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Uno sguardo alla filiera: la questione del controllo

Capitolo 2 – IL CONTESTO INTERNO: IL SISTEMA SETTORIALE

2.2 Uno sguardo alla filiera: la questione del controllo

Lo strumento che utilizzeremo per analizzare la diversificazione delle imprese è quello della filiera produttiva, perché offre un insieme di vantaggi: la capacità di visualizzare in modo sinottico le relazioni di un sistema settoriale, la possibilità di individuare le aree strategiche in cui un’impresa è integrata verticalmente e quella di osservare chi detiene il controllo dei processi produttivi. La filiera (supply chain) è la rappresentazione di com’è articolato il sistema produttivo di un bene e di come sono gerarchizzate le attività in stadi interconnessi e complementari in cui sono compresenti fornitori, produttori, distributori e tutti i soggetti coinvolti negli stati intermedi e collaterali del processo. Si tratta di un disegno, come si vede nella figura, che segue la produzione in una dinamica sequenziale e che ricostruisce la struttura dei flussi di relazioni tra i soggetti coinvolti. Nel mercato dei media lo scheletro di una filiera è costituito da quattro fasi: l’acquisto, la produzione, la distribuzione e il consumo. Lo studio della filiera permette di identificare l’articolazione delle diverse fasi e informa sulle condizioni di un settore, sulle relazioni di dipendenza, sui segmenti che lo articolano.

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Nonostante gli attori coinvolti in una filiera possano essere eterogenei per attività economiche e obiettivi, e dunque possano afferire ciascuno a una propria arena competitiva, è evidente la presenza di una forte interdipendenza tra di essi: nel nostro caso, per esempio, senza uno sceneggiatore, soggetto impiegato a monte della filiera produttiva della serialità, che si occupi della scrittura degli episodi di una stagione, non potrebbe esserci né la produzione del contenuto audiovisivo, né la distribuzione su network, canali via cavo o portali. Prendendo nuovamente in considerazione i player presenti nel sistema settoriale televisivo, possiamo ridisegnare le loro relazioni in modo sequenziale lungo una filiera schematicamente rappresentata da cinque fasi: a monte i content maker producono contenuti seriali, che vengono acquistati dai content provider, qualora le due funzioni non fossero integrate verticalmente. Questi ultimi soggetti interagiscono con il fornitore della trasmissione, il provider via cavo o via satellite, che garantisce al canale di essere trasmesso, a valle, al consumatore finale. I fornitori di servizi intervengono nel processo distributivo in qualità di strumenti che consentono la connessione tra il pubblico e il contenuto trasmesso; questa funzione può dunque essere attribuita ai device dei CE manufacturer e al corredo di applicazioni fornito all’utente.

Figure 2 Esempio di filiera nel settore dei media e nell’impresa televisiva

Alle origini, negli anni ’70 e ’80, lo studio di filiera viene sviluppato dagli economisti industriali francesi per interpretare i cambiamenti strutturali allora in atto nelle politiche industriali con uno strumento nuovo (Morvan 1985; Stoffaes 1980). I cambiamenti strutturali sono mutamenti di lungo periodo che riorganizzano i settori e ricollocano i fattori produttivi nel sistema economico sulla base dei mutamenti del contesto competitivo. Uno dei problemi

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più rilevanti nell’analisi dei cambiamenti strutturali è che sono in costante evoluzione ed è spesso difficile coglierli nel loro verificarsi; lo studio sulla filiera veniva dunque condotto per desumere su quale stadio della produzione un’impresa dovesse specializzarsi. Oggi il contesto dell’economia globale ha favorito una riscoperta del concetto di filiera nella letteratura economica, che viene impiegato per indagare le strategie da adottare rispetto a questioni come la delocalizzazione e l’outsourcing, oppure l’integrazione verticale tra gli stadi della produzione per sfruttare le complementarietà tra le fasi della filiera e controllare le unità strategiche. Lo scopo di tali studi, di là dalle contingenze storiche che ne hanno guidato gli sviluppi e le motivazioni, rimane l’identificazione delle fasi strategiche attraverso cui si possono cogliere gli snodi che determinano il potere di un’impresa sul mercato. La scomposizione dei processi e l’identificazione degli attori coinvolti aiutano a considerare con quali strategie essi interagiscono (Bianchi e Labory 2013).

