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La pubblicità ingannevole.

Nel documento Product placement e libertà di espressione (pagine 136-143)

4. Le singole fattispecie di pubblicità.

4.1. La pubblicità ingannevole.

L’esame delle fattispecie pubblicitarie non può non prendere le mosse dalla cosiddetta pubblicità ingannevole.

La prima definizione di tale forma di comunicazione, volendo tralasciare la qualificazione della stessa quale atto di concorrenza sleale, si rinviene in una fonte normativa di natura non statuale: è, infatti, all’interno dell’allora Codice dell’Autodisciplina Pubblicitaria che viene individuata, per la prima volta, una nozione generale di pubblicità ingannevole.

In particolare, la definizione di pubblicità ingannevole fornita dal sistema autodisciplinare può desumersi, a contrario, dalle finalità perseguite dall’Istituto di Autodisciplina pubblicitaria: se, infatti, obiettivo di tale

corpus normativo si rinviene, come visto, nell’esigenza di garantire che la

pubblicità “venga realizzata come servizio per il pubblico, con speciale

riguardo alla sua influenza sul consumatore”299

, tanto potrà essere realizzato soltanto laddove la pubblicità (oggi, più in generale, la comunicazione commerciale) sia improntata ad un generale principio di

299

Norme preliminari e Generali al Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale, lett. a).

lealtà pubblicitaria300, con la conseguenza che qualsiasi forma di pubblicità che non sia tale dovrà essere ritenuta ingannevole e, dunque, illecita.

Coerentemente con una simile ratio, l’art. 2 del Codice dell’Autodisciplina Pubblicitaria, dedicato, appunto, alla summenzionata fattispecie di pubblicità, stabiliva (e oggi prevede in relazione alla più ampia nozione di comunicazione commerciale) che essa “deve evitare ogni dichiarazione o

rappresentazione che sia tale da indurre in errore i consumatori, anche per mezzo di omissioni, ambiguità o esagerazioni non palesemente iperboliche, specie per quanto riguarda le caratteristiche e gli effetti del prodotto, il prezzo, la gratuità, le condizioni di vendita, la diffusione, l’identità delle persone rappresentate, i premi o riconoscimenti”. Laddove, pertanto, non

vengano rispettate tali prescrizioni, la pubblicità sarà illecita, siccome ingannevole.

Con la successiva emanazione del D.Lgs. n. 74/92 è stata definita ingannevole “qualsiasi pubblicità che in qualunque modo, compresa la sua

presentazione, induca in errore o possa indurre in errore le persone fisiche o giuridiche alle quali è rivolta o che essa raggiunge e che, a causa del suo carattere ingannevole, possa pregiudicare il loro comportamento economico ovvero che, per questo motivo, leda o possa ledere un concorrente”301

.

300

Art. 1 Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale (“Lealtà della

comunicazione commerciale”): “La comunicazione commerciale deve essere onesta, veritiera e corretta. Essa deve evitare tutto ciò che possa screditarla”.

301

Tale definizione è rimasta sostanzialmente immutata anche a seguito delle intervenute modifiche legislative. Ed infatti, nella disciplina legislativa attualmente in vigore, contenuta nell’art. 2 D.Lgs. n. 145/2007 è ritenuta ingannevole “qualsiasi pubblicità che

in qualunque modo, compresa la sua presentazione, è idonea ad indurre in errore o possa indurre in errore le persone fisiche o giuridiche alle quali è rivolta o che essa raggiunge e che, a causa del suo carattere ingannevole, possa pregiudicare il loro comportamento economico ovvero che, per questo motivo, sia idonea a ledere un concorrente”.

Da entrambe le definizioni emerge, dunque, un generale principio di verità cui deve essere improntata qualsiasi comunicazione pubblicitaria, necessario affinché essa possa essere ritenuta lecita: in altri termini, una sorta di clausola generale, siccome tesa a disciplinare, sebbene in misura diversa, ogni messaggio pubblicitario.

