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I. 3 “Nuovo cinema sardo”: film, registi, storie di Sardegna

IV.1 La vendetta secondo Maria

Maria Giacobbe (Nuoro, 1928) si trasferisce in Danimarca nel 1958, un anno dopo la pubblicazione del suo primo romanzo, Diario di una maestrina2. Sono più di

venti i titoli pubblicati in oltre cinquant’anni di intensa attività narrativa e saggistica3 in italiano, danese, francese, spagnolo, alla quale si aggiungono un

instancabile lavoro di traduzione e l’impegno in ambito giornalistico. Come spiega Pittalis,

la scrittura rappresenta per [Maria Giacobbe] la possibilità concreta, l’unica, di mettere in contatto esperienze diverse: l’io e l’altro, ciò che ci appartiene e ciò che è straniero, la patria e l’esilio, l’isola e il mondo. Diventa più scrittura della soggettività («esperienza vissuta» e «atto dell’immaginazione») e i suoi racconti sono “voci” o “frammenti” di un discorso amoroso, drammatico, mai passivo o acritico, in larghissima parte dedicato all’isola, percepita in una doppia valenza storica e atemporale4.

L’isola è al centro dell’opera di Maria Giacobbe, un luogo dell’anima e della memoria che custodisce le storie narrate dall’autrice; l’isola è il punto di partenza del romanzo Gli arcipelaghi, pubblicato dalla casa editrice Il Vascello di Roma nel 19955.

L’uccisione del pastore dodicenne Giosuè da parte di tre ladri di bestiame è il motivo da cui prende avvio il romanzo di Maria Giacobbe, ispirato a un’esperienza vissuta dall’autrice negli anni Cinquanta, chiamata a testimoniare a favore di un ragazzo accusato di aver vendicato la morte del fratellino. Il ricordo di quel drammatico episodio riaffiora quando Maria Giacobbe vive da diversi anni a Copenhagen e casualmente si imbatte in un fatto di cronaca avvenuto ad Amburgo:

1 Il titolo e alcune parti del capitolo sono riprese dal saggio di MEREU M. (c.s.) “Filmin’ Sardinia”, scritto

in inglese, di prossima pubblicazione sul n. 15 della rivista Letterature Straniere &. Ampie porzioni d’analisi del romanzo e del film sono tratte - coerentemente riviste e modificate – da MEREU M. (2012).

2 Pubblicato dall’editore Laterza nel 1957, il romanzo vince il Premio Viareggio. La casa editrice

nuorese il Maestrale l’ha ripubblicato nel 2003.

3 Ricordo i titoli delle opere più importanti di Giacobbe: Piccole cronache (1961); Il mare (1967); il

saggio Grazia Deledda: introduzione alla Sardegna (1973); Le radici (1977), vincitore del Premio Dessì; la raccolta, curata per Einaudi, Giovani poeti danesi (1979), con introduzione del marito Uffe Harder; Maschere e angeli nudi: ritratto di un’infanzia (1999); Euridice (2001 [1970]); Pòju Luàdu (2005); Chiamalo pure amore (2008); Memorie della farfalla (2014).

4 PITTALIS (2014: 107).

un uomo accusato dello stupro e dell’omicidio di una bambina viene assolto per insufficienza di prove, ma la madre gli spara in aula una volta emessa la sentenza6.

Spinta dall’urgenza di raccontare quei terribili fatti, la scrittrice imbastisce un romanzo nel quale l’elemento autobiografico si fonde con la cronaca che progressivamente sfocia nella finzione letteraria. La moltiplicazione delle istanze narranti è funzionale all’estraniamento dell’io autoriale che di volta in volta si identifica con le diverse voci chiamate a restituire la loro parte di verità.

