• Non ci sono risultati.

La ripresa nel primo dopoguerra e l’ingerenza delle questioni nazionali

I primi segnali di ripresa, successivamente al conflitto mondiale, a Trieste si ebbero nel 1922, quando in febbraio venne organizzata una manifestazione futurista al Teatro Rossetti di Trieste. Rispetto alle manifestazioni organizzate prima della guerra, nelle quali era più importante l’aspetto politico che quello artistico, la serata futurista del 1922 puntava sulla recitazione di poesie e sull’esecuzione musicale e di ballo di alcuni pezzi che incarnavano, secondo gli organizzatori, i caratteri di rinnovamento tipici del futurismo e ancora sconosciuti ai “passatisti triestini” [ant. 15]. La serata fu un insuccesso per Marinetti e i suoi, compensato solamente da un ricco guadagno, come sottolineato dai periodici dell’epoca. La cosa ebbe una certa risonanza anche sui periodici sloveni, che seguivano l’attualità in cerca di interessanti esperienze d’avanguardia. In particolare, sul periodico degli insegnanti slavi del Litorale, la notizia venne riportata con il titolo: “Disfatta futurista a Trieste” [ant. 15].

A questa ne seguì una organizzata a Gorizia l’anno successivo. La serata futurista si svolse nell’aprile 1923 e fu organizzata ancora da Marinetti. Neanche questa serata fu particolarmente apprezzata dal pubblico, né dagli artisti locali, come segnalato da Pilon in una lettera al critico sloveno France Mesesnel163. Senza dilungarsi troppo su un altro evento culturale in cui non furono protagonisti gli artisti figurativi, ma che fu importante per il clima culturale che si stava delineando, si capisce dalle parole di Pilon che a Gorizia probabilmente non c’era stata una chiara rappresentazione dei canoni del futurismo, o almeno non erano stati così percepiti. Inoltre passa l’idea che “[…] il Futurismo a Gorizia si confonda spesso con l’Espressionismo”164, ovvero che le avanguardie vengano associate tra loro e si distinguano dalla pittura tradizionale, legata al realismo, all’impressionismo o comunque ad una cultura periferica tardo-ottocentesca.

163 “Per Pasqua è nato il Semi-futurismo; ha fatto il suo primo debutto un nuovo gruppo teatrale, con un programma di cabarét e di varietà alquanto superficiale; minuti e secondi di scene drammatiche, metà futuristiche metà espressionistiche, tutto sotto il segno di un superficiale provincialismo. A Gorizia!” (Delneri 2010), p. 14.

Tuttavia Gorizia avrebbe dovuto essere ben disposta nei confronti del futurismo, giacché due suoi cittadini, Sofronio Pocarini e Mirko Vucetich avevano fondato il Movimento Futurista per la Venezia Giulia nel 1919.

Ritornando a Trieste, la questione della nazionalità era così sentita, da intaccare tutti i campi della vita sociale e in particolare quello letterario e artistico. Tralasciando i primi, il discorso dell’appartenenza nazionale non era evidente solo nelle trattazioni riguardanti i singoli artisti attivi sul Litorale, ma si allargava a diversi aspetti dell’arte, anche a quella popolare, alla quale venne dedicata una mostra nel 1922.

La “Mostra popolare d’arte italiana”165 venne organizzata dal Circolo Artistico di Trieste da ottobre a novembre 1922. L'esposizione si prefiggeva lo scopo di raccogliere manufatti artistici tipicamente italiani provenienti da varie regioni italiane, ed in particolare dai territori neo-acquisiti, ovvero dalla nuova regione Friuli-Venezia Giulia, dall'Istria e dalla Dalmazia. Il tentativo di unificazione però non venne percepito da tutti gli abitanti alla stessa maniera, e infatti provocò le accese reazioni degli sloveni attraverso alcune polemiche diffuse sulla stampa locale.

