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DELLA RICERCA

3.2. La teoria dell’immagine

3.2.3. La teoria dell’atto iconico

Come osserva Roberto Gilodi (2015),25 se l’estetica in passato aveva irrigidito l’icona

nella fissità asettica della sua perfezione, la scienza dell’immagine, e in particolare la teoria dell’atto iconico, si muovono nella direzione opposta: «esse si preoccupano di riconqui - stare all’immagine la sua vitalità autonoma, la potenza del suo agire, quella che in origine era propria del mito e che l’imperativo della Ragione ha svuotato della sua energeia e della sua intima produttività.» Gilodi prosegue dicendo che «puntando l’attenzione sul potenziale performativo dell’opera, si assottiglia necessariamente la differenza tra arte e vita e tra arte e natura facendo così esplodere le assiologie del passato ma consentendo di ridisegnare l’identità dell’oggetto estetico alla luce delle trasformazioni contemporanee, in primo luogo al cospetto dell’ipertrofia iconica che segna la nostra epoca».

Sono prima di tutto gli artisti dunque ad avere una chiara percezione dell’autonomia ermeneutica delle opere d’arte, per la loro ricezione vale infatti quanto afferma riguardo alla fotografia il pittore belga Phébus – pseudonimo di Philippe Dubois – nella sua formulazione dell’acte iconique: «La foto non è solamente un’immagine […] è anche, anzitutto, un vero atto iconico […] questo “atto” non si limita, semplicemente, al solo ge - sto di […] “scattare” ma include tanto l’atto della sua ricezione, quanto della sua con tem plazione.» (Marra 1999, 191). Dal canto suo la storia dell’arte, come dice Horst Bredekamp (2015, 33): «non si è interrogata solo sull’osservatore attivo che contribuisce a costituire l’immagine, ma anche in maniera complementare, sulle funzioni e le azioni delle immagini stesse». Sin dagli esordi, dunque, la questione degli effetti delle immagini può essere considerata una preconizzazione della teoria dell’atto iconico, di cui Horst Bredekamp è giunto a una formalizzazione compiuta nel 2010.26

Nelle prossime pagine affronteremo i contributi di alcuni autori che hanno contribuito alla formulazione di questa teoria muovendo da un approccio che potremmo definire ibrido, in quanto fortemente influenzato dalla relazione linguistico-visuale. Il primo è Søren Kjørup (1978, 59) che ha formulato il concetto di “atto iconico linguistico”, pictorial speech act (I.3.2.3.2); affronteremo poi la teoria predicativa e modale dell’immagine di Klaus Sachs-Hombach e Jörg R.J. Schirra (2011) (I.3.2.3.4); la formulazione di “atto iconico”, Bild-Akt (I.3.2.3.5) di Ulrich Schmitz (2008, 419-21); e infine la teoria delle “immagini verbali”, Verbal Imagery di W.J.T. Mitchell (2013 [1986]) (I.3.2.3.6).

3.2.3.1. Atto iconico e atto linguistico

Horst Bredekamp, in apertura del suo studio dedicato all’atto iconico, cita l’enigma - tica annotazione scritta da Leonardo da Vinci in calce a una sua opera: «Non iscoprire se libertà t’è cara ché ’l volto mio è charciere d’amore». La frase allude alla consuetudine

25 La recensione del libro di Horst Bredekamp Immagini che ci guardano. Teoria dell’atto iconico

è stata pubblicata su il manifesto di domenica 17 maggio 2015.

26 Nel seguito faremo riferimento alla traduzione in italiano del saggio di Bredekamp Theorie des

diffu sa nel XVI secolo di velare le statue e di scoprirle nelle occasioni festive. L’aspetto singolare della questione, è che a proferire la frase non sia l’artista ma la statua stessa, e che la frase, annotata su un pezzetto di carta collocata alla base dell’opera, sia rivolta a colui che la guarda. Ciò che qui è di particolare interesse per il nostro discorso è il fatto che sia proprio il monito che proviene dall’opera a trasformare la sua condizione di oggetto che si offre passivamente alla visione dello spettatore, in quella di soggetto attivo; come sottolinea Gilodi (2015), la visione diventa così a tutti gli effetti comunicazione.