Gli “arcipelaghi” cui allude il titolo non sono solamente conformazioni fisiche, che si sviluppano nello spazio, ma sono anche «collocati nel tempo, nella memoria»7;

la partitura testuale del romanzo non è organizzata in modo organico, «ma appare e si compone attraverso l’intreccio delle voci dei diversi personaggi che raccontano una parte soggettiva della verità»8. La struttura del romanzo richiama una

composizione teatrale di stampo classico: quattro parti, che fungono da atti di un dramma9, ognuna con un proprio titolo (Voci e silenzi; La fossa dei fantasmi; Paradiso

con serpente; L’isola e gli arcipelaghi), suddivise in capitoli di varia estensione che restituiscono la focalizzazione - o testimonianza - di ciascuna delle voci narranti implicate nella vicenda. Ogni parte è a sua volta preceduta da «un preludio o prologo con precise indicazioni che riconducono al tema»10: Esilio; La legge dell’acqua;

Numeri e foglie; Ritorno. Ogni preludio, scritto in corsivo e narrato in terza persona, riporta il punto di vista di Lorenzo: la sua è una voce fuori dal coro, dissonante e impertinente, eppure coerente e imparziale, perché Lorenzo, nato e cresciuto a Milano, non è figlio dell’Isola. Figlio di una donna sarda e di un magistrato fiorentino, “esiliato” sull’Isola per lavoro, Lorenzo è lo “straniero”11, l’uomo che viene dal mare

e che quindi non è integrato nella società. L’immagine di una “Isola” antica, pura e incontaminata si scontra con una nuova concezione di terra, intesa in senso fisico,

6 Il motivo dell’ispirazione autobiografica è ripreso da BAUMANN (2007: 228-229). Si veda anche

LAVINIO (2014a: 164-165). 7 TANDA (2000:20).

8 BAUMANN (2007: 229).

9 Tale struttura drammaturgica è evidenziata anche da TANDA (2000) e PITTALIS (2014). Nel suo

saggio, la studiosa rinomina i quattro atti del romanzo per ricondurli ai quattro momenti chiave della storia: “La tragedia”; La vendetta”; “Trezene”; “Il tribunale”. TANDA (2000: 24) preferisce il

termine “partitura” «a quello, forse più corretto, di struttura che rinvia a quell’esprit de géométrie caro allo strutturalismo».

10 TANDA (2000: 24).

11 Nella comunità barbaricina, l’ospite è trattato con religioso rispetto, ma allo stesso tempo chi viene

da fuori deve attenersi rigorosamente alle leggi comunitarie, come «l’obbligo di sentirsi e di stare sempre scrupolosamente fuori dalla mischia, fuori da quella specie di guerra di tutti contro tutti regolata dal codice della vendetta» (ANGIONI 1997: 206-207).

culturale e spirituale, un agglomerato di “arcipelaghi” eterogenei che introietta il ricordo di un passato ormai lontano.

Lorenzo torna sull’Isola dopo una breve parentesi a Milano, “la sua città”. Il preludio alla prima parte, intitolato “Ritorno” è anche il titolo del, che si ricollega al primo, “Esilio”. Esilio e ritorno sono momenti che fanno parte indissolubilmente della condizione umana, che riportano alla terra d’origine e a quella d’adozione.

La soggettività della narrazione è la caratteristica precipua del romanzo, una tragedia incentrata sull’atto doloroso e catartico di rievocare e narrare l’omicidio di un bambino-pastore da diversi e divergenti punti di vista. Nei trentaquattro capitoli, si susseguono le testimonianze e i ricordi di nove io narranti isolati e incapaci di comunicare gli uni con gli altri: Antonio Flores e suo figlio; Cassandra e Oreste, i fratelli di Giosuè; la madre di Astianatte; i due compagni del Falco, l’assassino di Giosuè; don Marcellino; la dottoressa Rudas.

Giosuè, Astianatte, Lucia Solinas, la nonna, il Falco, Lorenzo non hanno una voce propria, o meglio non gestiscono la narrazione in prima persona, ma le loro parole sono sempre riferite dalle altre istanze, per mezzo del discorso diretto o dell’indiretto libero (Giosuè, Astianatte).

