A Trieste gli artisti già dall’Ottocento si riunivano al fine di discutere di questioni artistiche o di collaborare alla realizzazione di esposizioni144. A fine secolo la Società di Belle Arti organizzava mostre annuali al Palazzo Revoltella. Nel 1884 si costituì il Circolo Artistico di Trieste, che garantiva una maggior autonomia agli artisti, non condizionata da mediatori commerciali145. A questo circolo avevano aderito per lo più artisti italiani di formazione tedesca, cioè formati alle accademie di Vienna e di Monaco. Tra gli sloveni invece non esistevano veri e propri circoli artistici a fine Ottocento, ma esistevano centri culturali con varie funzioni. All’interno di questi centri, presenti in vari rioni cittadini e nei paesi del circondario, vennero istituite le “čitalnice” (“gabinetti di lettura”): si trattava di associazioni, il cui scopo principale era quello di apportare alla popolazione slovena, tramite la lettura, una crescita culturale ed un rafforzamento dell’identità nazionale146.
Queste čitalnice147 erano luoghi di incontro, e non semplici biblioteche, infatti sappiamo che queste sedi ospitavano anche esposizioni artistiche. Nel 1904 nel centro di Trieste fu inaugurato il Narodni dom, la casa nazionale del popolo sloveno, in un edificio di nuova costruzione che ospitava sedi di associazioni, spazi commerciali, un teatro, una sala di lettura ed un hotel. Sappiamo che qui ebbe sede anche il Klub Slovenskih umetnikov (il “Club degli Artisti Sloveni”), a partire dal 1911148, associazione che probabilmente era la stessa descritta in precedenza e citata in un articolo pubblicato nello stesso anno149.
Purtroppo l’edificio venne distrutto dall’incendio doloso del 13 luglio 1920150 e in tale occasione furono distrutti anche i molti documenti che si trovavano al suo interno, così non sappiamo se questa associazione artistica avesse organizzato delle esposizioni temporanee e che tipo di attività svolgesse abitualmente.
144 Cfr. (Levi 1985).
145 Per approfondimenti (Wostry 1991).
146 (Cuderi 2000), p. 41.
147 “[…] čitalnica, una sala di letture nella quale venivano frequentemente organizzate su modello boemo le cosiddette bésede, manifestazioni culturali di spiccata connotazione patriottica” cit. (Košuta 1997), p. 68.
148 (Narodni dom v Trstu 1904-1920 1995), p. 112.
149 [ant. 6].
La situazione a Gorizia era invece piuttosto diversa, poiché la convivenza protratta a lungo tra la popolazione italiana e quella slovena era favorita innanzitutto dal sistema scolastico, nel quale si confrontavano sloveni, italiani e tedeschi: allo Staatsgymnasium per esempio studiò Antonio Morassi151, che ebbe tra i compagni, Ervinio Pocar, fratello di Sofronio Pocarini. Morassi frequentò anche i corsi di lingua slovena152, perciò si può presumere che non ebbe mai problemi di comprensione della lingua, né diffidenze verso gli sloveni causate da un certo spirito politico.
In generale, la buona convivenza tra persone che parlavano diverse lingue ma avevano la stessa formazione, aveva favorito la creazione del Circolo Artistico Goriziano, presieduto da Antonio Morassi sin dall’anno di formazione: il 1922153. Tra i membri del Circolo, che si prefiggeva lo scopo di promuovere le arti attraverso l’attività espositiva154, c’erano anche alcuni artisti del gruppo preso in considerazione: Ivan Čargo, Veno Pilon e Luigi Spazzapan, che si univano ad artisti di origine italiana, tra i quali: Vittorio Bolaffio, Gino de Finetti, Edoardo del Neri e altri ancora, e allo scrittore Sofronio Pocarini.
Avevamo già accennato al decentramento di Gorizia in favore della grande provincia del Friuli e quindi al legame con la città di Udine: questa manovra era stata fatta in favore della diminuzione della percentuale di sloveni presenti in una sola provincia155. In tal senso il merito di Morassi nella realizzazione della Prima Esposizione Goriziana di Belle Arti è stato quello di garantire comunque la partecipazione degli artisti goriziani e tra essi anche degli artisti di origine slava che al tempo, nel territorio di Gorizia, non avevano ancora subito alcuna distinzione o emarginazione a causa della nazionalità.
