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Le garanzie costituzionali della libertà di espressione.

Una volta individuati oggetto e contenuto della libertà di manifestazione del pensiero, si reputa opportuno, in linea con il dettato dell’art. 21 Cost.,

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Cfr., al riguardo, Fois, Censura e pubblicità economica, in Giur. cost., 1965, 852 ss.. 57

Così, fra i tanti, Balladore-Pallieri, Diritto costituzionale, Milano, 1972, 413 ss.. 58

Così, Bettiol, Sui limiti penalistici alla libertà di manifestazione del pensiero, in Riv. it.

dir. e proc. pen., 1965, 13 ss..

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In proposito, peraltro, affatto chiaro risulta l’orientamento della Corte costituzionale, la quale, se ha ritenuto ammissibile la propaganda cosiddetta “generica”, ha, invece, ritenuto inammissibile qualsiasi “indiscriminata pubblica propaganda” (Corte cost., 19.2.1965, n. 9, in Giur. Cost., 1965, 61 ss.).

procedere nell’esame dei principi costituzionali preposti a tutela della stampa60.

In una simile prospettiva, una prima garanzia apprestata alla libertà di espressione è costituita dal divieto di sottoporre la stampa ad autorizzazioni o censure61.

Trattasi di norma la cui ratio deve rinvenirsi, sotto un primo profilo, nel contesto storico in cui venne emanata, ovvero immediatamente dopo l’esperienza fascista, dunque, nell’intento di evitare di sottoporre la stampa a quegli interventi di controllo politico effettuati dagli organi di polizia.

D’altra parte, un simile divieto trova il proprio fondamento, altresì, nella natura stessa della libertà di manifestazione del pensiero: una libertà, cioè, di carattere inviolabile ed indisponibile, come recita l’incipit dell’art. 21 Cost., laddove afferma che “tutti hanno diritto di manifestare liberamente il

proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”,

nei confronti della quale, pertanto, qualsiasi vincolo preventivo non può non risultare incostituzionale62.

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Il riferimento alla stampa deve, peraltro, essere inteso non come un privilegio attribuito ad essa rispetto agli altri mezzi di diffusione del pensiero, i quali, pertanto, godranno delle medesime tutele e garanzie apprestate alla stampa.

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La Corte costituzionale ha avuto cura di delinearne il contenuto, rilevando, in particolare, quanto alla nozione di autorizzazione, come siano tali tutti quei “provvedimenti preventivi che, rimessi al potere discrezionale dell’autorità

amministrativa, potrebbero eventualmente impedire la pubblicazione degli scritti destinati al pubblico, come appunto i giornali ed i periodici” (Corte cost., 26.1.1957, n.

51, in Giur. cost., 1957, 420 ss.). Quanto, invece, alla censura, anch’essa è stata intesa, al pari dell’autorizzazione, quale forma di controllo preventivo sulla stampa, effettuato attraverso un “giudizio sulla manifestazione del pensiero rimesso alla pubblica

amministrazione” (Corte cost., 18.5.1972, n. 93, in Giur. cost., 1972, 1156 ss.).

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In questi termini, Ruffolo, Manifestazione del pensiero e pubblicità redazionale: il

percorso tortuoso di una libertà scomoda, in Riv. dir. ind., 1998, 132 ss.. L’Autore

affronta, in particolare, il tema dell’autodisciplina dell’attività giornalistica, ritenendola “inaccettabile … soprattutto in considerazione delle profonde ragioni di incompatibilità

con il dettato costituzionale, che non sembrano difficili da evidenziare”, in quanto

qualsiasi forma di autodisciplina dell’attività giornalistica “verrebbe a tradursi, di fatto,

Non è mancato, peraltro, chi si è interrogato sul reale ambito di operatività del predetto divieto: se, cioè, esso sia riferito esclusivamente alla stampa (intendendosi per tale, come detto, tutti i mezzi di veicolazione della manifestazione del pensiero), ovvero debba essere esteso a qualsiasi stampato, indipendentemente dal contenuto dello stesso63.