Per comprendere una filiera è necessario identificare i gatekeeper, ovvero chi la controlla (Tollet 1982). Questo aspetto è fondamentale per due ragioni: in primo luogo gli attori di una filiera hanno capacità di azione e negoziazione con il mercato finale dipendentemente dal grado di controllo che essi hanno lungo il processo produttivo (Malsot 1980), che può essere gestito o esternalizzando la produzione a imprese specializzate, oppure attraverso il controllo delle fasi produttive e distributive da parte degli stessi soggetti (Barbarito 2012). Nel nostro caso, l’industria televisiva presenta un forte grado di integrazione verticale e di interdipendenza tra gli agenti. Il controllo è accentrato nelle mani di due tipologie di soggetti: per quanto concerne il contenuto, le conglomerate mediali detengono la proprietà del prodotto finale sia a monte (content making), sia a valle (content distributing) dove vi è integrazione verticale tra studi produttivi e canali di trasmissione; per quanto concerne la delivery, invece, il controllo è nelle mani dei cable/satellite provider, ovvero delle conglomerate delle telecomunicazioni che forniscono al pubblico l’accesso ai servizi televisivi tramite abbonamenti al cavo e a internet. Occorre distinguere in questa sede la diversa natura del concetto di distribuzione in relazione alla tipologia di attività connessa. Si intende con distribution window la presenza di finestre per lo sfruttamento di un prodotto attraverso la ritrasmissione su canali diversi nel tempo (shift in distribution); distribution è dunque il canale che consente la fruizione di un contenuto attraverso la sua emissione in televisione o su portale, attraverso l’home video o il digital download. Per distribution to the home si intende invece la delivery, ovvero le modalità con cui il contenuto raggiunge il luogo

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domestico attraverso la convergenza o la competizione di tecnologie di trasmissione e comunicazione come il cavo o il satellite (Lotz 2007).

In secondo luogo, gli effetti di controllo che può esercitare un attore sulla filiera variano a seconda del grado di maturità del prodotto offerto e delle condizioni del mercato. Tre fasi contraddistinguono la tipologia di filiera e di prodotto connesso: mercati in fase di sviluppo, mercati in fase di diffusione e mercati maturi (Vernon 1979). La fase iniziale di un settore è mutevole e incerta a causa delle dinamiche non ancora consolidate. In questa fase l’innovazione determina l’affermazione delle imprese e il consolidamento della loro posizione di mercato. Nella fase di diffusione, sulla filiera tende a dominare il segmento a monte, dove si concentra l’innovazione tecnologica. Più un mercato cresce, più cresce la competizione, e l’effetto di controllo si sposta sui segmenti a valle, dove cresce l’interesse per la distribuzione perché si raggiunga il consumo di massa del prodotto. La fase di sviluppo segue traiettorie più definite: una volta che un settore si è stabilizzato, le barriere all’entrata si innalzano, le aziende mirano a produrre economie di scala e di scopo e le risorse finanziare diventano un elemento strategico nel processo competitivo. Più il mercato è vicino al modello monopolistico, più esso è stabile, mentre più è vicino al modello della concorrenza, più diventa turbolento il mantenimento degli assetti di mercato davanti all’affacciarsi di eventuali mutamenti tecnologici e di correnti di innovazione. Nella fase di maturità il mercato è stabile, cresce a ritmi più lenti e il prodotto è consumato da un ampio pubblico, tanto da essere necessaria la creazione di nicchie per la sua segmentazione. Il controllo è a valle: il ruolo della distribuzione è dominante su tutta la filiera e determina il fallimento o la riuscita dei segmenti a monte.