Anzi, l’anno seguente, complice l’entusiasmo che si era creato attorno alla Prima Esposizione Goriziana di Belle Arti, le proposte artistiche continuarono e diedero visibilità
151 Cfr. Tavano Sergio, Antonio Morassi tra Gorizia e Aquileia, in (Ferrari 2012), pp. 199-220 e Marušič Branko, Rapporti tra sloveni e italiani nella Gorizia del periodo precedente la Prima guerra mondiale, ivi, pp. 221-230.
152 Ivi, pp. 199.
153 (Delneri 2010), p. 10.
154 “Sappiamo da “La voce di Gorizia”, diretta da Pocarini, che nell’aprile del 1922 si costituì in città il “Circolo Artistico Goriziano” col proposito di diventare “un luogo di ritrovo, dove gli artisti” potessero “conoscersi, riunirsi a parlare dell’arte loro e dei loro studi, prendere accordi per possibili iniziative comuni, esposizioni, conferenze, concerti” (Ferrari 2012), p. 145.
proprio a due artisti sloveni, sebbene fossero stati in parte criticati e poco capiti dal pubblico goriziano. Non sappiamo se anche questo programma fosse stato predisposto da Morassi, ma comunque nella sede del Circolo furono allestite due mostre personali, la prima dedicata a Ivan Čargo, la seconda al costruttivista Černigoj, presentato dal futurista triestino Giorgio Carmelich156.
Figura 10. I circoli artistici sorti attorno agli anni Venti.
Tuttavia queste opportunità offerte da Gorizia nel biennio 1924-1925 cessarono improvvisamente, dopo che Antonio Morassi si trasferì a Trento. Anche gli artisti sloveni di lì a poco lasciarono l’ambiente goriziano: Veno Pilon si trasferì a Parigi, Ivan Čargo a Lubiana, dove aveva trovato un ambiente all’avanguardia consono alle sue aspettative, Lojze Spazzapan si spostò a Torino e August Černigoj a Trieste, dove fondò il Gruppo Costruttivista. “Del gruppo storico dell’avanguardia rimase a Gorizia solo Pocarini,
circondato da personalità mediocri e messo in difficoltà dalla chiusura del suo giornale, che avvenne nel giugno 1927”157.
Quest’ultimo aveva fondato nel 1919 il Movimento Futurista per la Venezia Giulia, che aveva avuto il merito si svecchiare l’ambiente artistico goriziano, apportando nuovi sistemi compositivi e modi espressivi in quell’ambiente ancora molto legato all’espressionismo. Nonostante il gruppo, come tutti quelli vicini al futurismo, oltre all’aspetto strettamente artistico avesse diffuso il concetto di appartenenza nazionale all’Italia, Pocarini si dimostrò aperto a qualsiasi forma di innovazione, anche a quelle provenienti dall’estero. Intratteneva infatti rapporti con artisti cecoslovacchi e boemi158, e si era scontrato proprio con Marinetti, nella pagine de “La voce dell’Isonzo” in merito alla questione dell’integrazione della popolazione slava nel goriziano159.
157 Ivi, p. 149.
158 Così tanta fiducia riponeva Pocarini nel dialogo tra le arti internazionali che scrisse: “Ma per concretare un avvenire radioso all’arte nostra è necessario abbandonare l’attuale sistema di noncuranza tra un dato gruppo avanguardista e l’altro e di addivenire finalmente a quella che io chiamo l’internazionale degli artisti geniali che permetterà a tutti gli avanguardisti del mondo di essere in relazione continua tra loro, aiutandosi vicendevolmente nella conoscenza delle loro opere, nell’allestimento delle esposizioni, nell’abboccarsi di frequente tra i rappresentanti delle varie correnti modernissime in carca spasmodica di creazioni d’arte nuove e sempre più belle e più interessanti” cit. in (Pocar 1976), p. 284.
3 L’attività artistica degli sloveni dopo l’ascesa del fascismo
Per poter valutare come e in che misura abbia inciso il discorso della nazionalità di appartenenza nell’attività espositiva degli artisti del Litorale, l’indagine migliore da farsi in prima battuta era una panoramica di tutte le attività espositive tra Trieste, Gorizia, e il Regno dei serbi, croati sloveni, con maggior attenzione per gli eventi geograficamente più vicini all’area studiata allo scopo di mappare gli spostamenti degli artisti tra le due guerre. Sono state prese in considerazione le esposizioni collettive, all’interno delle quali c’era sempre un comitato organizzativo e una giuria, e che quindi risultano più imparziali e oggettive rispetto alle esposizioni personali, che potrebbero esser state favorite da particolari situazioni personali, o dall’intervento di personalità politiche e critici d’arte. Questo tipo di indagine permette anche di delineare in generale l’attività espositiva nella regione esaminata, non solo per quanto riguarda gli artisti sloveni, e di capire quali fossero i meccanismi organizzativi ed espositivi che regolavano le carriere degli artisti in questione, e quelle degli artisti italiani ad essi vicini.
