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I. 3 “Nuovo cinema sardo”: film, registi, storie di Sardegna

III.3 Il film

III.3.7 Verbi

Per quanto riguarda la categoria dei verbi, ci siamo soffermati sull’enumerazione e l’analisi del passato remoto – tempo marcato rispetto all’italiano regionale di Sardegna e in generale sempre meno diffuso nell’italiano contemporaneo, «non solo nelle aree (settentrionali) dove il passato remoto non è mai stato vitale, ma anche nel centro-sud e in Toscana»180 - e dei tre tempi del

congiuntivo nelle subordinate.

Verbi Romanzo (occorrenze per

capitolo) Film (occorrenze totali)

Passato Remoto Cap. XIX: 42; Cap. XX: 77; Cap.

XXIX: 14; Cap. XXXI: 28 37 (monologhi)

Piuccheperfetto Cap. III: 1; Cap. IV: 1; Cap. V: 2; VI: 16; VII: 7; VIII. 7; IX: 5; XII:

12; XIV: 22; XV: 3; XVIII: 1;

XVIII: 1; XIX: 22; XX: 7; XXIV:

13; XXIX: 2; XXX: 3; XXXI: 5

16 (monologhi) + 1 (dialoghi)

Congiuntivo (presente,

passato e imperfetto) Cap. I: 3; Cap. II: 1; Cap. IV: 2; Cap. V: 4181; Cap. XII: 13; Cap.

XIII: 1; Cap. XIV: 1; Cap. XVI: 1; Cap.; XIX: 19; Cap. XX: 17; Cap: XXVI: 12; Cap. XXVIII: 1182;

Cap. XXIX: 1; Cap. XXX: 2; Cap. XXXI: 3; Cap. XXXII: 1

11 (monologhi) + 11

(dialoghi)

Indicativo al posto del

congiuntivo Cap. V: 1; Cap. VI: 4; Cap. VII: 3; Cap. VIII: 1; Cap. IX: 8; Cap.

XXII: 1

8 (monologhi) + 2 (dialoghi)

La tabella mette in luce alcuni dati relativi alla diffusione del passato remoto, del trapassato prossimo e del congiuntivo nel romanzo e nel film. La discriminante diamesica fa sì che la salienza del passato remoto e del congiuntivo sia maggiore nello scritto – nonostante la volontà dell’autore di riprodurre mimeticamente l’oralità – che nel parlato. Già De Mauro aveva evidenziato «la sostituzione del passato prossimo al passato remoto, spinta fino al limite dell'eliminazione di questo

180 BERRUTO (1987: 70). Secondo GAMBARARA (1994: 192), la specializzazione del passato remoto in

alcune persone (la terza singolare e la terza plurale) «indica una tipizzazione degli usi»; di conseguenza, «la scarsa frequenza del passato remoto nell’italiano parlato sembra dovuta a ragioni di strategia testuale, al fatto che i generi testuali della storia non si praticano (non si praticano più?) oralmente».

181 Una forma di congiuntivo presente ricorre nell’espressione “Dio mi guardi!”. L’uso del congiuntivo

può dirsi in questo caso cristallizzato.

dall'uso parlato, è generale fuori della varietà toscana»183. Il passato remoto ricorre

trentasette volte nei turni monologici di otto testimoni, mentre non ricorre mai nei dialoghi tra i personaggi:

- De Magistris, il direttore della miniera184 (fui io a licenziare quell’uomo; arrivai laggiù; fu uno scontro durissimo; si calarono nei pozzi/ li minarono con la dinamite/ e vi rimasero dentro per mesi; non mollai// mi trasferì in caserma; mollarono dopo quarantatre giorni; uscirono dai pozzi; scrissi il testo di un accordo; non lo rividi più; licenziai tutti quelli che non aderirono all’accordo; la produzione aumentò del 60%);

- il giudice (non uno disse; mandai tutti assolti; il giudizio successivo confermò); - il deputato: (fin dalla guerra si mise a far politica);

- il minatore (i carabinieri/ le milizie occuparono il paese);

- il sindacalista (dilagammo per le campagne e organizzammo un movimento per l’occupazione delle terre// mezza isola si mosse);

- il politico PCI (Tullio fu candidato nelle zone minerarie; raccolse migliaia di voti e fu eletto/ ma non prese gusto alla vita parlamentare; Tullio fu candidato alle elezioni del secondo consiglio regionale autonomo; quei soldi Saba non li diede mai agli sfollati/ se li tenne per sé e si imbarcò);

- il secondo consigliere regionale (ci fu l’alluvione// morirono in molti; ci fu grande commozione; nacque una gara di solidarietà; Tullio ordinò con molta serietà);

- l’archivista (fu necessario; fu messo lui; requisì un capannone al porto e cominciò a immagazzinare tutto quello che arrivava).

