• Non ci sono risultati.

Le forme della lingua: scrittura, oralità, recitazione

I. 3 “Nuovo cinema sardo”: film, registi, storie di Sardegna

III.3 Il film

III.3.5 Le forme della lingua: scrittura, oralità, recitazione

Oggetto del presente paragrafo sarà il parlato-recitato de Il figlio di Bakunìn, a confronto con lo scritto-parlato che caratterizza la lingua del romanzo, che nelle intenzioni dell’autore doveva riprodurre una coralità di voci, ognuna con uno stile e un accento riconoscibili. Atzeni parte dalla mimesi del parlato per approdare all’artificiosità dello scritto, un testo dalla natura ibrida e ingannevole che ben si presta alla trasposizione orale. Nel film, è come se le narrazioni delle voci del romanzo tornassero alla loro forma primigenia, superando la pseudo oralità che le contraddistingue sulla pagina scritta.

Tra gli aspetti «propriamente linguistici ma non peculiari […] della fenomenologia del parlato» rientrano «la mistione dialettale tanto nel livello lessicale che fonetico»138. Tale “mistione” è facilmente riscontrabile, nel romanzo,

nell’idioletto di Dolores Murtas, donna di servizio in casa dei Saba, che inserisce termini di area dialettale in un tessuto linguistico caratterizzato dai fenomeni propri dell’italiano dell’uso medio. Questo impiego della lingua, «prevalentemente parlato, ma anche scritto […] in situazione di media formalità, oltre che di informalità»139,

pervade l’intero tessuto linguistico del romanzo, spesse volte in maniera addirittura più pronunciata rispetto al parlato filmico. Quest’ultimo è ripreso quasi per intero dalle pagine del romanzo, alleggerite di gran parte delle informazioni che riguardano le vite e il passato dei testimoni.

Un’altra caratteristica del parlato de Il figlio di Bakunìn è la presenza di monologhi nelle testimonianze – non sono previsti scambi dialogici con l’interlocutore - e di dialoghi nelle scene rievocate dai testimoni. I monologhi140

hanno un’estensione che va da un minimo di 29 parole (la testimonianza dell’impiegato comunale, aggiunta in sceneggiatura) a un massimo di 458 (la testimonianza dell’amante di Tullio Saba). «Il tipo monologico può essere definito come il tipo di parlato prodotto estesamente da un parlante che non preveda interruzioni fino all’esaurimento del proprio discorso»: le testimonianze più brevi sono concentrate in un unico turno fonologico, che gli attori ripetono con un ritmo

138 NENCIONI (1983: 128). 139 SABATINI (1985: 156).

140 CICALESE (1999) ha individuato tre sottotipi di monologhi: monologo spontaneo (pensare a voce

alta); monologo scarsamente pianificato (ampliare appunti); monologo pianificato (ripetere a memoria o leggere a voce alta). I monologhi dei personaggi del film appartengono a quest’ultimo tipo, nonostante vogliano dare allo spettatore l’impressione di realismo e spontaneità.

“da recitazione”, con le pause concertate che spesso coincidono con quelle suggerite dalla punteggiatura della pagina scritta. «L’intonazione fa parte della grammatica del parlato»141, «conferisce al discorso il suo valore autentico»142 e gioca un ruolo

fondamentale sia nella formulazione del messaggio che nella ricezione e comprensione dello stesso da parte del ricevente, ma può essere anche una spia dell’artificiosità dell’enunciato, almeno sul piano dell’esecuzione:

I: Stanotte ho sognato Tullio Saba. Aveva la pelle del viso bianca come cera, e gli occhi spalancati, spaventati, o forse un po’ tristi … Una camicia militare americana del tempo di guerra, lacera, a brandelli. (p. 11)

Testimone I: Stanotte ho sognato Tullio Saba/ aveva la pelle del viso bianca come cera/ e gli occhi spalancati spaventati / e tristi // la camicia militare del tempo di guerra tutta strappata//

V: Uno è nascere nobili e ricchi, un po’ di vanità si può capire, il paese non critica, […], ma nascere come Antoni Saba, nipote di servo, e montarsi la testa come si è montato lui negli anni di buona fortuna, a cosa può portare? Sciagure! (p. 19)

Testimone VI: Uno è nascere nobile e ricco/ un po’ di vanità si può capire/ il paese non critica// ma nascere come Tullio Saba/ nipote di un servo/ e montarsi la testa come si è montato lui a cosa può portare? A sciagure!