Nel passaggio dalla multichannel transition all’attuale post-network television era si colgono entrambe le dimensioni. Come abbiamo detto, la transizione a un sistema multi canale è stata favorita, da un punto di vista tecnologico, dall’ammodernamento dell’infrastruttura di rete grazie al passaggio dalla trasmissione del segnale attraverso i cavi coassiali a quello della fibra ottica e del satellite, dotati di una capacità maggiore. I player di questo mercato sono le aziende di telecomunicazione, che garantiscono all’utente finale l’accesso alla pay-TV, e i canali televisivi, di proprietà delle Media Industry. Nella televisione via cavo il valore economico viene generato dall’utente, che sottoscrive un abbonamento al gestore dell’infrastruttura. Questi, per poter offrire all’abbonato un determinato ventaglio di canali, stringe accordi con i content distributor, ovvero con le Media Industry, alle quali corrisponde

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un prezzo calcolato sulla base del numero degli iscritti. All’inizio degli anni 2000 vengono rinegoziati i termini contrattuali per l’attribuzione di tale valore economico: ai canali più richiesti, per esempio quelli sportivi, sarebbero state corrisposte cifre più alte per numero di abbonati. La maggiore capacità di banda consentita dal digitale spinge però le Media Industry a chiedere, in luogo di un compenso maggiore, di poter sviluppare nuovi canali televisivi da distribuire, avvantaggiandosi del fatto che non vi fossero forme rivali di fruizione al di fuori di quella dell’abbonamento al cavo o al satellite e creando i presupposti per un’offerta di nicchia, la boutique television. Il sistema avrebbe infatti fatto ottenere a ciascuna impresa maggiori guadagni per ogni nuovo canale distribuito. È importante notare come la creazione di un’offerta più ampia non sia stata guidata dalla domanda, ma da una logica top-down, imposta da chi detiene il controllo della filiera: nella multichannel transition sono le Media Company, in quanto proprietarie del contenuto, a governare le negoziazioni all’interno del sistema settoriale.

La convergenza e l’affermazione di internet come tecnologia di delivery costituisce però un elemento di rottura introdotto dall’innovazione tecnologica. Nella post-network television era i contenuti televisivi possono essere fruiti al di fuori delle logiche del palinsesto e dell’abbonamento alla pay-TV, con un mutamento nelle abitudini di consumo che condiziona l’offerta. Il cord cutting si situa all’interno di questo processo e viene favorito dalle opportunità fruitive consentite dai portali over the top e dalla IPTV. Centrale diventa per l’utente la connessione a internet, mentre l’abbonamento alla numerosa offerta di canali via cavo della pay-TV assume un’utilità inferiore a fronte di forme rivali più economiche e più snelle. Nel capitolo precedente abbiamo contestualizzato all’interno di questo discorso la creazione degli skinny bundle, pacchetti venduti a prezzi più bassi dell’abbonamento al cavo con cui viene offerto all’utente un numero ridotto di canali che possa meglio corrispondere ai suoi gusti. La creazione di questo tipo di offerta mette in rilievo la natura top-down della transizione al sistema multicanale e i limiti dovuti alla povertà d’attenzione là dove vi è una sovrabbondanza di contenuti tra cui scegliere. Lo studio condotto da Nielsen nel 2014 che abbiamo citato segnala che, nonostante dal 2008 al 2013 il numero di canali offerti nei pacchetti cable sia cresciuto di 60, gli abbonati ne hanno continuato a guardare in media 1742. Questa tendenza accentua la frammentazione della domanda nel momento in cui si

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http://www.nielsen.com/us/en/insights/news/2014/changing-channels-americans-view-just-17-channels-despite-record-number-to-choose-from.html

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sviluppano modalità di offerta alternative, e mette in evidenza come i canali in grado di proporre contenuti di qualità siano capaci di generare valore economico trainando un numero maggiore di consumatori, gestendo le modalità con cui vengono ceduti i diritti nelle successive finestre distributive e nei mercati secondari.

Tornando alla filiera, in questa fase della storia del medium, il ruolo di gatekeeper è condiviso tra chi detiene la proprietà di contenuti di prestigio e chi detiene l’accesso all’infrastruttura, cioè a internet, con uno sbilanciamento a favore di quest’utlimo: il dominio del canale fisico dà la possibilità di esercitare il controllo interagendo con il consumatore finale e con i content distributor (Iansiti e Levien 2004). Il fenomeno del cord cutting e la migrazione verso la Internet Distributed Television ha infatti un impatto inferiore sulle conglomerate di telecomunicazione, che offrono sia l’accesso alla televisione pay, sia l’accesso a internet rispetto ai canali televisivi via cavo, per i quali invece la perdita di un consumatore è sinonimo di guadagni inferiori tanto rispetto al prezzo corrisposto dai provider, quanto per quello ottenuto dagli inserzionisti pubblicitari. La domanda di internet è inelastica, perché il consumatore, per accedere alla Internet Distributed Television, ne ha bisogno. Gli internet provider possono in questo senso aumentare il prezzo del servizio o operare sulle politiche del prezzo dei bundle, offrendo il pacchetto TV e internet a un prezzo di poco superiore a quello dei pacchetti venduti separatamente, avvantaggiandosi inoltre del fatto che il costo di produzione e di trasmissione dei servizi digitali è quasi pari a zero, come nei mercati dell’informazione.