Il piuccheperfetto, di cui abbiamo contato centotrenta occorrenze nel romanzo e sempre alla terza persona, singolare e plurale, esprimerebbe la valenza temporale del passato remoto, almeno per quanto concerne l’italiano parlato in area campidanese per influenza del dialetto185. Ciononostante, il tempo verbale

maggiormente utilizzato da tutti i personaggi – nei dialoghi e nei monologhi – è il perfetto composto (passato prossimo) che sostituisce il passato remoto, di cui ha la stessa valenza aspettuale.

Parimenti «l’espansione dell’uso dell'indicativo a spese degli altri modi finiti si registra in tutte le varietà regionali»186. Anche Berruto denuncia «la “morte” o

“sparizione” del congiuntivo […] e in particolare in dipendenza da verba putandi»187,

183 DE MAURO (1970:170).

184 Il nome è riportato nella sceneggiatura. 185 LOI CORVETTO (1983: 145-146).

186 LOI CORVETTO (1983: 145-146). 187 BERRUTO (1987: 70).

situazione che nel film si ritrova in un’unica occorrenza: «credo che sono stato tradito da mia moglie»188. Il nono capitolo (FB, 33-41) è quello che presenta una

maggiore concentrazione di questa forma189: le proposizioni nelle quali l’indicativo

sostituisce il congiuntivo sono principalmente comparative ipotetiche, ma registriamo anche una interrogativa indiretta, una causale, una finale, una concessiva e una oggettiva:

Comparative ipotetiche: come se parlava dell’Italia, del Duce (p. 36); come se aveva sentito

il pensiero (p. 38); come se mi ha sentito fa (p. 38); Come se volavo (p. 39).

Interrogativa indiretta: Non so cosa avevo (p. 39) Causale: Non perché aveva un ideale (p. 33)

Finale: ché ne potevano vedere un po’, bianco di luna (p. 38) Concessiva: purché lui stava lì sotto (p. 38)

Oggettiva: mi è entrato un brivido di paura che qualcuno ci vedeva (p. 39).

Nel film, abbiamo potuto osservare la ricorrenza delle stesse forme verbali nel monologo di Angelina, l’amante di Tullio Saba:

causale: non perché aveva un ideale; finale: che poteva vedere le mammelle tutte intere; interrogativa indiretta: non so cos’avevo; comparativa ipotetica: come se volavo.

La sostituzione del congiuntivo con l’indicativo nel parlato della donna non è un elemento caratterizzante dell’italiano regionale di Sardegna, bensì dell’italiano contemporaneo dell’uso medio190.

L’osservazione dei verbi ci ha inoltre permesso di studiare i casi di commistione dei tempi verbali, frequente nel parlato non controllato, specialmente quando i parlanti sono coinvolti emotivamente nel racconto o quando gli eventi li riguardano personalmente.

188 Min. 55:00.

189 Tutte le occorrenze sono state riportate in sceneggiatura. 190 SABATINI (1985: 166-7).

Una notte ho pensato “Ora salto dalla finestra, prendo Tullio e lo bacio”. Non l’ho fatto. Ma, come se aveva sentito il pensiero, la sera dopo sento una voce sola, un canto a mezza voce, Tullio torna appena uscito di miniera. Era febbraio, era buio. Il cuore ha cominciato a battere che mi toglieva il fiato. Mi affaccio. Lui era al principio della salita […]. Ho sentito […]. Quasi senza pensarci mi slaccio […]. (p. 38)

Nella testimonianza dell’amante di Tullio, si assiste a un uso sistematico del passato prossimo (e dell’imperfetto) accanto al presente per raccontare fatti collocati nel passato.

XIV: Parlavamo del passato, di gente lontana e sconosciuta. Sognavamo.