Prima di entrare nel vivo dell’analisi linguistica del romanzo, è bene fornire uno schema che ne chiarisca i temi principali e la struttura:

Parte prima: Voci e silenzi

Prologo: Esilio Il narratore racconta l’arrivo di Lorenzo sull’Isola; la

narrazione è in terza persona.

Giosuè, la nave, la luna È dedicato a Giosuè e al suo incontro con i tre banditi. Il bambino pastore è assassinato da uno dei tre uomini perché assiste involontariamente al furto di venti vacche.

La narrazione non è condotta dal bambino ma dal narratore extradiegetico. La morte di Giosuè è già avvenuta ed è per questo che manca la sua “testimonianza”, la sua “voce”. Il racconto deve essere per forza affidato a una istanza narrante esterna e “informata dei fatti”. Ricorso all’indiretto libero.

Il guerriero Il secondo personaggio e primo io narrante è Antonio Flores, il vaccaro che ha subito l’offesa da parte dei tre ladri.

Astianatte Il bambino non ha un ruolo attivo nella vicenda, motivo per cui non è una delle istanze narranti. La narrazione è condotta in terza persona.

Maschera e maschere La narrazione è gestita dal figlio di Antonio Flores. Il furto del bestiame è raccontato ancora una volta dal suo punto di vista.

Il messaggero La sorella di Oreste e Giosuè, Cassandra, racconta l’arrivo dell’uomo che porta il messaggio della morte di Giosuè.

A Cesare quel ch’è di Cesare Chi racconta è uno dei compagni del Falco.

Una cosa grande e solenne Il narratore intradiegetico è nuovamente la sorella di Giosuè. «Questa cosa grande e solenne» è la morte (GA, 60).

La volpe e gli uccelli Chi racconta è una testimone dell’omicidio, la madre di Astianatte.

Interno con mummie Le “mummie” sono i famigliari di Giosuè, sopraffatti dal dolore e dalla vergogna. La voce è ancora quella di Cassandra.

Gli eremiti e il diavolo L’istanza narrante è il parroco, Don Marcellino. Seconda parte: La fossa dei fantasmi

Prologo: La legge dell’acqua Il ricordo dell’infanzia di Lorenzo sull’Isola è il motivo

principale del preludio della seconda parte.

Cassandra In questo capitolo, Cassandra racconta un presagio della nonna e un incubo.

Il testimone L’io narrante è uno dei compagni del Falco. È l’unico che gli rimane fedele dopo l’accaduto. La fedeltà dell’uomo nei confronti Falco è esplicitata nell’incipit del capitolo:

«Da quella notte maledetta non riuscivo più a staccarmi da lui. Quanto più volevo allontanarmene,

tanto più lo cercavo, lo seguivo, come un cane segue il padrone.» (GA, 91)

Storia di donne e cow-boy Chi racconta è il secondo compagno del Falco, del quale rievoca la morte. La parola peccato (GA, 101) svela la sua colpevolezza nell’omicidio di Giosuè.

Polvere e sangue La voce narrante è ancora quella di Cassandra: fa riferimento alla condizione della sua famiglia e descrive la reazione di Oreste al lutto.

La trave nell’occhio Le metafore della trave nell’occhio, della serpe, dell’agnello innocente, della spina nel cuore; il riferimento al perdono e alla remissione dei peccati; i termini baciapile, bigotta riferiti a Lucia Solinas sono spia del sentimento religioso con il quale Antonio Flores giustifica la sua implicazione nella morte del bambino.

Il dolore e la macchia Attraverso i continui rimandi alle credenze religiose e alle superstizioni, l’io narrante – stavolta nella figura di Cassandra – prende atto dell’inesorabile esplicarsi della legge della vendetta.

Una donna, un uomo, una donna Il punto di vista è nuovamente del compagno del Falco, perseguitato dal ricordo dell’omicidio.

L’innocente La narrazione è ancora condotta da Cassandra.

La lunga strada L’istanza narrante è Oreste: mentre cerca di raggiungere Trezene, rievoca i momenti precedenti la morte del Falco.