La crescita di potere degli internet provider è inoltre sostenuta dalle dinamiche di paid prioritization nei confronti dei distributori di contenuti online che vogliono aumentare la velocità di trasmissione dei propri pacchetti: in un ambiente legislativo nel quale vengono messi in discussione i principi che regolano la neutralità della rete, il potere di gestione della filiera appare sempre più sbilanciato a favore di questi soggetti, che agiscono in un mercato a due facce le cui domande sono quella dei consumatori finali, in quanto subscriber, e quella dei content provider, con cui negoziano le condizioni di accesso alla rete. Gli internet provider si avvantaggiano dunque sia del prezzo pagato dagli online distributor per l’attribuzione di fasce preferenziali nell’utilizzo del traffico internet, sia del prezzo pagato dal pubblico per la sottoscrizione di abbonamenti, che possono prevedere o meno la presenza della pay-TV. Il consumatore finale paga in questo senso due soggetti diversi, contrariamente a quanto avveniva per la pay-TV: gli internet provider per l’accesso al servizio, e i portali

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over the top per l’accesso al contenuto, il cui valore percepito è determinante nel processo di selezione e scelta del portale a cui abbonarsi. La competizione sulla qualità del contenuto diventa in questo senso una dinamica within-industry e across-industry. Considerando il segmento dei content maker, la proprietà di contenuti seriali che hanno valore economico per il mercato costituisce un elemento di attrazione del consumatore e di vantaggio rispetto ai prodotti sostituti e può quindi essere venduta ai distributori con maggiore facilità. Per il content distributor essa si traduce nell’incremento dell’audience disposta a fruire di quel contenuto e, dunque, nell’aumento dei guadagni derivanti dagli abbonamenti e dalla pubblicità nel caso in cui il modello di business sia ad-supported, sostenuto dagli introiti pubblicitari.

Chi controlla la filiera diventa dunque il collo di bottiglia obbligatorio per gli altri player (Boudreau e Hagiu 2009; Rochet e Tirole 2003). Le conglomerate delle telecomunicazioni potrebbero in questa posizione creare ostacoli alla concorrenza favorendo le piattaforme proprietarie o quelle con cui hanno stretto accordi, facendo in modo di far crescere la loro domanda (Waterman e Choi 2011). Questo potere risulta inoltre accresciuto nel caso in cui vi sia integrazione verticale con la produzione di contenuti, come per Comcast, il player che controlla i primi tre segmenti della filiera, oppure dove esista una negoziazione favorevole dei contratti per la trasmissione, come nel caso di internet provider che offrono, nei bundle, l’accesso prioritario a un determinato portale senza che questo incida sul consumo (data caps). Il tentativo di conglomerazione tra chi distribuisce internet e chi detiene la proprietà dei contenuti assume, sotto questa luce, un aspetto rilevante: il mercato delle Media Industry si sta avviando verso una nuova fase di convergenza. Ne è esempio l’acquisto da parte di AT&T di Time Warner nel corso del 2017, che va interpretato come una strategia di integrazione verticale all’interno della filiera e di creazione di uno scenario competitivo più agguerrito nei confronti degli altri internet provider e dei content distributor. La possibilità di disporre del contenuto assume in questo senso per l’impresa di telecomunicazioni un doppio valore: da una parte consente di non dover pagare all’impresa mediale la carriage fee e di poter praticare politiche del prezzo verso il consumatore più competitive rispetto agli altri fornitori, dall’altra garantisce di disporre dei diritti di proprietà intellettuale e di agire sulla loro cessione o, al contrario, sulla loro esclusività. Un canale apprezzato dal pubblico come HBO, di proprietà di Time Warner, si trova in questo senso a essere oggetto di politiche del prezzo esclusive da parte del provider, che può offrirlo sia nel bundle pay-TV, sia nel