E’ stato, in particolare, osservato come l’adesione alla prima delle prospettate tesi presupporrebbe un necessario e preventivo controllo teso ad individuare il contenuto della stampa, in tal modo, però, ponendo nel nulla il precetto stesso di cui all’art. 21, comma 2, Cost..

Sulla base di una simile premessa, i fautori della seconda delle menzionate tesi, prendendo spunto dal tenore letterale della norma, ove si specifica che “la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”, sono giunti ad affermare l’estensione delle garanzie costituzionali contemplate dall’art. 21 Cost. anche a fenomeni diversi dalla manifestazione del pensiero e, in particolare, alla pubblicità commerciale, laddove essi vengano veicolati attraverso la stampa64.

Altro precetto costituzionale finalizzato alla tutela della stampa è contenuto nel successivo terzo comma dell’art. 21 Cost., laddove viene sancito un generale divieto di sottoporre a sequestro la stessa, ammettendo il ricorso a tale misura soltanto in due ipotesi (ovvero, “nel caso di delitti” e “nel caso

di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei

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Così, Principato, La pubblicità redazionale fra libertà di cronaca e libertà di

comunicazione pubblicitaria, in Riv. inf. e informatica, 2003, 4-5, 855 ss.. Negli stessi

termini, Esposito, La libertà di manifestazione del pensiero nell’ordinamento italiano,

cit., 122 ss..

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In tal senso, sembrerebbe far propendere anche la definizione di stampa contenuta nella legge 8.2.1948, n. 47 (recante “Disposizioni sulla stampa”), ove, all’art. 1, si legge: “sono

considerate stampe o stampati, ai fini di questa legge, tutte le riproduzioni tipografiche o comunque ottenute con mezzi meccanici o fisico-chimici, in qualsiasi modo destinate alla pubblicazione”, senza specificare alcunché in ordine al contenuto della stampa.

responsabili”), peraltro prevedendo, anche in relazione a tali ipotesi,

specifiche ed ulteriori cautele.

Procedendo nell’esame del contenuto specifico della suddetta disposizione, è bene preliminarmente individuare la portata del precetto contenuto nel terzo comma dell’art. 21 Cost. e, in particolare, l’oggetto del divieto.

In particolare, il dettato costituzionale, se, da un lato, limita la possibilità di ricorrere al sequestro per accertate violazioni della legge penale e, nella specie, nel caso di delitti, dall’altro introduce tanto una riserva di legge quanto una riserva di giurisdizione, in tal modo circoscrivendo ancor di più il già ristretto ambito di operatività della menzionata misura inibitoria. Come visto, infatti, con riferimento alla cosiddetta riserva di legge, si stabilisce che il sequestro può essere ammesso soltanto nel caso di delitti per i quali la legge sulla stampa65 lo autorizzi espressamente. In altri termini, affinché possa essere disposto il sequestro della stampa, é richiesto il verificarsi di una delle seguenti ipotesi: che sussista una fattispecie

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In proposito, peraltro, la Corte costituzionale ha inteso il riferimento alla legge sulla stampa come esteso a tutte quelle leggi che abbiano ad oggetto tale mezzo di diffusione del pensiero e, dunque, non soltanto la legge n. 47/1948, non essendo in contrasto con il precetto costituzionale, ad avviso della Consulta, la previsione di casi di sequestro contenuta all’interno di tali leggi. Così, Corte Cost., 19.1.1972, n. 4, in Giur. cost., 1972, 12 ss.. Del resto, numerosi sono i casi di sequestro della stampa contemplati da leggi diverse dalla L. n. 47/48. Tra queste, la legge 20 giugno 1952, n. 645, recante “Norme di

attuazione della XII disposizione transitoria e finale (comma primo) della Costituzione”,

la quale, all’art. 8 (“Provvedimenti cautelari in materia di stampa”) così dispone:

“Anche prima dell'inizio dell'azione penale, l'autorità giudiziaria può disporre il

sequestro dei giornali, delle pubblicazioni o degli stampati nella ipotesi del delitto preveduto dall'art. 4 della presente legge.

Nel caso previsto dal precedente comma, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell'autorità giudiziaria, il sequestro dei giornali e delle altre pubblicazioni periodiche può essere eseguito dagli ufficiali di polizia giudiziaria, che debbono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, farne denuncia all'autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro si intende revocato e privo di ogni effetto.