Un giorno nasce una discussione: se facciamo come in Russia e prendiamo il potere, chi mettiamo al muro? Tullio dice che lui l’ingegnere e il direttore non li avrebbe fucilati […] (p. 55-6)

Il ricorso al tempo presente per parlare di eventi passati aumenta quando si rievocano episodi particolari, avvenuti in un’unica occasione:

La notte del trenta aprile del quarantuno una voce corre di casa in casa, i carabinieri sono sulle strade di accesso ai monti, circondano tutto il paese, assieme alla milizia fascista. Nessuno può uscire. […] (FB, 58).

La mescolanza dei tempi verbali191 è un fenomeno che si riduce

sensibilmente nel testo filmico, dove la narrazione orale degli eventi è spesso sostituita dall’azione filmica e dall’uso del presente indicativo nella interazione dialogica tra i personaggi. Il presente narrativo (o scenico) non è «da confondere con quelli relativi alla situazione enunciativa primaria», dove i parlanti si manifestano attraverso verba sentiendi e di percezione: dicono «mi ricordo», «mi pare», «non ci credo», «mi sfugge», che rimandano a qualcosa che è stato appena affermato o che sarà riferito subito dopo.

191 Come chiarisce SEGRE (1985: 28), «l’alternanza dei tempi di verbi contribuisce all’istituzione dei

piani narrativi (per esempio il primo piano e lo sfondo), e perciò è un elemento costitutivo della prospettiva del racconto: i vari atteggiamenti dello scrittore verso la materia narrata hanno uno dei loro tramiti fondamentali nella scelta dei tempi».

Il presente e il passato prossimo appartengono al gruppo dei tempi commentativi, mentre imperfetto, passato remoto e piuccheperfetto al gruppo dei tempi narrativi, secondo la ben nota distinzione di Harald Weinrich192. Prendendo

un campione dei tempi verbali impiegati nei primi undici capitoli del romanzo, risalta immediatamente l’ampia distribuzione dell’imperfetto (443 occorrenze) da parte delle istanze narranti, a dimostrazione del carattere narrativo dell’opera di Atzeni. Ciononostante, anche la frequenza del passato prossimo (178 occorrenze) e del presente (154) è un dato interessante, utile per comprendere la funzione commentativa attribuita ai tempi e l’uso che di essi fanno i parlanti per riferirsi a eventi passati, o talvolta a situazioni o episodi del presente.

Stanotte ho sognato Tullio Saba. Aveva la pelle del viso bianca come cera, e gli occhi spalancati, spaventati, o forse un po’ tristi… […] Mi ha detto «Tutti mi hanno dimenticato, anche gli amici, anche le donne». Te ne ho mai parlato? Era un bravo ragazzo. […] Mi ha fatto la corte subito dopo la guerra. Tuo padre mi piaceva di più. Strano l’abbia sognato. Che vorrà dire? Sognare i morti non porta cattiva fortuna … (FB, 11)

Non ricordo nessun Saba. Quarant’anni in miniera, a San Giovanni, nessun Saba. I Saba che

conoscevo vendevano vino e facevano scarpe, ma in miniera nessuno. Un momento!

Edigardu Saba! Lui sì. Ci ha fatto tre anni, mi pare, a San Giovanni ma non era vita per lui. Era pigro e furbacchione. […] E parte. Va in Gallura dove c’era l’Aga Khan appena arrivato,

avevano messo la fotografia sul giornale. (FB, 14-5)

Tullio Saba era un bambino vanitoso, l’ho scoperto molte volte che si specchiava nell’unico specchio di casa […]. E anche donna Margherita si guardava troppo allo specchio per una donna costumata. […] Si sono gonfiati, i Saba, negli anni buoni, nessuno dovrebbe gonfiarsi tanto, si sa, chi si loda si imbroda e chi si gonfia scoppia. Uno è nascere nobile e ricco, un po’ di vanità si può capire, il paese non critica, la gente non mormora, ma nascere come Antoni Saba, nipote di servo, e montarsi la testa come si è montato lui negli anni di buona fortuna, cosa può portare? Sciagure! […] I Saba raccontavano che nel tempo antico erano stati cavalieri e padroni della terra e di molte bestie e anime, e che poi gli stranieri gli avevano rubato tutto. Io al tempo antico non c’ero. Ma che i Saba erano cavalieri non ci credo. (FB, 18-9)

Da come camminavano, da come bevevano, dalle occhiate che avevano, Bakunìn

riconosceva se si erano soltanto confessate, o se avevano saltato la cavallina in sacrestia.