Parte terza: Paradiso con serpente

Prologo: Numeri e foglie Nella simbologia di numeri e foglie, sono

contrapposte la città di Milano e la natura «essenziale e arcaica» dell’Isola. La focalizzazione è su Lorenzo, nonostante la narrazione sia in terza persona.

L’ospite È la prima testimonianza della dottoressa Rudas, che racconta l’arrivo di Oreste a Trezene.

L’abbraccio del falco Oreste racconta del suo arrivo a Trezene a casa della dottoressa Rudas. Il bambino ricorda le parole della

madre che gli raccomandano di seguire un percorso preciso per raggiungere Trezene e di non fermarsi a parlare con nessuno.

Oreste racconta che «tutte queste cose mamma […] le aveva dette prima, perché dopo era meglio non perdere tempo e tutto doveva essere pronto» (GA, 170): gli avverbi prima e dopo indicano l’anteriorità e la posteriorità rispetto all’omicidio del Falco.

Idillio In questo capitolo, Angela Rudas rende omaggio alla memoria e agli scritti del padre sulle erbe medicinali. La lingua è impreziosita da termini e fraseologie del linguaggio medico e scientifico (morbilità; mortalità;

cartelle cliniche; ipotesi psicosomatiche; sintomatologie; tesi freudiane; processo psico-chimico- biologico; tubercolosi ossea); cultismi: (vox populi);

nomi di filosofi (Spinoza) e concetti filosofici (mente;

anima), che sottolineano l’alto grado di istruzione

delle dottoressa.

L’oasi “L’oasi” è la casa della dottoressa Rudas secondo Oreste, istanza narrante del capitolo.

Il serpente La dottoressa Rudas descrive Oreste come più propenso a rendersi utile nelle faccende domestiche, compiti “femminili”, che in mansioni più propriamente “maschili”.

Un cielo pieno di rondini La narrazione è ancora condotta da Oreste, che si immagina di rimanere da solo con la dottoressa Rudas, «calmi e silenziosi». Immagina di spiegarle l’accaduto e la necessità della vendetta.

Una partita contabile La dottoressa Rudas definisce la morte di Giosuè un «infanticidio estremamente barbaro» (GA, 185). Lei vorrebbe prendere le distanze da quella «disgraziata regione di faide e di omertà», per paura di perdere l’amore e il rispetto di Lorenzo, «non isolano, cresciuto a Milano […] figlio di Magistrato».

La statua della libertà Oreste parla del suo rapporto con il «dottor Lorenzo» e delle cose che ha imparato a fare insieme a lui. Il titolo, La statua della libertà, fa riferimento a una cartolina di «Nuova York» che Euriclea, la donna di

servizio, gli mostra, ed è metafora del desiderio del bambino di visitare l’America.

La cacciata dall’Eden Il titolo biblico è allegoria dell’abbandono di casa Rudas e dell’arrivo dei carabinieri con il mandato di cattura per Oreste. La voce è ancora quella di Angela Rudas.

Parte quarta: L’isola e gli arcipelaghi

Prologo: Il ritorno Milano è la citta di Lorenzo, ma è nell’isola che egli colloca la sua “mitologia”. È probabilmente quell’«inconsapevole nostalgia del mondo della sua

infanzia» (GA, 205) che lo spinge a intraprendere gli

studi in veterinaria e a tornare a vivere sull’Isola.

Performance La dottoressa Rudas ricorda, a distanza di anni, il processo di Oreste. In tribunale, la donna recita «un’assoluta verità formale e una sostanziale menzogna» (GA, 213) per scagionare Oreste dall’accusa di omicidio.

Lo schiaffo Dopo il processo, la dottoressa Rudas non vuole più incontrare Lucia Solinas, perché si rifiuta di essere connivente con gli ingranaggi di una società alla quale non sente di appartenere. Lo schiaffo viene dalla madre, un gesto che provoca stupore nella donna, «bruscamente [svegliata] da un sogno o da un incubo» che non le permettono di pensare lucidamente (GA, 218).