Nel tentativo di ricostruire le origini della definizione, Bredekamp evidenzia come secondo lui sia stata in prima battuta la ricerca pragmatica sul linguaggio con la teoria dell’atto linguistico (I.2.2.1) a fornire una traccia utile per giungere alla formulazione dell’atto iconico. L’autore evidenzia che già Friedrich Schleiermacher includeva nell’atto del discorso aspetti multimodali come l’udito e il comprendere, tuttavia l’aspetto performativo assunse ancora più evidenza nell’approccio teorico delle ricerche successive, in particolare nelle formulazioni di Charles Sanders Pierce, John Langshaw Austin e John Searle: «Tali epifanie dell’atto linguistico vantano un’amplissima efficacia nel mondo reale, non solo in forma di appello, bensì di atto legale» (Bredekamp 2015, 34).

Sennonché nella formulazione dell’atto iconico proposta da Bredekamp le immagini non vengono poste sullo stesso piano delle parole, ma del parlante. La posizione del parlante viene assunta qui dalle immagini stesse. Secondo Bredekamp infatti lo scambio non riguarda gli strumenti, i codici ma gli attori. L’atto linguistico si concretizza dunque attraverso enunciati che elevano le parole a gesti.

La teoria proposta da Bredekamp sposta l’atto nel mondo esteriore degli artefatti. Con l’atto iconico il senso è dato dall’immagine: «il tema diventa la latenza dell’immagine che in un gioco di scambi con l’osservatore riesce a svolgere un ruolo autonomo e attivo» (Bredekamp 2015, 36).

Da qui si può tentar una definizione dell’atto iconico. In parallelo con l’atto linguistico, la problematica dell’atto iconico consiste nell’individuare la forza che consente al l’im - magine di balzare mediante una fruizione visiva o tattile da uno stato di latenza al - l’efficacia esteriore nell’ambito della percezione del pensiero e del comportamento. In tal senso, l’efficacia dell’atto iconico va intesa sul piano percettivo, del pensiero e del comportamento come qualcosa che scaturisce sia dalla forza dell’immagine stessa, sia

dalla reazione interattiva di colui che guarda, tocca ascolta.27 (Bredekamp 2015, 36)

La teoria dell’atto iconico non è un dato recente, come ricorda Bredekamp (2015, 41) essa era ben presente in molte culture sin dai tempi antichi, anche se non giunse mai a una formulazione teorica compiuta. Le figure antiche citate e analizzate nel suo saggio «non si presentano all’uomo solo come enti corporei, attivi, indipendenti e capaci di parola, ma anche capaci di spingerlo a un determinato comportamento: di influenzarlo.» (Brede - kamp 2015, 48).

Tornando all’esempio leonardesco, lungi dall’aprire una contesa territoriale fra immagine e parola, Bredekamp formula un’ipotesi saliente per il nostro progetto di ricerca: secondo l’autore infatti proprio questo esempio è in un certo senso paradigmatico del fatto che

[…] sia proprio un testo letto ad alta voce a porre, al lettore, la questione dell’atto iconico. Nella sua surreale acutizzazione, esso funge da contrappeso alla lotta di chi guarda al linguaggio dal punto di vista logico contro il surplus poetico della lingua. Nel convincimento che questa sappia esprimersi al meglio in combutta con l’immagine o anche in conflitto con la sfera del visuale, quando si parla di “atto iconico” si parla anche del rafforzamento della sua chiarezza, finezza, anarchia ed enigmaticità. Se le immagini, nell’ambito delle società altamente tecnologizzate, occupano una posizione inconfondibile nell’armamentario delle tecniche culturali, allora non sfidano la lingua

per indebolirla, bensì per imporre quel tipo di rafforzamento personale che può scaturire da una prova d’idoneità.28 (Bredekamp 2015, 37)