[...] la sala –ex Eintracht– è già di per sé raffinata e accoglie le persone con quella familiarità piacevole che caratterizza i luoghi d’incontro tedeschi anche all’interno delle isole etniche. Forse questa mostra ci risulta così familiare anche perché abbiamo percepito immediatamente la sensazione di essere a casa. A casa, nonostante la scritta "Arte Popolare Italiana"! [ant. 16]

Questo articolo conferma che nel 1922 il trait d'union tra la locale popolazione slovena e quella italiana era ancora la mediazione »austriaca« del precedente governo, e che una manifestazione con un titolo nazionalista sul territorio triestino, era sentita dagli sloveni come un evento ostile nei loro confronti, nel quale non si sarebbero sentiti coinvolti. L'articolo continua con l'elenco degli oggetti esposti, sottolineando che:

Sono per lo più lavori artigianali, che vengono effettuati dalle nostre compaesane jugoslave, provenienti dalla costa e dalla Dalmazia. Gli organizzatori hanno denominato

questi nostri beni come ”Arte Italiana” e hanno scambiato il concetto etnografico di "popolare" con quello politico! [ant. 16]

A dimostrazione del fatto che questo tipo di “forzature” politiche erano percepite dagli allogeni come invasive e non aderenti alla realtà. Infatti l'articolista prosegue commentando ”Gli italiani vedono in ciò una rappresentazione dell’arte italiana, noi l’autentica arte slovena” [ant. 16]. Tutto il pezzo si fonda su di un continuo parallelismo tra gli oggetti esposti provenienti da vari paesi friulani, e quelli tradizionali sloveni, decorati in modo simile sia nelle forme che nei colori. Ma se, per quanto riguarda le somiglianze tra oggetti di arte popolare “italiana” e quella “slovena”, in effetti si potesse pensare a continue contaminazioni tra popolazioni contigue, l’incursione politica nella definizione nazionale di queste zone, considerando che l’argomento di discussione è sempre l’arte, agli sloveni parve proprio forzata, tanto che l’articolo si conclude così:

Dei merletti di Idria sono esposti esempi di manufatti meravigliosi, a detta degli organizzatori provenienti dal "Friuli Goriziano". Penso che questa sia una questione che dovrebbe di diritto spettare in primo luogo ai geologi, ai linguisti e ai politici, non agli organizzatori della mostra che hanno attribuito alle contadine delle colline di Idrija l’appellativo di Friulane! [ant. 16]

La mostra era stata infatti dettata da un progetto di inglobamento nazionalistico, dichiarato esplicitamente anche nella prefazione del catalogo, scritta dall’architetto Arduino Berlam:

Gabriele D’Annunzio, il più grande italiano vivente, invitò il nostro Circolo Artistico ad organizzare la prima mostra d’arte Popolare Italiana, per la conservazione della quale Egli istituì la Compagnia del Retaggio, e noi ne gioimmo tanto come artisti, quanto come Italiani e devoti figli di Trieste. […] Come triestini ci sorride l’idea di poter dimostrare coi fatti quali vincoli di fratellanza artistica intercedano fra le nuove e le vecchie provincie d’Italia, come i gusti e le costumanze vi sieno perfettamente affini, e come sempre lo siano stati anche nel passato. […] e ci fu d’uopo lottare contro il loro timore che gli esemplari della loro stupenda arte popolare non fossero argomento di perfidie, arma insidiosa nelle mani dei loro nemici per contestare l’italianità della Dalmazia. Essi temevano che la loro

arte autoctona, nettamente e caratteristicamente dalmatica, fosse definita arte slava. […] se v’è analogia col gusto dei serbi e dei croati ciò è semplicemente perché questi, colla lunga convivenza hanno imparato ed assimilato precisamente come i Russi hanno imparato e assimilato dai loro vicini orientali, giacché gli slavi non sono vessilliferi d’arte166.

Nello specifico, infatti, la questione della nazionalità italiana venne sempre giocata sul piano della contrapposizione al mondo slavo, negando che le contaminazioni artistiche, anche se popolari, possano esser state biunivoche.