Lorenzo Il concetto di giustizia è al centro di un’animata discussione tra la dottoressa Rudas e Lorenzo, la prima incapace di comprendere e accettare la vendetta e persuasa che la giustizia coincida con la legge, il secondo, «l’uomo di un’altra civiltà» (GA, 224), fermamente convinto che sia inutile incarcerare e punire Oreste per quello che ha fatto.

L’avvocato Strofio La dottoressa Rudas racconta gli sviluppi del processo a Oreste e la condanna a venticinque anni per omicidio premeditato. L’amico di famiglia, l’avvocato Strofio, è disposto a patrocinare la causa del ragazzo, ormai quindicenne, ma la donna si rifiuta

di collaborare con lui, per paura di uniformarsi ancora una volta alla «barbarica legge del taglione» (GA, 235).

Giudicati e pregiudicati Grazie alla deposizione, decisiva, della dottoressa Rudas, Oreste è finalmente «assolto per non aver commesso il fatto» (GA, 249).

I capitoli, di lunghezza variabile, non restituiscono semplici resoconti o testimonianze, ma custodiscono confessioni intime che rivelano la psicologia, il carattere e il punto di vista di ciascuna delle istanze narranti12. L’autrice fa un’analisi

puntuale degli ingranaggi che muovono la società barbaricina, costringendo i personaggi del suo romanzo a interrogarsi sul proprio vissuto e sulla propria implicazione nell’omicidio di Giosuè Solinas.

Il verbo ricordare è il filo narrativo che tiene unite tutte le testimonianze:

E oggi non sarei qui a ricordarlo (p. 45); Ne ricordo invece i gambali di cuoio impolverati (p. 49); Tutti eravamo ubriachi, ma io ero così ubriaco che non riesco a ricordare nulla di quel ritorno al Passo della Croce; Ricordo però che risi (p. 56); Tentavo allora di ricordarlo vivo, ma anche così la sua immagine risultava sbiadita e confusa; Ricordo persino che mi vergognavo di non piangere (p. 59); che se mi avessero visto non starei qui a ricordarmi di loro (p. 66); un momento mi ricordava Astianatte (p. 67); Ricordare, purtroppo, non riuscivo a non farlo (p. 93); Non mi ricordo neppure come ci arrivammo, lì, dentro quella maledetta capanna (p. 97); E se anche ci fossi riuscito, ora purtroppo ero costretto a ricordarmene (p. 101); Stamattina, intendimi bene e ricordati (p. 138-9); Ricordartelo e non sbagliare, se qualcuno ti chiede (p. 139); Da quel momento ricordo solo di quando arrivai sulla piazza (p. 147); Non mi ricordo che cosa (148); Ricordo che avevo spalancato la finestra della camera da letto e mi ero affacciata (p. 153); Ricordi, l’anno scorso hanno perduto un figlio, Giosuè, il fratellino gemello di Oreste (p. 157); Non mi ricordo d’essermi addormentato e non mi

ricordo neppure chi mi mise a letto (p. 162); Ricordati che ti ho avvertita! (p. 163); e ricordavo quella grande luce e il nemico che cadeva (p. 164); mi era difficile ricordare perché

ero lì coricato; Ma anche il corpo di Giosuè non riuscivo più a ricordarmelo, per quanto mi sforzassi. Riuscivo a pensarlo, ma non a ricordarlo (p. 165); Altrimenti, ricordati, non devi mai parlarne con nessuno (p. 169); Non ricordo se mamma provò ad argomentare. Ricordo soltanto che fece qualche passo nella stanza e che all’improvviso mi sovrastò di tutta la sua statura e mi diede uno schiaffo (p. 218); Mi sfiorò anche il pensiero, così ridicolo, grottesco a

ricordarlo oggi (p. 222); Ricordavo anche la tenerezza che mi faceva (p. 232); Devi solo

provare a ricordare com’era, quali mansioni aveva qui da voi e come le esplicava (p. 237).