Dicono che poi in bottega Bakunìn, Bakunìn ci aveva una bottega di scarpe, mi pare, o di carri,

o forse di vino, questo adesso mi sfugge, in bottega poi raccontava le sue scoperte, e molte donne sono state bastonate dai mariti perché Bakunìn era riuscito a smascherarle. (FB, 29- 30)

Ogni sera salivano per quella strada verso Rosmarino, e cantavano. Li sentivo quando erano al principio della salita. Tullio aveva una bella voce, tipo Beniamino Gigli, non so perché non

andava alle feste di nozze a cantare, invece di fare il minatore. Mi ricordo anche le parole di

una canzone che cantavano […].Era una canzone lunga, parlava di tempi lontani, di gente che si chiamava Tiberio, Costantino, imperatori, ma era come se parlava dell’Italia, del Duce, della guerra d’Africa, di quello che succedeva in quegli anni. Molte camicie nere erano continentali e non capivano le parole. I sardi capivano ma non potevano proibire la canzone […] proprio ai minatori di Carbonia lo dovevi impedire? Era allusiva. […] Tullio lo

riconoscevo sempre, anche da lontano. Me lo mangiavo con gli occhi. Mi mangiava con gli

occhi. (FB, 36-7)

Come ha osservato Weinrich dall’analisi di una novella di Pirandello, «i tempi narrativi […] si accompagnano in prevalenza con la terza persona (singolare e plurale), mentre i tempi commentativi si combinano di frequente con la prima e con la seconda persona»193. I soggetti dei tempi narrativi sono i Saba

(Antoni, Tullio) e altri personaggi di contorno: sono dei soggetti nel senso grammaticale del termine, poiché a ciascuno di essi corrisponde un verbo coniugato alla terza persona, ma non svolgono un ruolo attivo nella narrazione perché la subiscono, ne sono oggetto. I verbi al presente sorreggono l’intera narrazione: assolvono sì una funzione commentativa ma anche di ancoraggio e di trasmissione delle informazioni, dal momento che il fluire dei ricordi dipende dalla volontà di un io narrante e dalla sua capacità di convogliare il racconto.

Quarto capitolo

Arcipelaghi

Una tragedia mediterranea

Anno 2001 (col. orig.) Soggetto e sceneggiatura Giovanni Columbu Dal romanzo omonimo di Maria Giacobbe (edizioni Il Vascello, 1995) Interpreti principali Pietrina Menneas (Lucia Solinas); Giosuè (Giancarlo Lostia); Oreste (Paolo Lostia); Pietro Lampis s’istranzu (Carlo Sannais); Raffaele Mura (Pietro Seche); Ventura Pira (Fiorenzo Mattu); Antonio Flore (Badore Cottu); Barbara (Vittoria Mazzette); Angela (Barbara Begala); Giudice (Bruno Bagedda); Lorenzo (Handreas Harder) Regia Giovanni Columbu Produzione Ipotesi Cinema Sire Durata 84 min.

Sinossi: Sardegna, fine anni Novanta. Nell’aula di un tribunale, si celebra il processo a Oreste Solinas, quattordicenne accusato dell’omicidio di Pietro Lampis noto s’istranzu. Ognuno dei testimoni fornisce la sua verità, parziale e lacunosa, spesso in contrasto con le altre testimonianze e con il reale svolgimento degli eventi così come mostrati dai lunghi e frequenti flashback. Man mano che il dibattimento prosegue, emerge un’altra oscura verità: un anno prima, veniva ucciso il fratello dell’imputato, Giosuè, dopo aver assistito involontariamente al furto dei cavalli di Antonio Flores. Pietro Lampis è a capo della rapina e teme che il bambino possa aver svelato a Flores la sua identità e quella dei suoi due compagni. Decide così di liberarsi di lui uccidendolo barbaramente. Per la madre del bambino, la vendetta sembra essere l’unica giustizia in grado di ristabilire l’ordine.