Dopo la fine della guerra e dopo lo spostamento dei confini, i nuovi territori annessi all’Italia, come abbiamo visto, si trovavano in una condizione difficile, sia per i cambiamenti ai quali erano stati sottoposti, sia per i danni subiti durante la guerra. La difficile ricostruzione materiale si accompagnava inoltre a quella del tessuto sociale, ulteriormente sconvolto dalle emigrazioni di chi non riusciva a ricostruire ciò che era stato distrutto e di chi non si poteva adattare alle nuove condizioni, e dalle immigrazioni dei “regnicoli” e di chi era attratto dalle possibilità di guadagno della ricostruzione.
Dal punto di vista culturale e artistico, ci vollero alcuni anni affinché questo settore ripartisse e trovasse le energie per nuove iniziative artistiche e per ricostituire un sistema complesso di scuole e mercato dell’arte160.
Gli artisti sloveni che si trovarono in questo ambiente italiano, reagirono allo stesso modo degli altri, in un primo periodo, tentando di riorganizzare delle associazioni e di far ripartire
la scuola d’arte. Ben presto però iniziarono le difficoltà dovute agli atteggiamenti ostili dei nazionalisti italiani nei confronti degli allogeni. A Trieste, già nel luglio del 1920 ci fu l’incendio del Narodni Dom161: in quel momento fu chiaro che lo squadrismo aveva preso piede, non era più sotto controllo e che la cultura degli sloveni in città era stata per sempre compromessa. Inoltre gli sloveni, soprattutto a Trieste, godevano della reputazioni di villici, contadini senza cultura, soprattutto in riferimento a quella parte di popolazione di lingua slovena che viveva nelle zone periferiche dell’altipiano carsico. L’idea era inoltre condivisa dagli stessi sloveni di cultura più elevata162, che criticavano l’arretratezza dei sistemi educativi presso gli sloveni del Litorale.
In ogni caso la situazione che si venne a delineare negli anni successivi fu questa: a Gorizia nel dopoguerra ci fu una fusione tra artisti sloveni e italiani che avvenne grazie al Circolo artistico goriziano e alla capacità di gestione di Pocarini e Morassi. Gli effetti di un clima culturale in cui era ben vista la partecipazione eterogenea degli artisti, portò alla realizzazione della Prima Esposizione Goriziana di Belle Arti, che però segnò contemporaneamente l’inizio e la fine di questa felice collaborazione. La stessa esposizione inoltre toccò uno dei punti più alti in termini di qualità e varietà delle correnti d’avanguardia, come segnalato dalla critica dell’epoca.
Per quanto riguarda Trieste, invece, il processo fu un po’ più lento ad avviarsi, e non ci fu mai un sodalizio tra artisti sloveni e italiani. Ci furono alcune mostre personali di artisti sloveni, altre del Circolo Artistico triestino, composto quasi interamente da artisti italiani, finché si arrivò all’anno cruciale 1927: fu organizzata la prima mostra del Sindacato fascista belle arti, che inglobava il Circolo Artistico e “politicizzava” in questo modo l’ambiente culturale. Ancor prima di questa, ci fu la prima mostra organizzata indipendentemente da quattro artisti sloveni: l’esposizione venne chiusa poco dopo l’inaugurazione e il suo svolgimento vietato.
161 Per approfondimenti: (Narodni dom v Trstu 1904-1920 1995) e [1.3 Premessa storica: il confine dopo la Prima guerra mondiale].
162 “Noi Sloveni siamo un popolo di agricoltori. L'agricoltore è sano, ma lento e vecchio stile. Così siamo in tutto, soprattutto nell’arte. Quando altrove le varie fazione letterarie e pittoriche erano già da tempo superate, qui da noi se ne sentivano gli ultimi echi morenti. E così eravamo in ritardo su tutto, di qualche decennio rispetto alle altre nazioni” [ant. 47].