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bundle internet operando leve sul prezzo più competitive rispetto agli altri fornitori di rete, ai quali lo cederebbe, invece, a prezzi maggiori. Dove vi siano filiere integrate verticalmente, un contenuto proprietario è inoltre oggetto di repurposing (Negroponte 1995), ovvero di utilizzo nei canali distributivi secondo strategie di windowing che consentono all’impresa di divulgare il contenuto in più contesti distributivi ottenendo ricavi in ciascuno di essi, ovvero sfruttando la possibilità di produrre economie di scala. Anche i content provider si troverebbero svantaggiati nella competizione con i contenuti proprietari, dal momento che avrebbero maggiori difficoltà a negoziare i termini contrattuali per la delivery nel caso dei canali cable e per la prioritization nel caso dei portali.

Riassumendo, l’analisi della filiera permette di inquadrare l’insieme delle relazioni di un settore e consente una visione delle strategie messe in atto nelle sue fasi: secondo Jacquemin e Rainelli (1984) le imprese adoperano comportamenti strategici a seconda della propria filiera. Grazie alla scomposizione del processo si riescono a individuare alcuni fattori critici che incidono sul successo di un’impresa, generando valore economico. Tra le modalità evidenziate da Porter (1980) vi sono le politiche di prezzo e la qualità, la penetrazione distributiva e quella geografica, il vantaggio tecnologico e l’innovazione, la capacità di trasferire informazioni e sapere. Sulla penetrazione distributiva ha incidenza la specificità geografica, ma anche il fattore tecnologico e infrastrutturale: il territorio degli Stati Uniti è condizionato da una pluralità di Internet Service Provider, tra i quali spicca un numero limitato di distributori che dominano il mercato e che si spartiscono il territorio Stato per Stato a seconda delle aree in cui sono presenti da un punto di vista infrastrutturale. Una mappa prodotta nel 2014 da Web Page FX43 mostra come sono localizzati gli ISP sul territorio e indica il livello di concentrazione, dove a dominare sono Comcast e AT&T, i provider che contano più iscritti alla televisione via cavo e anche quelli che hanno operato una strategia di integrazione verticale con la fusione con chi produce e distribuisce contenuti44. Le conseguenze dell’integrazione verticale tra Media Industry e Telecommunication Company si manifesterebbero principalmente rispetto al potere negoziale esercitato da chi detiene la proprietà dei contenuti sulle negoziazioni per la loro trasmissione nei mercati geografici dove è prevalente la presenza dei competitor. Il consolidamento dei distributori nella filiera potrebbe portare a un aumento dei costi, e

43https://www.webpagefx.com/blog/internet/who-controls-the-internet-a-state-by-state-look/

44 https://www.statista.com/statistics/251793/pay-TV-providers-with-the-largest-number-of-subscribers-in-the-us/

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dunque dei prezzi per il consumatore finale; più a rischio sarebbero i content maker e i content provider che non hanno una forte diversificazione. Per l’utente diventa infatti rilevante la possibilità di scegliere il contenuto preferito al prezzo più vantaggioso. Vantaggi per garantirsi la preferenza del consumatore diventano, oltre alle politiche del prezzo e all’offerta di contenuti di qualità, la capacità di una gestione del servizio attraverso una modalità distributiva che garantisca mobilità e interoperabilità. In questo senso non soltanto sono in gioco gli strumenti tecnologici di innovazione con cui le piattaforme disegnano un’interfaccia che lavori sulla quality of experience dell’utente, ma anche la sua efficienza nel trattenerlo (lock-in) e nel fornire suggerimenti (recommendation systems) attraverso la ricerca di strumenti tecnologici avanzati, come discuteremo a proposito degli algoritmi. Anche per i CE manufacturer e per gli attori che si relazionano con lo spettatore, per esempio il sistema delle applicazioni e l’integrazione con i dispositivi mobili, e con gli strumenti di accesso come i comandi vocali, i decoder o i firestick, la competizione è basata sulla capacità di lavorare sugli standard tecnologici e sul loro perfezionamento.

Il sistema settoriale mostra, sotto questi diversi profili, un momento di transizione: il mercato si sta muovendo verso una fase di consolidamento e di integrazione verticale, sospinta dalla