Horst Bredekamp (2015, 39) auspica dunque la «costruzione di una fenomenologia iconicamente attiva», che origini dalle immagini e dalla loro potenzialità semantica, dal fatto che ogni immagine vada oltre ciò che rappresenta, e debba essere intesa come contributo teso a ridefinire e valorizzare il ruolo lingua nell’era della sfida visuale.29

3.2.3.2. Atti iconico linguistici, pictorial speech acts di Søren Kjørup

Il primo tentativo di fondare la teoria dell’atto iconico si deve in realtà al filosofo danese Søren Kjørup che a partire dall’atto linguistico ha elaborato la teoria dell’“atto iconico linguistico” (pictorial speech act, successivamente denominata pictorial act). Søren Kjørup (1978, 55) afferma che la teoria della rappresentazione formulata da Nelson Goodman sia l’unica in grado di spiegare in modo soddisfacente una relazione simbolica spesso fraintesa. In un suo articolo del 1978 egli formula la teoria dell’“atto iconico linguistico”, pictorial speech act, una teoria pensata sia in riferimento all’arte che alla vita di tutti i giorni analizzando l’uso delle immagini nei media diffusi a quell’epoca – e dunque principalmente nei mass media più tradizionali.

Come abbiamo visto (I.3.2.1.3), secondo Nelson Goodman (1976, 13) per far sì che un’immagine rappresenti un oggetto essa deve essere un simbolo di quell’oggetto, stare per esso, riferirsi ad esso, più precisamente denotarlo. La somiglianza può essere presente, ma di per sé stessa non è sufficiente, la denotazione è il nocciolo della rappresentazione ed è indipendente dalla somiglianza.

What makes a picture represent an object? According to Nelson Goodman in his

Languages of Art: An Approach to a Theory of Symbols […] «the plain fact is that a

28 Corsivo nostro.

29 La teoria dell’atto iconico di Bredekamp si colloca dunque senza soluzione di continuità nella

prospettiva aperta dalle ricerche di Aby Warburg, Ernst Cassirer, Erwin Panowsky e di Edgard Wind.

picture, to represent an object, must be a symbol for it, stand for it, refer30 to it» (p. 5).

Imitation or resemblance may play a part in this, but it is neither a sufficient, nor a necessary condition for representation. (Kjørup 1978, 55)

È interessante che la scelta lessicale dell’autore cada qui proprio sul termine refer, “riferirsi”; la referenza è la funzione in base alla quale un segno linguistico rinvia al mondo extralinguistico, reale o immaginario. Ma come evidenzia Kjørup, il riferirsi è un atto metaforico o ellittico e, in quanto atto, è il risultato dell’azione di un essere umano:

Pictures refer in Goodman’s parlance. But surely this must be metaphorical or elliptical. To refer is to perform an act of a very special kind – and acts can only be performed by conscious human beings, not by pictures, which – Pygmalion’s power notwithstanding – remain inanimate objects. Strictly speaking, the picture does not refer to Margrethe [Queen, Margrethe II of Denmark], but some actual or legal person does, the person,

that is, who uses the picture as vehicle for a communicational act,31 the act of depicting

Margrethe, say. (Kjørup 1978, 56)

Non sono le immagini in quanto tali a riferirsi a qualcosa, ma sono le persone a farlo, ri correndo alle immagini come veicolo per un atto comunicativo, le immagini sono usate qui come simboli. Dunque, come ci dice Kjørup (1978, 57), qualsiasi discussione sulle im magini intese come simboli prende l’avvio da una precisa situazione comunicativa, in cui una o più persone usano una o più immagini per dire qualcosa a qualcuno. Solo cono - scen do la situazione comunicativa, il contesto, siamo dunque in grado di dire se l’im ma gine rappresenti o meno qualcosa e, in caso affermativo, che cosa.

