• Non ci sono risultati.

Premessa storica: il confine dopo la Prima guerra mondiale

Fino al 1914, l’Impero d’Austria e Ungheria amministrava un territorio molto vasto e multiforme, nel quale vivevano molte etnie diverse e si parlavano molte lingue. Dal centro dell’Europa orientale, si estendeva fino al Mar Adriatico e confinava a sud-ovest con il Regno d’Italia: il territorio a Sud della Carinzia e a est della Carniola rappresentava una zona strategica poiché era il punto d’accesso al mare più vicino alla capitale: Vienna. Questo lembo di terra strategico era diviso nella parte più a nord tra la Contea Principesca di Gorizia e Gradisca, e la Carniola, al centro c’era la città di Trieste, e a sud il Margraviato d’Istria. Tutti questi territori, unificati in un unico land poiché appartenevano ad un unico impero, erano però caratterizzati da un complesso multilinguismo e destinati, nel corso della prima metà del Novecento, a numerose, complicate e sofferte trasformazioni.

Figura 1. Confini nell’alto Adriatico fino al 1919.

L'Impero austro-ungarico aveva il più strategico sbocco sul mare, fondamentale nel commercio, a Trieste: con l'istituzione del Porto Franco, avvenuta nel 1719, Trieste si

trasformò da cittadina costiera a moderna città di traffici internazionali; questa fu anche la causa principale di un notevole sviluppo urbano e sociale. Alla popolazione autoctona, si integrarono genti, soprattutto mercanti e commercianti, provenienti da luoghi diversi e di molte religioni diverse: ebrei, greci, serbi, armeni e protestanti, che furono liberi di professare le proprie fedi37 e di mantenere le proprie culture. Si creò quindi una zona caratterizzata dal plurilinguismo, al quale comunque l'impero asburgico era già abituato, ma a causa dell'alta concentrazione di lingue diverse presenti sul territorio giuliano e nelle città vicine, si dovette intervenire con leggi e provvedimenti ad hoc che regolassero le attività amministrative e gli aspetti della vita comunitaria in base alle lingue d’uso.

In linea con la politica dell’assolutismo illuminato, e con lo scopo di aumentare il controllo sul territorio, alla fine del settecento l’impero attuò un “tentativo di germanizzazione”38: tutti i cittadini ebbero l’obbligo di frequentare le scuole di lingua tedesca, e si proibì l’uso di alcune lingue, quelle che non venivano considerate “lingue ufficiali” dell’impero. Questa capacità assimilatrice della città funzionò fino alla seconda metà dell’Ottocento, quando una serie di fattori, legati alla nascita della questione nazionale, e alla massiccia immigrazione dall’hinterland in seguito all’industrializzazione, posero fine al processo39. Nel 1809, durante la terza occupazione francese, venne introdotta la lingua italiana per l’insegnamento, oltre a quella francese e tedesca. Con la restaurazione e il vivace sviluppo economico che seguì, si creò una nuova classe dirigente caratterizzata dal multilinguismo e dalla eterogeneità religiosa, per la quale la formazione delle giovani generazioni era fondamentale. I giovani triestini e goriziani, che nelle loro città natali potevano ottenere sono una formazione di base, erano soliti trasferirsi in scuole e istituti tecnici stranieri, comunemente in territorio austriaco o tedesco, al fine di dare continuità alla loro istruzione rispetto a quella elementare. Ovviamente queste scelte potevano esser sostenute soltanto da famiglie benestanti.

37 Cfr. (Benco 1989).

38 T. Catalan, Trieste: ritratto politico e sociale di una città borghese, (Friuli e Venezia Giulia. Storia del '900 1997), p. 15.

Ai primi del Novecento, quando le speranze irredentiste e il desiderio di cultura italiana stavano prendendo piede nei territori appena oltre il confine dell’Impero asburgico, molti giovani triestini decisero di frequentare l’Università di Firenze40, oppure, in campo artistico, le accademie d’arte sul territorio italiano. I dati sulla formazione scolastica e culturale dei triestini rappresentano un punto di partenza importante anche per determinare le influenze visive che ebbero gli artisti di quest’area, alcuni formati nelle accademie tedesche di Vienna o Monaco, alcuni in quelle italiane di Firenze o Bologna. In seguito verrà approfondito questo tema41.