Ma:

XII: In quei primi mesi della sua solitudine si può dire fossi l’unica amica di donna Margherita. Le avevo mantenuto il rispetto e l’affetto che avevo sempre avuto. Una signora è una signora, ricca o povera che sia. Qualche sera veniva in sartoria. Sedeva. Non parlava (p. 46).

141 CRESTI (1987: 35). 142 LEPSCHY (1978:130).

Testimone IX: In quegli anni/ della sua solitudine/ ero l’unica amica di donna Margherita/ le avevo mantenuto il rispetto e l’affetto di sempre // una signora è una signora ricca o povera che sia// qualche sera veniva a trovarmi in sartoria/ si sedeva/ ricamava//

Come possiamo notare dalla posizione delle barre nell’ultimo esempio, il sintagma preposizionale «della sua solitudine» è pronunciato come un gruppo tonale a sé stante, slegato dal primo dal quale invece dipende. Tale realizzazione, non tenendo conto della punteggiatura del testo originale, fa sì che il sintagma risulti topicalizzato, come se fosse il portatore dell’informazione principale. L’effetto di “falsa oralità” è conferito tanto dalla velocità e dalla precisione con le quali alcuni testimoni proferiscono le battute – o, nei casi opposti, dall’affettazione delle pause – oppure dal doppiaggio, che non ammette nessuna “sporcatura” della voce (ripetizioni, false partenze, esitazioni, ripensamenti, refusi ecc.) e garantisce un volume e un tono perfettamente modulati.

Non abbiamo riscontrato casi di «simultaneità e d’interferenza dei turni dialogici, fenomeni ovviamente tipici del parlare naturale, ma o annullati dalla linearità della scrittura o concertati artificialmente»143, e questo perché il parlato-

recitato è pianificato e controllato anche nell’esecuzione concreta. Tra gli altri fenomeni ascritti all’oralità ma assenti nel film ricordiamo la ridondanza, lo spreco, l’autocorrezione, l’interruzione, i refusi, le esitazioni, le false partenze e le parole sospese.

Registriamo casi di interiezioni: «Ah ho capito!»144(secondo testimone); «Eh/

il re dei re/ è nato un povero Cristo»145 (Antoni Saba); «Eh/ Serra se ne fotte del

cottimo!»146 (Ulisse Ardau); «Eh/ a volte l’armatura ben fatta non basta»147 (Lele);

«Oh! Questa se la vede Locci o il direttore Corbo gli piglia un bell’infarto»148(Tullio

Saba); «Ah sì?»149 (Locci).

Segnaliamo, inoltre, le clausole ad eco: «si capiranno si capiranno», pronunciata da Antoni Saba durante la cena con Monsier Gaston; «in su sonnu in su

143 NENCIONI (1983: 129). 144 Min. 03:05. 145 Min. 09:46. 146 Min. 19:00. 147 Min. 19:17. 148 Min. 31:28. 149 Min. 21:51.

sonnu»150, reiterata anche in traduzione «nel sogno nel sogno», nella deposizione di

Bannedda, in tribunale; la ripetizione della terza persona del verbo sapere con funzione fatica in uno dei turni del pubblico ministero: «lui è un uomo buono sa ma sa al momento poi sa un uomo com’è si incendia e…»; l’iterazione della congiunzione ma a inizio dell’enunciato, «ma ma/ non c’era solo la questione del magazzino»151,

nella battuta di una delle ultime testimoni; cinque enunciati interrotti: «ma poi mi sono sposata e…»152; «c’era stato il fattaccio/ il processo e…»153; «tu sei così…così…

(sospiro)»154; «ma io non ci credo/ però tutto il paese dice…»155; «poi un uomo sa

com’è/ si incendia e…»156.

Il computo delle dislocazioni157 ha messo in evidenza un numero maggiore di

occorrenze nei dialoghi rispetto alle testimonianze di tipo monologico: - dislocazioni a destra (monologhi):

sì/ la conoscevo bene Donna Margherita; la vuol conoscere la verità?