This example – this hint – may however be as good as any as a background for my point. And the point is that pictures should not be discussed as such. Any discussion of pictures as symbols must take its point of departure in a communicational situation32

where some person (or some group of persons or some legal body or person) is using one or more pictures to ‘say’ (in a very general sense of ‘saying’) something to somebody. Only by understanding the whole situation are we able to tell whether the pictures represent or not, and if they do, what they represent and how. (Kjørup 1978, 57)

Di fronte a un’immagine non ci limitiamo a domandarci che cosa rappresenti, ma, se condo Kjørup, sdoppiamo la domanda in due parti, ci chiediamo cioè che cosa denota l’immagine e che tipo di immagine sia. La prima domanda deve essere intesa esattamente nello stesso senso in cui si potrebbe parlare di denotazione in ambito linguistico, inten - dendo cioè la denotazione come attribuzione di un significato convenzionale neutro a un termine o a un enunciato, in modo tale che non contenga alcuna sfumatura di carattere soggettivo o emotivo.

30 Corsivo nostro. 31 Id.

The former, however, is of a more general sort, both in the sense that it may be raised and answered in exactly the same way about verbal utterances, say, as about pictorial ones, and in the sense that it has to be answered through a general analysis and understanding of the whole actual communicational situation. (Kjørup 1978, 58)

Kjørup ricorda poi che Goodman aveva stabilito le caratteristiche formali del sistema pittorico distinguendole dagli altri sistemi simbolici e dal linguaggio verbale. Richiama un interessante articolo di Kent Bach in cui l’autore evidenzia che sebbene le limitazioni del sistema simbolico visuali siano molte, in confronto a quelle del sistema linguistico sia no in realtà poche, e formula alcune regole per la comunicazione visuale diverse da quel le presentate da Nelson Goodman. Chi produce un’immagine attraverso di essa for - mula un atto linguistico, o meglio un “atto iconico linguistico”, pictorial speech act, dun que deve essere possibile formulare alcune delle regole o principi o condizioni che con sentono l’attuazione corretta di un atto iconico linguistico sulla falsa riga della teoria de gli atti linguistici e sostanzialmente in linea con la teoria degli atti linguistici di John L. Austin e John Searle (I.2.2.1).

The producer of the picture is in a way performing a speech act by way of a picture, hence a pictorial speech act, and obviously it must be possible to indicate at least some of the rules or principles for the both successful and fully consummated (“correct”) pictorial speech act of depiction, corresponding roughly to the verbal speech act of description. These principles will not be very surprising, I am sure, for they correspond roughly, mutatis mutandis, to the principles for the both successful and fully consum - mated speech act of description, as discussed for instance by John Searle in his Speech

Acts: An Essay in the Philosophy of Language (Cambridge: The University Press,

1969), pp. 54-71. (Kjørup 1978, 59)

I casi in cui tipicamente ricorriamo ad atti iconico linguistici sono innumerevoli anche nella vita di tutti i giorni. Se qualcuno mi chiede com’è mia figlia, per esempio, la mia prima reazione è senz’altro quella di mostrare una foto; quando voglio sapere o spiegare a qualcuno che cosa è o com’è fatto un animale che è raro incontrare in natura, un axolotl, supponiamo, forse più che la definizione della parola azteca che offre un dizionario: «larva degli anfibi urodeli capace di riprodursi, che mantiene per tutta la vita lo stato larvale» (Zingarelli 2020), sono i riferimenti visuali che trovo in rete (Fig. 37) che mi consentono di farmi immediatamente un’idea di come sia fatto l’animale.

Dall’avvento di Internet non ci accontentiamo più delle informazioni che le opere di consultazione sono in grado di fornirci, l’approccio più efficace e spontaneo è quello di rintracciare nella rete l’immagine dell’oggetto in questione per illustrarne il significato, compiendo in questo modo quello che Kjørup (1978, 60) definisce un atto illocutivo ostensivo. Kjørup enuclea poi le condizioni generali di base a suo avviso necessarie per la produzione di un atto illocutivo di questo tipo:

The conditions may be split up in certain categories, according to the various ‘sub-acts’ you perform in performing the illocutionary act: the locutionary act, the propositional acts, and the illocutionary act in the strict sense. The locutionary act is the basic one of simply showing or producing the picture; the propositional acts are the acts of referring

and predicating; and the illocutionary act in this case is the act of depicting, rather than illustrating or warning, say. (Kjørup 1978, 61)

Fig. 37. Axolotl (Ambystoma mexicanum © rubund is licensed under CC BY-SA 2.0).