La memoria è il leitmotiv che lega le testimonianze: senza memoria non c’è narrazione. I testimoni sono “arcipelaghi” isolati che non comunicano tra di loro ma, nutrendosi delle parole e della memoria di cui si fanno voce, restituiscono frammenti di storia che vengono ricomposti gradualmente dal lettore. La giustizia divina induce gli uomini a fare i conti con la propria coscienza, e le inflessibili leggi dell’ethos barbaricino13 impongono il rispetto dell’onore e la prassi della vendetta14.

Il giurista Antonio Pigliaru ha studiato i meccanismi che regolano l’attuazione della vendetta nella società barbaricina, nella quale la vicenda narrata ne Gli arcipelaghi è presumibilmente ambientata.

Mentre il sostantivo ricordo, al pari del verbo ricordare, è presente in quasi tutti i capitoli - in alcuni addirittura reiterato – la parola vendetta, che pure ha un’importanza capitale nello sviluppo dell’azione, è impiegato solo due volte, la prima nel capitolo Il testimone, la seconda ne La trave nell’occhio:

E così in qualche modo fui io, perché ero stato io che avevo proposto il gioco, che resi possibile la vendetta. (GA, 92)

Come se si possano fare confronti, tra uno che non ha rispettato mai niente e nessuno, una belva che, anche dimenticando ciò che fece a noi e a molti altri come noi, chiunque avrebbe condannato senza appello per quella vendetta bestiale che si prese su un innocente, e uno come me che ha sempre tirato avanti per la sua strada, cercando di non infastidire nessuno, logorandosi nel lavoro per riuscire a vivere senza vergogna. (GA, 120)

13 Durante il dibattito che si è tenuto dopo la rappresentazione teatrale di Arcipelaghi, il 15 maggio

2012 al teatro La vetreria di Pirri, Maria Giacobbe «ha dichiarato che la Sardegna e il codice barbaricino della vendetta avrebbero ben poco a che fare con questo romanzo, la cui trama è invece stata ispirata da un fatto di cronaca riportato da un giornale danese […], ma accaduto in Germania» (LAVINIO 2014a: 164). Nella tragedia de Gli arcipelaghi, la Sardegna «diventa specchio del mondo»

(PITTALIS 2014: 102).

14 PIGLIARU (2006: 47). Il primo articolo del codice recita: «L’offesa deve essere vendicata. Non è uomo

d’onore chi si sottrae al dovere della vendetta, salvo nel caso che, avendo dato nel complesso della sua vita prova della propria virilità, vi rinunci per un superiore motivo morale».

Si tratta di due istanze narranti direttamente implicate nell’omicidio di Giosuè: il compagno del Falco e Antonio Flores. Ai temi della vendetta e dell’omertà si allude più volte all’interno del romanzo, sia attraverso il richiamo esplicito al “codice dell’onore” che per mezzo di eloquenti metafore:

Com’è vero Dio, qualcuno cancellerà col sangue queste lacrime! (GA, 51)

Con queste parole, la nonna cerca di consolare Lucia Solinas in seguito alla tragica morte del figlio. Il personaggio della Lucia, privato della facoltà di esprimersi attraverso la narrazione in prima persona, è in antitesi con quello della dottoressa Rudas15, donna colta e sofisticata, esponente della classe borghese cittadina che si

oppone al concetto atavico e popolare di giustizia intrinsecamente connesso al rispetto dell’onore.

Il verbo associato alla vendetta compare in cinque capitoli nei quali la narrazione è gestita dal più fedele e remissivo dei compagni del Falco, e dal fratello della vittima, Oreste, cui spetta l’arduo compito di regolare i conti:

A Cesare quel ch’è di Cesare

Forse fu anche per chiuderci la bocca, perché non potessimo raccontare in giro che zio Antonio Flores gli aveva sputato addosso, più che per vendicarsi di quel bambino, che ci portò a “regolare i conti col ragazzo del Passo della Croce”(GA, 54)

Il testimone

Forse l’anima del ragazzo era entrata dentro di me, e ancora ci resta e continua a tormentarmi