Quindi coloro che parlavano prevalentemente l’italiano o il tedesco, potevano scegliere di studiare nella propria lingua d’uso durante gli anni della formazione di base a Trieste, e in seguito proseguire verso mete dove la lingua fosse mantenuta. Ma per quanto riguarda altre lingue, come lo sloveno, non c’era un sistema scolastico che tenesse conto della lingua d’uso e perciò le alternative per l’apprendimento erano tra l’italiano e il tedesco. Inoltre sappiamo che, specialmente a Trieste, le zone rimanevano ben definite e non vi era alcun tentativo di avvicinamento tra le due culture, quella italiana e quella slovena, che avevano continuato a svilupparsi parallelamente praticamente senza punti d’incontro. Per quasi tutto l’Ottocento, in città visse e prosperò una società borghese e secolarizzata di cultura italiana, attenta al mondo culturale europeo, ma poco sensibile alla realtà sociale e culturale del contado, abitato da popolazioni slave, prevalentemente contadine, legate fortemente alla tradizioni e ad un ambiente cattolico. Questo scollamento rimase irrisolto e si inasprì con la nascita, a fine secolo, della questione nazionale, che vide entrare sulla scena politica in contrapposizione il partito liberal-nazionale dei triestini italiani e la minoranza slovena, originaria del contado, che non era più disposta a farsi assimilare, nonostante l’avvenuta urbanizzazione42.

40 T. Catalan, Trieste: ritratto politico e sociale di una città borghese, (Friuli e Venezia Giulia. Storia del '900 1997), p. 19.

41 [2.3 La formazione scolastica e artistica nell’Impero austro-ungarico].

Questa divisione così marcata tra città e contado segnò, al di là della formazione scolastica, una divisione abbastanza netta nelle professioni e nelle usanze: in generale il centro cittadino, nel quale la maggioranza era di lingua italiana, era dedito al commercio e meno legato alla religione, mentre la periferia, dove la maggioranza era di lingua slovena, era caratterizzata dalle attività agricole e da una fervida partecipazione religiosa.

La lingua infatti non era il solo elemento che caratterizzava i sottogruppi nei quali era divisa la popolazione triestina: l’immigrazione succeduta alla creazione del porto franco, come abbiamo visto, aveva favorito la nascita di comunità religiose e la fondazione di numerosi luoghi di culto. Un altro elemento molto importante nella formazione culturale e nella politica di Trieste, era perciò rappresentato proprio dalla Chiesa cattolica, che a Trieste esercitava la sua influenza soprattutto nel contado e nelle zone suburbane della città abitate dagli sloveni; le parrocchie del centro cittadino erano, invece, molto meno frequentate, soprattutto nei distretti abitati dal ceto borghese. Quando la “questione nazionale” passò dall’aspirazione dei triestini di diventare italiani, all’odio anti-sloveno, la Chiesa si trovò coinvolta in prima persona nelle lotte nazionali43.

La Chiesa cattolica, grazie alle parrocchie diffuse sul territorio e non solo nel centro cittadino, rappresentava del resto un luogo d’incontro e di formazione anche linguistica, al primo posto in ordine d’importanza dopo la scuola dell’obbligo, soprattutto nel caso degli abitanti di lingua slovena.

A fine degli anni Sessanta dell’Ottocento, con la presa del potere da parte dei liberal-nazionali triestini, vennero fondate molte società a scopo di aggregazione sociale44, e anche la stampa ebbe un notevole incremento. Questo tipo di amministrazione cittadina mirava a consolidare l’uso della lingua italiana, anche grazie allo sviluppo delle scuole con lingua d’insegnamento italiana, mentre quella slovena ed altre lingue minoritarie restavano legate al contado45. Si stava perciò creando una divisione netta tra città e campagna, che

43 Cfr. (Marchi 2002-2003).

44 Si tratta per lo più di associazioni tendenti a promuovere l’aggregazione sociale, prevalentemente dei “dopolavoro”.

45 T. Catalan, Trieste: ritratto politico e sociale di una città borghese, (Friuli e Venezia Giulia. Storia del '900 1997), p. 23.

non comprendeva solo distinzioni linguistiche, ma, come già accennato, anche sociali e religiose. Ma la situazione fu presto modificata: tra gli anni Settanta e Ottanta il ceto medio sloveno si affermò in città ricoprendo posizioni importanti nell’economia e si integrò perfettamente, pur mantenendo, però, una forte identità nazionale.

Negli anni successivi gli sloveni di Trieste organizzarono un reticolo di associazioni di varia natura, sia culturali che sportive, e nel 1876 iniziò le sue pubblicazioni “Edinost”: l’organo di stampa più autorevole della borghesia slovena46. Il problema dell’assenza di scuole di lingua slovena in città fu risolto nel 1888 con l’apertura della prima scuola elementare slovena grazie all’iniziativa privata dell’associazione “Cirillo e Metodio”47.