In alcuni casi un atto iconico-illocutivo avviene in una particolare situazione di background, è cioè possibile individuare alcune condizioni di base che ne influenzano la realizzazione: la luce deve essere sufficiente per visualizzare l’immagine, il numero di referenti per l’immagine deve essere limitato, inoltre l’atto iconico deve essere preso seriamente.

Our general background condition might then be this: (a) The situation S is convenient

and serious. By ‘a convenient situation’ we would then primarily understand a situation

in which there is enough light for the picture to be seen; in which there is only a limited set of possible referents for the act so that the correct referent can be expected to be identified by the means at hand; and in which the knowledge and perceptual capabilities of producer and audience are sufficient for the performance, recognition, and under - standing of the act. And by ‘a serious situation’ we would primarily understand a situation that does not involve any mistakes, and that is not an example of any of the ‘parasitic’ forms of communication like teaching (about depiction, not by depiction which is as ‘serious’ as anyone can wish), play acting, cheating or lying, experimenting, and so on. Another important aspect of the ‘seriousness’ is that the producer should have a ‘serious’ point in performing the act, that is that he should believe that his audience does not know in advance what he is trying to tell through the picture, and that he should believe that the audience ought to know or is interested in knowing. We might want to separate this aspect, too, and formulate a specific background ‘condition of relevancy.’ (Kjørup 1978, 61-62)

L’atto proposizionale di indicare una sedia dicendo «bella, deve anche essere molto comoda», per esempio, equivale secondo Kjørup a un atto linguistico, anche se il referente, la sedia, viene indicata in modo non verbale. Lo stesso accade se mostriamo la foto di qual cosa e scriviamo che cosa è il referente: come nel caso dell’axolotl quello che compia - mo è un atto iconico nel senso che il referente viene comunque indicato attraverso un’immagine.

Pointing to a piece of furniture in front of you and saying “Really nice to look at, and comfortable too, I guess.” is performing a verbal speech act – description or praise – even though the referent, the chair that you are referring to, is pointed out in a non- verbal way. And showing a picture of somebody and saying or writing who the referent is, is still an act of depiction, even though the referent is pointed out in a non-pictorial way. (Kjørup 1978, 62)

Come suggerisce Kjørup (1978, 64), gli elementi centrali della teoria dell’atto iconico sono le condizioni di predicazione. Queste implicano che l’autore mostri l’immagine al pub blico con l’intenzione di caratterizzare quell’oggetto attraverso l’immagine, che voglia cioè predicare qualcosa sull’oggetto. Una precondizione è che l’immagine sia formulata in un linguaggio visuale che lo spettatore è in grado di decifrare. E in questo è importante tener conto del contesto culturale.

The condition of predication is the central one from the point of view of the philosophy

of pictorial languages. It has to state that the producer shows the picture to his audience with the intention of characterizing that object through the picture, that is to predicate something about it, to represent it as something. One sub-condition of this is that the picture should be ‘formulated’ in a pictorial language that the producer has reasons to believe that his audience is able to read and understand. We might prefer to formulate this sub-condition as a separate one, but a joint formulation is also possible. (Kjørup 1978, 64)

L’atto illocutorio iconico può inoltre voler illustrare con le immagini qualcosa su cui verte il testo, per chiarirne i contenuti, in questo caso ci troveremo di fronte a un particolare tipo di raffigurazione in cui l’immagine è presente insieme al testo verbale:

Somehow it seems natural to consider the pictorial illocutionary act of illustration as a special case of depiction, namely depiction in connection with a verbal text, and depiction of something the text is about (normally, but not necessarily, with the intention of elucidating the text by supplying additional information). But this already involves us in a set of preliminary problems of excluding cases of what we would normally call ‘illustration’ that do not fall under this so far pretty vague concept. There are, for instance, cases of illustration without pictures at all, as when you ‘illustrate’ what you