produzioni sul territorio americano renderebbero più alti, ha portato a una nuova strategia di coinvolgimento delle forze locali che è insieme rivolta al territorio globale.