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La tutela costituzionale Problemi di coordinamento con l’art 21 Cost Cenni.

2. I diversi ambiti di tutela della pubblicità.

2.1. La tutela costituzionale Problemi di coordinamento con l’art 21 Cost Cenni.

Prendendo le mosse dalla protezione a livello costituzionale, il riconoscimento della stessa è stato, per molto tempo, oggetto di accesi dibattiti tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, sia sotto il preliminare profilo dell’individuazione di una forma di tutela di tal rango da apprestare alla pubblicità, sia, una volta ammesso ciò, dal punto di vista dell’individuazione della norma da porre a fondamento della predetta tutela.

In particolare, quest’ultimo aspetto ha dato luogo ad accesi dibattiti, che hanno indotto ad interrogarsi sul se il fenomeno della pubblicità, in quanto forma di comunicazione, nella specie di natura commerciale, potesse essere

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ricompreso nell’ambito di tutela di cui all’art. 21 Cost. (norma, come visto187, posta a tutela della libertà di manifestazione del pensiero), ovvero dovesse, piuttosto, essere ricondotto in quello, diverso, disciplinato dall’art. 41 Cost. (relativo, invece, all’attività economica di impresa), attesa la natura commerciale, e, dunque, economica, di tale attività.

Il problema si è posto, soprattutto, in relazione al diverso ambito di tutela fornito dalle predette norme costituzionali, dal momento che, mentre la protezione apprestata alla libertà di manifestazione del pensiero è tale da escludere la sottoposizione della stessa ad “autorizzazioni o censure”, ben maggiori risulterebbero i limiti cui assoggettare la pubblicità ove ricondotta nell’ambito di tutela di cui all’art. 41 Cost.. Ciò, del resto, può desumersi dallo stesso tenore delle norme costituzionali, laddove viene previsto, quanto alla libertà di espressione, quale unico limite esplicito, quello del buon costume, essendo, invece, stabilito, con riferimento all’iniziativa economica privata, che essa “non può svolgersi in contrasto con la utilità

sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana” (art. 41, co. 2, Cost.). In altri termini, è evidente come tale ultima

norma limiti l’esercizio dell’attività economica al paradigma della utilità sociale: ovvero, un indice che tenga conto degli interessi dei consumatori, oltre che dei medesimi imprenditori, anche sulla base delle norme in materia di concorrenza sleale, con la conseguenza che l’attività economica e, nella specie, la pubblicità, non potrà prescindere da un simile limite e dal rispetto dei predetti interessi. In tal senso, ad esempio, ben potrà essere invocata la tutela inibitoria sulla base della disciplina in materia di attività slealmente concorrenziale188, attesa la qualificazione della comunicazione pubblicitaria quale forma di concorrenza.

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Si rinvia, sul punto, a quanto già rilevato nel Capitolo I. 188

Art. 2599 c.c.: “La sentenza che accerta atti di concorrenza sleale ne inibisce la

A tale querelle ha posto fine, come detto189, la Corte costituzionale, la quale, con due successive pronunce, è intervenuta a superare i dubbi emersi sul punto, stabilendo, in maniera perentoria, la linea di discrimine tra la libertà di manifestazione del pensiero e la comunicazione pubblicitaria190.

In particolare, ha avuto modo di ribadire, in entrambe le pronunce, la Corte, come la libertà di espressione, la quale rinviene la propria tutela costituzionale nel dettato di cui all’art. 21 Cost., deve intendersi riferita esclusivamente alle forme di comunicazione che siano riconducibili all’ambito dell’informazione, dell’opinione e della cultura, non già anche alle forme di comunicazione che abbiano un fine economico, come, appunto, la pubblicità, in quanto proprio quel fine altro non sarebbe se non espressione di un interesse di parte, tale, dunque, da ricondurre tale forma di comunicazione alla iniziativa economica privata191. Del resto, ad una simile conclusione sembrerebbe potersi pervenire ponendo attenzione agli elementi che caratterizzano la fattispecie della pubblicità; ovvero, da un lato, il provenire la stessa da soggetti qualificabili come imprenditori, dall’altro, l’essere finalizzata a veicolare verso determinati prodotti e/o servizi il comportamento d’acquisto del pubblico cui si rivolge.

Cionondimeno, anche successivamente all’intervento dei giudici costituzionali, non sono mancate teorie nel senso di qualificare la

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Si veda, supra, Capitolo I, § 3.4.. 190

Il riferimento è a Corte cost., 12.7.1965, n. 68, cit., nonché a Corte cost. 17.10.1985, n. 231, in Foro it., 1985, I, 2829 ss..

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Diverso da questo orientamento sembra essere quello espresso dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, la quale ha ripetutamente riconosciuto validità al principio secondo cui la pubblicità può essere ricondotta alla libertà di manifestazione del pensiero, quale disciplinata dall’art. 10 CEDU (Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo), relativo, appunto, alla “Libertà di pensiero, di coscienza e di religione”. Cionondimeno, nonostante una simile diversa qualificazione della comunicazione commerciale, la Corte Europea è sempre giunta a riconoscere la possibilità di sottoporre quest’ultima a limitazioni, sulla base del comma 2 dell’art. 10 CEDU, e, di qui, ad escludere, nelle fattispecie concrete sottoposte al suo esame, la natura di manifestazione del pensiero delle singole comunicazioni pubblicitarie.

comunicazione pubblicitaria quale forma di manifestazione del pensiero192.

La questione sembra riemergere, poi, sotto profili ancora più problematici, in relazione a quelle forme di comunicazione, per così dire, “al confine” tra la libertà di manifestazione del pensiero e quella di iniziativa economica: il riferimento è, in particolare, sia a quelle peculiari comunicazioni pubblicitarie nelle quali l’intento promozionale risulti occultato per non farlo apparire come tale agli occhi dei destinatari193, sia alle manifestazioni del pensiero che celino intenti propagandistici. Ed infatti, é evidente come la qualificazione di tali fattispecie in termini di libertà di espressione o, piuttosto, quali forme di comunicazione pubblicitaria, sia tutt’altro che irrilevante, incidendo, una simile scelta, sul tipo di tutela da apprestare alle singole fattispecie.

2.2. La pubblicità come atto di concorrenza fra imprese: la normativa

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