Nella sentenza di condanna il giudice dispone la cessazione dell'efficacia della registrazione, stabilita dall'art. 5, L. 8 febbraio 1948, n. 47, per un periodo da tre mesi a un anno e, in caso di recidiva, da sei mesi a tre anni”.

delittuosa, in relazione alla quale la legge espressamente autorizzi il ricorso alla predetta misura inibitoria (condizioni, queste, entrambe imprescindibili), ovvero che vi sia stata una violazione delle norme “che la

legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili”.

Conseguentemente, qualora non ricorra nessuna delle due fattispecie contemplate dal precetto costituzionale oppure difetti, con riferimento alla prima, uno soltanto dei presupposti richiesti ex lege, dovrà ritenersi operante il generale divieto di sequestro.

Accanto alla riserva assoluta di legge, il comma 3 dell’art. 21 Cost. prevede, come detto, anche una riserva di giurisdizione in ordine alla possibilità di procedere a forme di sequestro della stampa, laddove richiede, appunto, “un atto motivato dell’autorità giudiziaria”. Riserva, anch’essa, al pari di quella di legge, intesa in termini molto rigorosi, come si evince dalla articolata disciplina, prevista, nel successivo comma quarto, con riferimento alle ipotesi in cui sia ammesso derogare a tale riserva (ovvero, “quando vi

sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell’autorità giudiziaria”). Ed infatti, il Costituente ha avuto cura di

specificare che, qualora ricorra una simile situazione, sarà ammesso soltanto il sequestro “della stampa periodica”, effettuato da “ufficiali di

polizia giudiziaria”, i quali, inoltre, saranno tenuti, “immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore”, a “fare denunzia all’autorità giudiziaria”.

Da ultimo, si precisa nella norma, verrà meno qualsiasi effetto del provvedimento di sequestro in precedenza disposto, che dovrà, pertanto, essere ritenuto tamquam non esset, qualora non si abbia la convalida dello stesso “nelle ventiquattro ore successive”.

Trattasi, dunque, di norma tesa a precludere una qualsivoglia, seppur minima, inibizione alla libertà di manifestazione del pensiero. Conseguentemente, anche laddove tale libertà risulti oggetto di un abuso e/o

di un contegno illecito, opererà il menzionato divieto, non essendo consentito, in tali casi, essere sottratta, la libertà di parola, alla garanzia costituzionale ad essa apprestata, ma potendo, tutt’al più, costituire, i predetti contegni illeciti, fonte di responsabilità per gli autori degli stessi66.

In altri termini, qualora si faccia un uso illecito della libertà di manifestazione del pensiero, ad esempio diffondendo uno scritto slealmente concorrenziale, esso non potrà, in alcun modo, “annullare” la garanzia costituzionale di cui gode lo stesso scritto, siccome forma di manifestazione del pensiero, che, dunque, non potrà essere sottoposto a forme di censure né di inibizione, ma potrà, semmai, generare una responsabilità sulla base della disciplina dettata in materia di concorrenza sleale67.

E’ bene, inoltre, precisare come il divieto contenuto nell’art. 21, comma terzo, Cost. sia stato interpretato dalla giurisprudenza non già in termini restrittivi, nel senso, cioè, di riferirsi esclusivamente al sequestro, bensì esteso a tutti quei provvedimenti, anche meramente interdittivi, tali da determinare i medesimi effetti del sequestro vietato dall’art. 21 Cost., e, dunque, parimenti inammissibili in quanto in contrasto con la garanzia costituzionale68.

Il riferimento corre, in particolare, allo strumento della tutela d’urgenza previsto dall’art. 700 c.p.c., cui spesso si è fatto ricorso per ottenere pronunce di inibizione dell’ulteriore diffusione di forme di manifestazione del pensiero, ritenute lesive dell’onore e/o della dignità di determinati

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In questi termini. Ruffolo, Pubblicità redazionale, manifestazione del pensiero e limiti

(anche costituzionali) al rimedio inibitorio/censorio, in Resp. Com. Impr., 1996, 167 ss..