- dislocazioni a destra (dialoghi):

mai le imparerai le buone maniere; Serra se ne fotte del cottimo; io non ci sono mai andato così in fondo; ci crepano lì sotto; ti faccio assaggiare il manganello anche a te; gliele abbiamo date a quelle teste calde; lo volete capire o no che c’è la guerra?; la devi smettere di sobillare/ di sabotare;

- dislocazioni a sinistra (monologhi):

io quello non l’ho conosciuto; Tullio lo riconoscevo sempre; quei soldi Saba non li diede mai agli sfollati; un rimpianto ce l’ho; uomo così non lo vorrei manco morta; la mia tienila pure158;

150 Min. 53:25. 151 Min. 65:20. 152 Min. 01:49. 153 Min. 46:52. 154 Min. 76:09. 155 Min. 53:43. 156 Min. 54:17.

157 Per una ampia trattazione di questo tipo di costruzioni si rimanda a BENINCÀ (1988: 153-194). Si

vedano inoltre BERRUTO (1986), DURANTI/OCHS (1979) che indagano l’uso della dislocazione in

ambito conversazionale, esclusiva di contesti informali e familiari.

158 La scritta sul retro di una fotografia di Carla, la madre del ragazzo, recita: «Ti restituisco la tua

foto, la mia tienila pure, è tutto quello che hai e ti resta di me, Carla». Chi legge è Assunta, la “memoria storica” della sede del partito, nella penultima scena del film.

- dislocazioni a sinistra (dialoghi) 159:

io il cottimo lo devo rispettare; al direttore Corbo io gli sparo dritto in faccia; io Corbo e Locci non li fucilerei; anche quest’anno il primo maggio ve lo scordate; il primo maggio lo lavorate duro; otto li abbiamo tirati fuori; a te te la metteranno sempre nel culo; prove contro non ce ne sono; la casa me l’ha lasciata;

La maggiore diffusione delle dislocazioni nei dialoghi, nei quali il discorso dei testimoni è trasfuso nei turni di più emittenti, garantisce una maggiore “illusione di spontaneità”, mentre le testimonianze danno l’impressione di un parlato più sorvegliato e accurato, sebbene la linearità dell’enunciazione, priva di qualsiasi sporcatura, denunci la presenza di un copione.

La diatesi passiva è un tratto che abbiamo potuto osservare nelle situazioni più drammatiche – una tragedia in miniera - in un contesto formale – l’aula del tribunale - e nelle battute di personaggi caratterizzati da un eloquio più asciutto e misurato: il direttore Corbo e il Pubblico Ministero.

Direttore Corbo: Se ci sono state delle responsabilità/ saranno trovate e i colpevoli puniti//160

Pubblico Ministero: Sono stata visitata in sogno dalla vittima/ l’ingegner Corbo//161

Marinelli: Credo che sono stato tradito da mia moglie//162

Quest’ultimo enunciato è interessante, non solo per l’impiego della costruzione passiva, che può essere motivato dal contesto formale in cui la battuta è pronunciata – l’aula del tribunale - ma anche perché la proposizione principale regge una oggettiva esplicita: poiché il soggetto è lo stesso della principale, ci si sarebbe attesi una implicita - «credo di essere stato tradito da mia moglie» - come avviene nel romanzo:

Ammise che credeva d’essere stato tradito più volte da sua moglie; credeva, pur non avendo alcuna prova certa (FB, 76)

159 Secondo (BERRETTA 1994: 255), «si tende a porre al primo posto ciò di cui si parla, il tema (anche: topic frasale), e a far seguire a esso ciò che del tema si dice, o rema (anche: comment)».

160 Min. 38:50. 161 Min. 53: 32. 162 Min. 55:04.

Nel primo caso, l’impiego della diatesi passiva è giustificato dal ruolo del personaggio e dal tono drammatico della scena; l’agente è omesso perché non è chiaro chi e in che modo punirà i responsabili dell’accaduto. Nel secondo, il Pubblico Ministero traduce in italiano la deposizione di Bannedda e ricorre alla diatesi passiva probabilmente per rendere la testimonianza più formale e imparziale. Nel terzo, invece, la battuta filmica dimostra un grado di oralità inferiore rispetto al testo letterario, nel quale peraltro il testimone riporta le parole dell’impiegato per mezzo del discorso indiretto163. Nelle testimonianze, la diatesi passiva ricorre quattro volte

e sempre al passato remoto: Tullio fu candidato (due occorrenze); fu eletto; fu messo lui.