Sul finire dell’Ottocento, mentre l’irredentismo italiano prendeva piede nella Venezia Giulia austro-ungarica, e la vicinanza all’Italia rafforzava il sentimento nazionalista, per gli sloveni il senso di appartenenza ad una comunità si acuiva e si contrapponeva a quello nazionalista italiano, trovando la propria dimensione nell’istituzione di scuole e periodici a stampa. Contemporaneamente questo tipo di iniziative iniziavano a causare il fastidio della fazione irredentista italiana e ad accrescere la tensione fra le parti. Nel luglio 1868 iniziarono i primi scontri tra italiani e sloveni, in seguito a una mozione anticlericale del consiglio comunale, che portò a scontri dagli esiti tragici: morì accidentalmente Rodolfo Parisi, figlio di Giuseppe Parisi, proprietario di una rinomata casa di spedizioni cittadina. Da questa data i rapporti fra città e contado furono molto tesi, resi difficili anche dalla politica scolastica del comune liberale che, come si è detto, osteggiò sempre l’istituzione di scuole pubbliche di lingua slovena in città48.

La comunità slovena grazie ad iniziative private cominciò a crescere culturalmente e a costruire una coscienza sociale. Ma la formazione culturale non fu l’unico argomento di scontro, e mentre a Trieste il mito dell’italianità si faceva sempre più forte, altri aspetti pesavano sul difficile equilibrio che si era creato in città: negli anni di fine secolo lo scontro

46 Cfr. (Sturman 1996)

47 Catalan T., Trieste: ritratto politico e sociale di una città borghese, (Friuli e Venezia Giulia. Storia del '900 1997), p. 24

48 Andri A., La scuola giuliana e friulana tra Austria ed Italia, in (Friuli e Venezia Giulia. Storia del '900 1997), pp. 205-217

tra liberal-nazionali e gli sloveni divenne sempre più acceso a causa dei progressi in campo finanziario e culturale fatti dalla borghesia slovena, che agli inizi del Novecento poteva contare su solidi capitali e su di una nuova generazione, colta, intraprendente, urbanizzata e dotata di un forte sentimento di identità nazionale49.

A Trieste anche il panorama politico stava cambiando grazie all’affermazione del partito socialista, che da una parte era spinto dai socialdemocratici di Vienna a condividere l’ideale internazionalista, dall’altro era accusato dagli irredentisti di connivenza con gli sloveni. I socialisti erano in una posizione difficile, consapevoli che la fedeltà all’Impero era, al momento, imprescindibile, ma speravano in una via federalista che tenesse conto della tradizione italiana della città e quindi le conferisse autonomia. Con queste posizione moderate, i socialisti riuscirono a conquistare la fiducia di gran parte del proletariato locale e così vinsero le elezioni del 1907.

Nel 1908, con la morte di Felice Venezian che era stato a capo del partito nazionalista triestino, si chiuse un capitolo dell’irredentismo e nacque una fase politica ancor più complessa, fatta di contrasti riguardanti questioni internazionali più ampie, come l’annessione della Bosnia-Erzegovina da parte dell’Austria-Ungheria, e di questioni riguardanti temi culturali, dei quali Ruggero Timeus si fece portavoce50. Fino allo scoppio della Prima guerra mondiale, lo scontro politico a Trieste si giocò sulla contrapposizione tra italiani e sloveni, che si fece sempre più acuta con le estremizzazioni di Timeus, mentre il tedesco rimaneva comunque la lingua ufficiale e le altre lingue non sembravano costituire un problema, giacché usate da gruppi più esigui.

La guerra segnò un cambiamento epocale e in quegli anni la nazionalità fu la prima e l’ultima delle questioni che generarono gli scontri.

La Prima guerra mondiale si concluse il 3 novembre 1918 con l’armistizio di Villa Giusti, mentre le truppe del Regno d’Italia occupavano i territori dell’Impero che erano stati

49 T. Catalan, Trieste: ritratto politico e sociale di una città borghese, (Friuli e Venezia Giulia. Storia del '900 1997), p. 28

50 T. Catalan, Trieste: ritratto politico e sociale di una città borghese, (Friuli e Venezia Giulia. Storia del '900 1997), p. 31

richiesti dal presidente del consiglio Antonio Salandra e dal ministro degli esteri Sidney Sonnino il 26 Aprile 1915 nel patto segreto di Londra, stipulato con la triplice Intesa, e che determinò l’entrata in guerra italiana contro gli imperi di Germania e Austria.