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A tal proposito, un ambito nel quale trovano applicazione i menzionati principi è stato quello della cosiddetta vendita di quotidiani sottocosto, nota anche come “Dumping interno” ed analizzata da dottrina e giurisprudenza sulla base della disciplina concorrenziale, ed, in particolare, alla luce dell disposto dell’art. 2598 n° 3 c.c..

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Ruffolo, Pubblicità redazionale, manifestazione del pensiero e limiti (anche

soggetti. In tali ipotesi, infatti, la giurisprudenza è giunta a ritenere inammissibile la richiesta di un provvedimento cautelare, ad esempio, di divieto di diffusione di periodici, argomentando, appunto, dal fatto che esso “si risolverebbe in un sequestro di copia della rivista, con evidente

aggiramento della norma costituzionale dell’art. 21 Cost.”69 .

Altro settore nel quale è stata ribadita la impossibilità di sottoporre a forme di inibizione la libertà di espressione è quello della televisione. In particolare, come ha avuto modo di precisare la Pretura di Roma, adita per ottenere un provvedimento di inibizione della futura trasmissione televisiva dalla quale sarebbero scaturiti pregiudizi alla reputazione del ricorrente, “la

trasmissione in parola, integralmente in diretta… non potrebbe subire un controllo preventivo perché questo costituirebbe una inammissibile violazione del diritto di manifestazione del pensiero garantito dall’art. 21 Cost. … Non esiste, infatti, nel nostro ordinamento una possibilità di comprimere preventivamente qualsivoglia espressione del pensiero, a prescindere dal mezzo di cui ci si serva per la sua diffusione. Nella specie sarebbe, infatti, necessario sindacare l’argomento del programma, indagando sulle intenzioni del conduttore e degli esperti, stabilendo in maniera inammissibile cosa possa e cosa non possa dirsi”70

.

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Così, Pret. Verona, 18.10.1991, in Dir. inf., 1992, 103 ss.. Negli stessi termini, Trib. Perugia, 17.6.1995, in Rass. Giur. umbra, 1995, 448 ss., che ha precisato che “i limiti a

cui l’art. 21 comma 3 cost. subordina la concessione del sequestro di pubblicazioni a stampa trovano applicazione anche in caso di adozione di provvedimenti d'urgenza interdittivi ex art. 700 c.p.c.”.

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Pret. Roma, ord. d.d. 4.2.1992, in Resp. Com. Impr., 1997, 187 ss.. In quella circostanza, il ricorrente adiva il giudice capitolino assumendo di essere rimasto vittima di una crisi finanziaria che aveva determinato la dichiarazione di fallimento di alcune società da lui amministrate e di altre a lui collegate e rilevando che a tale circostanza era stato dato ampio risalto dalla stampa nazionale nonché dalla trasmissione televisiva RAI “Mi manda Lubrano”. Rilevava, in particolare, il ricorrente, che di un tale argomento si sarebbe trattato nella puntata che avrebbe dovuto essere stata trasmessa il 29.1.1992, di cui si dava notizia su vari settimanali di programmi tv, ove si specificava che sarebbe stata ricostruita “una truffa organizzata da un imprenditore napoletano”. Conseguentemente,

Un simile indirizzo seguito dalla giurisprudenza svela, dunque, la maggiore attenzione che si è inteso dare, più che all’illecito in sé, allo strumento attraverso cui viene perpetrato l’illecito, ovvero qualsiasi mezzo di veicolazione della libertà di parola, pervenendo, in tal modo, alla conclusione per cui, se il ricorso alla tutela d’urgenza è ammissibile per ottenere provvedimenti inibitori nei confronti di condotte illecite, non è, al contrario, consentito laddove i medesimi illeciti vengano realizzati mediante uno strumento che goda della tutela di cui all’art. 21 Cost.71. Impostazione, questa, che d’altra parte, risponde alla ratio stessa degli analizzati precetti costituzionali in ordine alle garanzie di cui gode la libertà di manifestazione del pensiero.

5. Il sistema dei limiti costituzionali alla libertà di manifestazione

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