E’ bene, peraltro, precisare come, nel definire cosa debba intendersi per pubblicità ingannevole, il Codice di Autodisciplina escluda che possano essere considerate tali quelle dichiarazioni e/o rappresentazioni “non

palesemente iperboliche”, nelle quali, cioè, le caratteristiche del prodotto

e/o servizio reclamizzato vengano esagerate al punto da risultare non credibili per il consumatore302.

La definizione contenuta nella disciplina statuale si differenzia, peraltro, da quella autodisciplinare anche laddove prevede, quale ulteriore presupposto necessario perché una pubblicità possa essere ritenuta ingannevole, al di là della “induzione in errore”, il pregiudizio del comportamento economico del consumatore o del concorrente.

Soffermandosi, per il momento, sul primo dei menzionati requisiti, dall’analisi delle surriferite discipline emerge come entrambe le definizioni di pubblicità ingannevole forniscano i parametri di valutazione, peraltro non tassativi, dell’ingannevolezza di un messaggio pubblicitario. Parametri, a ben vedere, riconducibili, tutti, ad una generale esigenza a che vengano fornite informazioni, anche indirette, sul prodotto pubblicizzato, affinché si

302

Ha, infatti, rilevato il Giurì di Autodisciplina: “il carattere palesemente iperbolico di

un’esagerazione pubblicitaria, sufficiente ad escludere l’illiceità ex art. 2 c.a., può riguardare non solo le caratteristiche e gli effetti del prodotto, ma anche la relazione causale fra il prodotto e una data immagine pubblicitaria” (dec. 9/97, in Giur. pubbl., cit., 1997).

pervenga ad una perfetta corrispondenza tra quanto dichiarato in pubblicità e la realtà effettiva303.

E’ bene, peraltro, rilevare come, nonostante la sostanziale corrispondenza, pur con le evidenziate differenze, tra la definizione di pubblicità ingannevole data dalla disciplina statuale e quella che si rinviene, invece, all’interno del Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale, quest’ultimo sistema normativo ha introdotto una disciplina certamente più rigorosa rispetto a quella prevista dall’ordinamento statuale. Tanto emerge se solo si confrontano le norme, contenute all’interno del Codice di Autodisciplina, relative a specifiche fattispecie di pubblicità ingannevole (ben ventinove) rispetto a quelle previste, oggi, dal D.Lgs. n. 145/2007 (soltanto due, riguardanti, rispettivamente, la pubblicità rivolta a bambini ed adolescenti e quella relativa a prodotti pericolosi per la salute e la sicurezza dei consumatori304).

Il Giurì di Autodisciplina ha, inoltre, avuto modo di precisare come il messaggio pubblicitario debba essere improntato ad un generale principio di esaustività: in altri termini, è richiesto che le informazioni relative al prodotto e/o servizio reclamizzato siano complete e corrispondenti al vero nel momento stesso in cui vengono comunicate al destinatario, non essendo consentita una, seppur minima, integrazione della comunicazione

303

Al riguardo, ad esempio, ha avuto modo di rilevare il Giurì di Autodisciplina, che “l’uso pubblicitario di termini che indicano “sicurezza”, “certezza” e “infallibilità”

richiede assoluta chiarezza ed univocità, e contrasta con l’art. 2 c.a. quando l’utilizzazione del prodotto reclamizzato (nella specie: un test per la determinazione dei giorni fecondi) può dimostrarsi efficace solo se accompagnata da particolari cautele (pur indicate nel messaggio pubblicitario)” (dec. 121/96, in Giur. pubbl., op. cit., 1997).

304

In particolare, stabilisce l’art. 6 D.Lgs. n. 145/07: “è considerata ingannevole la

pubblicità che, riguardando prodotti suscettibili di porre in pericolo la salute e la sicurezza dei soggetti che essa raggiunge, omette di darne notizia in modo da indurre tali soggetti a trascurare le normali regole di prudenza e vigilanza”.

promozionale in un momento successivo alla diffusione del messaggio stesso305.

Strettamente correlate al principio di completezza ed esaustività della comunicazione pubblicitaria risultano, poi, tanto la specifica previsione, contenuta nell’art. 2 Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale, delle omissioni quali specifici aspetti dell’obbligo informativo, quanto la questione relativa al cosiddetto grado di diligenza del destinatario nel percepire il messaggio: se, cioè, sia richiesto, ai fini della valutazione di decettività del messaggio pubblicitario, un particolare

standard di diligenza (e, in caso affermativo, quale), ovvero se si possa

prescindere dallo stesso.