Il 19 novembre 1918 il nuovo presidente del consiglio Vittorio Emanuele Orlando affidava i territori della Venezia Giulia al generale Petitti di Roreto. Questo territorio era stato chiamato così, grazie ad un’idea di un glottologo goriziano, Graziadio Isaia Asoli, che in questo modo sottolineava i legami ai territori italiani e richiamava storicamente la parte di popolazione di lingua italiana che viveva nei territori imperiali ad est dell’Isonzo.

Figura 2. Rivendicazioni terriotiali alla Conferenza di pace di Parigi51. Del territorio facevano parte: l’ex Contea di Gorizia e Gradisca, Trieste, l’Istria e le isole del Quarnero; erano inoltre stati aggiunti il Tarvisiano, che faceva parte della Carinzia, e la zona di Postumia e Idria, che facevano parte della Carniola52. L’amministrazione straordinaria di questi territori occupati dall’esercito durò per tutto il tempo delle trattative di pace, cioè

51 Particolare della carta n. 6T “Conferenza di pace di Parigi 1919. Rivendicazioni territoriali”, in (Biondi 1995)

della conferenza di Parigi, che si concluse il 21 Gennaio 1920 e che cercava di ridefinire i confine tra gli stati in base al principio di autodeterminazione dei popoli promosso dal presidente americano Woodrow Wilson.

La conferenza però non ebbe il potere di sedare i profondi contrasti che si erano generati tra il Regno d’Italia e il neonato Regno dei serbi, croati e sloveni (SHS), che rivendicava i territori costieri della Dalmazia, Istria e Venezia Giulia fino alla Slavia Veneta. Un accordo arrivò appena il 12 novembre 1920 con il Trattato di Rapallo. In questi due anni i territori contesi erano stati esposti a una crisi sociale ed economica, che riguardava anche il rientro di migliaia di profughi, il blocco nella ricostruzione dei territori devastati durante la guerra, la riorganizzazione totale dei commerci e dei trasporti, e la crescente inflazione.

Le trattative, protrattesi per alcuni mesi, furono accompagnate da avanzate militari delle truppe jugoslave e da nuove occupazioni. La popolazione soffrì a causa delle violenze perpetrate da entrambe le parti. In particolare la situazione del Litorale e dell’Istria era molto delicata. Il governo italiano forte delle scelte fatte nel Patto di Londra, dal 3 novembre 1918 aveva fatto avanzare l’esercito fino alla linea concordata in tale circostanza, occupando il Litorale, rivendicato anche dal movimento nazionale sloveno, e parte della Carniola interna (Notranjsak). I rappresentanti del Regno dei serbi, dei croati e degli sloveni invece sostenevano la legittimità delle proprie rivendicazioni su questi territori “sloveni” e sull’Istria “croata”.

A conclusione delle trattative circa 350.000 cittadini di lingua slovena passarono sotto l’amministrazione italiana, assieme ai nuovi territori conquistati. Negli anni seguenti i nazionalismi che si crearono per la convivenza tra abitanti di diverse lingue in questa fascia costiera, diventata italiana, crebbero fino all’esasperazione. Non ci fu alcuna tutela per le minoranze, nonostante fosse stato sottoscritto un accordo nel settembre del 1919. Nel Litorale l’”italianità” già diffusasi rapidamente con l’irredentismo, venne imposta nei nuovi

territori rapidamente e con la forza, e si acuì ulteriormente a partire dal 28 ottobre 1922, dopo la presa del potere da parte dei fascisti53.

Anche se la guerra si era conclusa, il territorio della fascia costiera non viveva in un clima di pace e di stabilità, oltre ad essere provato dalle fatiche economiche, come il resto del paese. In questi territori neo-acquisiti il processo di spostamento dei confini aveva richiesto a lungo la presenza delle forze armate sul territorio. La popolazione si trovava catapultata

in un nuovo sistema

amministrativo e politico; inoltre c’era stato un tale rimescolamento demografico, dovuto in parte alla guerra, in parte ai conseguenti processi di emigrazione e immigrazione, che la popolazione si ritrovava spaesata e in un’atmosfera di inquietudine.

Questi sentimenti furono

amplificati dalle riflessioni riguardanti la cosiddetta “vittoria mutilata”, che rendeva la percezione dell’acquisizione dei nuovi territori ancora più labile. Figura 3. Punti d’incontro tra popolazione di lingua italiana e di lingua slovena nel primo dopoguerra54.

53 In riferimento al primo dopoguerra, Sergio Tavano scrive: “Coloro che da tanto tempo avevano preparata e sognata l’appartenenza di Gorizia all’Italia operarono perché la città apparisse più italiana possibile, tanto nella toponomastica […] quanto negli orientamenti culturali” (Tavano 1986), p. 127.