Abbiamo osservato due costruzioni impersonali, la prima in una battuta di Dolores Murtas («A far scarpe era buono Antoni Saba/ questo gli deve essere riconosciuto»164); la seconda in una battuta di Ulisse Ardau («sei sempre dell’idea

che il direttore non vada fucilato?»165). Il registro del parlato si sposta su un livello

più formale che contrasta sia con i personaggi sia con la situazione comunicativa. La costruzione dice che, usatissima nel parlato166 per riportare una diceria, è

presente nel monologo di un testimone apparentemente colto e distinto; all’interno dello stesso turno, nell’enunciato immediatamente successivo, il costrutto è evitato a favore del sintagma preposizionale secondo qualcuno, ancora impersonale ma di registro più elevato: «dice che in guerra si era fatto eroe/ secondo qualcuno aveva liberato l’Italia/ da solo».

Il segnale di turn taking più frequente – osservato in cinque turni, di cui solo uno si trova nella battuta di un testimone – è allora. Averci167 ricorre solo in due casi:

«c’ho la gola secca»168 (Ardau); «un rimpianto ce l’ho»169 (Tullio).

163 Cfr. § III.3.6.1. 164 Min. 10:31.

165 La battuta della sceneggiatura recitava: «Tullio sei sempre dell’idea che il direttore non lo

fuciliamo?» (sc. 62).

166 SABATINI (1985: 168).

167 A parte i già citati studi di SABATINI (1985: 160), BERRUTO (1985: 127) e CASTELLANI (1991), si

vedano anche SERIANNI (1988: 212-214), SABATINI (1990) e KOCH (1994: 202-207). La seconda

occorrenza di averci con ripresa pronominale dell’elemento dislocato si ritrova in un turno dialogico di Tullio in risposta a una domanda di Maria, situazione che ricorre di frequente nel parlato spontaneo, stando allo spoglio dei corpora del LIP condotto da Koch. Si rimanda, inoltre, a RENZI (2012: 55-56) per ulteriori attestazioni di averci anche in ambito letterario.

168 Min. 35:06. 169 Min. 78:45.

Abbiamo contato due sole occorrenze di tema sospeso170: «Questo Tullio

Saba non si trovano i certificati di nascita né di morte»171 (impiegato comunale);

«questa se la vede Locci o direttore Corbo gli piglia un bell’infarto»172 (Tullio Saba).

La battuta mostra, inoltre, un mancato accordo tra il soggetto e il verbo.

La tematizzazione è un fenomeno distinguibile dalla dislocazione a sinistra e dal tema sospeso173, e nel film ricorre cinque volte:

Madre: Anche dirigente del partito è stato//

Dolores Murtas: A far scarpe era buono Antoni Saba//

Minatore: Anche di fissare la bandiera sulla collina ci hanno impedito// Maria: Ho pregato io per lui//

Cesarino: Questa è?

Sono solo due, invece, i casi di topicalizzazione:

Maestro: LEI è amica intima del Duce//

Bambino: QUESTA è Edvige Zuddas//

mentre non abbiamo riscontrato casi di frasi scisse.

170 Sulla ricorrenza del tema sospeso (o anacoluto) nella lingua parlata, cfr. SORNICOLA (1982: 81). 171 Min. 03:28.

172 Min. 31:28.

173 La «messa in rilievo del tema dell’enunciato» (ROSSI 1999: 166) si differenzia dal tema sospeso e

dalla dislocazione a sinistra per l’intonazione marcata (pattern comment-appendice, cfr. CRESTI

Il gli unificato (‘a loro’) è presente in due battute, una di Tullio («gli piglia un bell’infarto»: il gli si riferisce a Locci e Corbo), e una di Locci («ci mando anche te Serra/ così gli tieni compagnia», dove gli si riferisce ai suoi compagni).

A dispetto della sua amplissima diffusione nella lingua parlata, il che polivalente174 compare solo quattro volte nel parlato filmico: «Che non si mangiano

taccole senza mirto» (Dolores Murtas); «certe galline ripiene che solo il profumo faceva venire l’acquolina in bocca» (farmacista); «giù le teste che sta arrivando» (Giacomo Serra); «che poteva vedere le mammelle tutte intere» (Angelina).