Nel silenzio normativo, è bene rilevare come la prima soluzione potrebbe giustificarsi, ad esempio, alla luce dell’eterogeneità dei destinatari di una comunicazione pubblicitaria: in altri termini, ben potendo, il medesimo messaggio promozionale, rivolgersi, tanto a destinatari più accorti, quanto ad un pubblico di soggetti più sprovveduti, il parametro della diligenza del consumatore medio potrebbe risultare quale giusto compromesso tra le due categorie di soggetti. In tal senso, del resto, sembrerebbe essere la ratio alla base del sistema autodisciplinare, laddove è stato espressamente previsto, quale ulteriore indice dell’ingannevolezza di una comunicazione commerciale, appunto, “il consumatore medio del gruppo di

riferimento”306 .

Cionondimeno, è stato, da altra prospettiva, rilevato come il criterio del consumatore più sprovveduto307 possa risultare più confacente ad un criterio

305

Giurì di Autodisciplina, dec. n. 294/96, in Giur. pubbl., cit., 1997. 306

Art. 2, comma 2, Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale. 307

In particolare, ha rilevato il Giurì come parametro di riferimento debba essere quello del consumatore più sprovveduto, addirittura specificando che, nella valutazione dell’ingannevolezza, dovrà considerarsi, altresì, che destinatario del messaggio può essere

oggettivo di valutazione dell’ingannevolezza di un messaggio pubblicitario308. D’altra parte, ispirate dalla medesima ratio, che tenga conto, cioè, del parametro del consumatore meno accorto, sembrano essere quelle disposizioni – contenute, tanto nella disciplina statuale, quanto all’interno del Codice di Autodisciplina – relative ad una specifica fattispecie di pubblicità ingannevole: ovvero, quella che abbia come destinatari “bambini e adolescenti”309.

Come si è detto, la disciplina statuale prevede espressamente, quale ulteriore presupposto necessario affinché una comunicazione pubblicitaria

persino il lettore semplicemente disattento: cfr. dec. 81/94, in Giur. pubbl., cit., 1994- 1995.

308

Si veda, in tal senso, Cafaggi, op. cit., 461. L’Autore osserva, in particolare, come l’adozione dello standard del consumatore medio quale parametro mediante cui valutare la decettività di un messaggio pubblicitario comporterebbe, quale conseguenza, l’esclusione della ingannevolezza in caso di negligenza del consumatore più sprovveduto. 309

Art. 11 Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale (“Bambini e

adolescenti”): “Una cura particolare deve essere posta nei messaggi che si rivolgono ai bambini e agli adolescenti o che possono essere da loro ricevuti. Questi messaggi non devono contenere nulla che possa danneggiarli psichicamente, moralmente o fisicamente e non devono inoltre abusare della loro naturale credulità o mancanza di esperienza, o del loro senso di lealtà.

In particolare questa comunicazione commerciale non deve indurre a:

violare norme di comportamento sociale generalmente accettate;

compiere azioni o esporsi a situazioni pericolose;

ritenere che il mancato possesso del prodotto pubblicizzato significhi inferiorità,

oppure mancato assolvimento dei loro compiti da parte dei genitori;

sminuire il ruolo dei genitori e di altri educatori nel fornire valide indicazioni

dietetiche;

adottare l’abitudine a comportamenti altrimenti non equilibrati, o trascurare

l’esigenza di seguire uno stile di vita sano;

sollecitare altre persone all'acquisto del prodotto pubblicizzato.

L'impiego di bambini e adolescenti in messaggi pubblicitari deve evitare ogni abuso dei naturali sentimenti degli adulti per i più giovani.”