54 Carta dei limiti nazionali italo-iugoslavi, redatta in base ai dati del censimento del 1921, integrati con quelli del 1910 ed altre fonti ufficiali, in (Biondi 1995), particolare.

Inoltre, come fenomeno spontaneo, Trieste fu meta di una forte immigrazione da parte dei “regnicoli”: italiani provenienti da diverse zone, in cerca di affari. Una massa di persone ripopolò la città, svuotata dalla crisi bellica: dai 240.834 abitanti del 1913 si passò ai circa 225.00 del 1919; inoltre contemporaneamente emigrarono molti non italiani, in particolare tedeschi e sloveni: dal 1919 al 1922 circa, furono stimate circa 28.000 partenze55.

L’emigrazione di tedeschi e sloveni e l’immigrazione dei “regnicoli” furono tra i fattori determinanti della straordinaria e rapida ascesa del Fascismo a Trieste, che rappresentò un’anomalia nel panorama nazionale56.

Come abbiamo già ricordato, al termine della guerra la parte italiana della popolazione si era ricompattata su un fronte politico che, se da una parte poteva sembrare eterogeneo, inorganico e privo di politiche sociali, dall’altra era concorde nello schierarsi contro l’opposizione socialista nella quale confluivano anche numerosi rappresentanti della popolazione slovena. Se già prima della guerra questa opposizione si era manifestata con una serie di limitazioni imposte dal comune sulla libertà di espressione, in campo scolastico e associativo per lo più, nel primo dopoguerra essi furono evidenziati dal surriscaldato clima politico della città in seguito all’annessione all’Italia.

La fazione nazionalista italiana manifestò la sua forza sul territorio negli incidenti che avvennero a Trieste il 3 e 4 agosto 1919 e che la contrapposero alla parte socialista. Eventi del genere non erano isolati in Italia, e furono forse ispirati dagli incidenti milanesi del 15 aprile precedente, durante i quali gruppi di arditi, di ex-ufficiali e di nazionalisti di varia tendenza avevano attaccato e disperso una manifestazione socialista e devastato la sede del giornale di partito. In quei giorni di agosto, infatti, il crescente odio si riversò sia contro le sedi delle organizzazioni socialiste, sia contro quelle slovene, in particolare l’assalto alle Sedi Riunite doveva portare al tramonto definitivo delle forze socialiste in città. Per l’intera giornata i giovanissimi nazionalisti accompagnati bandiere nere, da ufficiali e soldati col tricolore e carabinieri avevano invaso la città in cerca di scontri. Fallito l’attacco alla sede del giornale “Lavoratore”, si erano scagliati contro biblioteche, scuole e giornali sloveni,

55 Cfr. Vinci Anna Maria, Il fascismo e la società locale, in (Friuli e Venezia Giulia. Storia del '900 1997), p. 224.

distruggendo le preziose raccolte di periodici e di libri, facendo falò di vecchi quaderni e di registri scolastici; in seguito minacciarono le rotative, che scamparono alla distruzione poiché quelle del giornale nazionalista sloveno erano le stesse che stampavano anche il giornale più nazionalista di Trieste: “La Nazione”57.

Lo sviluppo del fascismo, aveva trovato un terreno così fertile a Trieste, che il 20 settembre 1920 Mussolini scriveva sul Popolo d’Italia, che mentre ”in alcune plaghe d’Italia i fasci di combattimento sono appena una promessa […] nella Venezia Giulia sono l’elemento preponderante e dominante della situazione politica”58. Il fascio triestino, sorto il 3 aprile 1919 si affermò così velocemente, che già nel maggio del 1920 nacquero le cosiddette “squadre volontarie di difesa cittadina”59.

Queste furono le prime azioni mirate a ricompattare con la forza un territorio diversificato e multiforme, sia in senso politico che sociale, ma anche finalizzate ad assimilarlo e a farlo assomigliare al resto dell’Italia: questo ruolo, geograficamente periferico, ma centrale dal punto di vista politico, creò quel fenomeno chiamato “Fascismo di confine”60.

Sul ruolo strategico della “conquista politica” di queste zone insistette molto anche la politica nazionale condotta da Mussolini, che scelse Trieste come pulpito per la propaganda nazionale. Per amplificare i messaggi nel dicembre del 1920 viene istituito il “Popolo di Trieste”, quotidiano ideologicamente improntato al fascismo, filiazione diretta de “Il Popolo d’Italia”61.

L’efficienza delle nuove organizzazioni fasciste si fece subito sentire con assalti squadristi: gli obiettivi primari furono i luoghi di aggregazione di socialisti e slavi, e già a metà del 1920 si capì quale fosse l’importanza o, meglio, la gravità di questa ascesa: il 13 luglio 1920