Di tenore pressocché analogo l’art. 7 D.Lgs. n. 145/2007 (“Bambini e adolescenti”): “È considerata ingannevole la pubblicità, che, in quanto suscettibile di raggiungere

bambini ed adolescenti, abusa della loro naturale credulità o mancanza di esperienza o che, impiegando bambini ed adolescenti in messaggi pubblicitari, fermo quanto disposto dall’articolo 10 della legge 3 maggio 2004, n. 112, abusa dei naturali sentimenti degli adulti per i più giovani.

E’ considerata ingannevole la pubblicità, che, in quanto suscettibile di raggiungere bambini ed adolescenti, può, anche indirettamente, minacciare la loro sicurezza”.

possa essere ritenuta ingannevole, l’idoneità della stessa a “pregiudicare il

comportamento economico” dei soggetti cui è rivolta: ciò che determina

una ben più restrittiva definizione di pubblicità ingannevole rispetto a quella che si rinviene nel Codice di Autodisciplina. E’ bene, peraltro, evidenziare come un simile requisito assuma una valenza ed un significato diversi a seconda che la pubblicità ingannevole venga intesa quale illecito lesivo degli interessi dei consumatori, ovvero quale illecito concorrenziale.

In particolare, laddove intesa nel primo senso, il presupposto del pregiudizio economico dovrà intendersi nel significato letterale dell’incidenza sulle scelte economiche dei destinatari: conseguentemente, qualora una pubblicità sia “idonea ad indurre in errore” e, cionondimeno, non sia tale da incidere sul comportamento economico dei soggetti cui è rivolta, essa non potrà essere ritenuta ingannevole ai sensi della disciplina statuale310.

Il medesimo requisito dovrà, al contrario, essere diversamente inteso laddove la pubblicità ingannevole si configuri quale fattispecie illecitamente concorrenziale. In tale caso, infatti, il presupposto del pregiudizio al comportamento economico dei destinatari del messaggio pubblicitario, ovvero dei soggetti concorrenti, dovrà interpretarsi quale pregiudizio potenziale del concorrente311, potendo configurarsi, ad esempio, quale sviamento della clientela, da ricondurre, pertanto, all’illecito concorrenzialmente sleale degli atti confusori (art. 2598, n. 1, c.c.), ovvero essere ricondotto alla diversa ipotesi dello sfruttamento indebito

310

E’ bene, peraltro, rilevare come tale requisito sia stato inteso in termini estensivi, nel senso, cioè, di ritenerlo sussistente anche nell’ipotesi in cui l’ingannevolezza possa “potenzialmente incidere su una scelta, indipendentemente dalla prova che la scelta sia

stata effettivamente compiuta e, in tal caso, che un pregiudizio si sia verificato”. In questi

termini, Cafaggi, op. cit., 462. 311

Come si è già avuto modo di osservare, dovrà intendersi per tale tanto il soggetto imprenditore, quanto chi eserciti un’attività professionale, commerciale o artigiana.

dell’immagine aziendale, a sua volta rientrante nella fattispecie dell’appropriazione di pregi altrui (art. 2598, n. 2 c.c.).

Si segnala, peraltro, come, a seguito delle recenti modifiche della disciplina in materia di pubblicità ingannevole, quali introdotte dal D.Lgs. n. 145/2007, si è specificato che scopo di tale disciplina sarebbe quello di “tutelare i professionisti dalla pubblicità ingannevole e dalle sue

conseguenze sleali”312

. Conseguentemente, sembrerebbe potersi desumere da una simile specificazione che le norme previste dal D.Lgs. n. 145/2007 riguarderebbero le fattispecie di pubblicità ingannevole e comparativa limitatamente all’ambito dei rapporti tra professionisti concorrenti. Ciò che, del resto, trova giustificazione nella, già accennata, circostanza che i consumatori potranno ricorrere, nei confronti di messaggi pubblicitari ingannevoli, agli strumenti di tutela apprestati dal Codice del Consumo, quale modificato per effetto del D.Lgs. n. 146/2007, che, come si è già avuto modo di rilevare, ha introdotto la ben più ampia nozione di pratica concorrenzialmente scorretta313, nella quale non può non ricomprendersi la fattispecie della pubblicità ingannevole, nei termini appena descritti.

Nel documento Product placement e libertà di espressione (pagine 136-143)

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