Capitolo III Il product placement:
3. Natura del piazzamento di prodotto.
3.2. Il rapporto con la libertà di manifestazione del pensiero.
Al di là della innegabile qualificazione del product placement quale tecnica di comunicazione pubblicitaria, attese, come visto, le ragioni che, storicamente, hanno portato alla affermazione ed allo sviluppo di tale fenomeno, non può omettersi di considerare quello che rimane il problema centrale in materia di piazzamento di prodotto: ovvero, l’individuazione concreta della natura dello stesso laddove si faccia ricorso – o, quantomeno, sembrerebbe farsi ricorso – ad esso, potendo il piazzamento di prodotto, in taluni casi, non essere utilizzato quale tecnica di comunicazione commerciale.
Ed infatti, ben possono verificarsi, nella realtà concreta, ipotesi in cui il piazzamento di prodotto risulti, in realtà, soltanto “apparente”, celando, simili ipotesi, forme di manifestazione del pensiero. E’ il caso, ad esempio, di tutte quelle situazioni in cui la citazione di determinati marchi e/o prodotti all’interno di un’opera dell’ingegno sia il frutto, non già di un accordo tra autore dell’opera e impresa produttrice di determinati prodotti, bensì di una autonoma e libera scelta del primo.
Conseguentemente, anche a voler convenire con l’atteggiamento, per così dire, di “sospetto”, assunto, nel nostro ordinamento, nei confronti della tecnica del piazzamento di prodotto425, in ragione della lamentata maggiore efficacia persuasiva che ad esso viene attribuita rispetto alle altre forme di pubblicità, anche non palesi, non può trascurarsi come, nelle summenzionate ipotesi, riemerga il già accennato426 problema del coordinamento tra comunicazione pubblicitaria e libertà di espressione.
Sotto altra prospettiva, poi, laddove ricorrano simili ipotesi, una qualsivoglia, seppur minima, censura di tali citazioni, sebbene indotta dall’esigenza di tutelare i destinatari nei confronti di presunte pubblicità occulte, determinerebbe, quale effetto diretto ed immediato, quello di “degradare” la libertà di espressione a mera forma di pubblicità, comportando, conseguentemente (e soprattutto), serie ed ingiustificate limitazioni all’esercizio di tale libertà, in manifesta violazione della tutela costituzionale apprestata dall’art. 21 Cost..
Simile fattispecie, pertanto, potrà, semmai, dar luogo a forme di responsabilità, ad esempio per violazione della disciplina in materia di concorrenza sleale, e conseguenti obblighi risarcitori. Tanto potrebbe verificarsi, ad esempio, nell’ambito di un’opera cinematografica all’interno
425
Si veda, in proposito, quanto verrà detto, infra, nel § 4.1.. 426
della quale si faccia riferimento a specifici prodotti e/o marchi. In tale ipotesi, infatti, qualora simili citazioni fossero riconducibili alla scelta personale ed autonoma dell’autore dell’opera, un qualsiasi intervento censorio si rivelerebbe quale indebita e gravissima restrizione all’esercizio della libertà di manifestazione del pensiero, in quanto, come si é avuto modo di precisare, “ogni recensione, segnalazione e critica; qualunque
casuale inquadratura di prodotti e marchi; qualsiasi scelta dello sceneggiatore, del regista o del conduttore di utilizzare certi beni sulla scena potrebbe essere guardata con sospetto, dando luogo a una caccia alle streghe che finirebbe col minacciare le libertà di stampa, di informazione, di critica, di espressione artistica, di manifestazione del pensiero, calpestando diritti costituzionalmente garantiti”427
. Più che una minaccia, anzi, si verrebbe a determinare una vera propria limitazione della libertà di manifestazione del pensiero, laddove, ad esempio, si pervenisse ad una pronuncia di condanna da parte del Giurì di Autodisciplina ovvero dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, per violazione delle norme in materia di pubblicità trasparente.
Si ritiene, infatti, conformemente all’opinione espressa da taluna parte della dottrina428, che in alcun modo può essere confusa la libertà di manifestazione del pensiero con la comunicazione pubblicitaria, neppure nelle ipotesi in cui essa risulti “prostituita”429 ad una finalità promozionale, dovendo essere, la libertà di espressione, tenuta distinta, anche in simili ipotesi, dalla pubblicità.
427
In proposito, si veda Mansani,La repressione della pubblicità nascosta, in Contr. e
Impr., 1995, 188 ss..
428
Si veda, in proposito, Ruffolo, Pubblicità redazionale, manifestazione del pensiero e
limiti (anche costituzionali) al rimedio inibitorio/censorio, cit., 170.
429
L’espressione è di Ruffolo, Pubblicità redazionale, manifestazione del pensiero e
Conseguentemente, mentre dovrà essere qualificato come pubblicità (e non già quale forma di comunicazione ricompresa nell’ambito di tutela previsto dall’art. 21 Cost.) quel messaggio promozionale non palese, nel quale, cioè, la natura ed il fine pubblicitario non siano immediatamente “riconoscibili
come tali” da parte dei destinatari, non potranno, mai, essere adottati
provvedimenti inibitori nei confronti di forme di manifestazione del pensiero, ancorché asservite ad un fine promozionale, essendo, simili provvedimenti, espressamente preclusi dal dettato dell’art. 21 Cost..
Giova, infatti, ricordare che l’art. 21 Cost., se, da un lato, vieta espressamente l’assoggettamento della stampa ad “autorizzazioni o
censure” (comma 2), dall’altro, nel prevedere la possibilità di ricorrere al
sequestro dello stampato in talune, eccezionali, ipotesi, subordina una simile facoltà ad una duplice riserva, di legge e giudiziaria, condizionando, dunque, la legittimità di tali provvedimenti alla ricorrenza di due presupposti, atteso che può procedersi a sequestro soltanto “per atto
motivato dell’autorità giudiziaria” e “nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili”
(comma 3).
Conseguentemente, così come la analizzata fattispecie della pubblicità redazionale, laddove identifichi una comunicazione informativa, sebbene asservita ad un intento promozionale, non può, in alcun modo, essere inibita, potendo, tutt’al più, essere fonte di obblighi risarcitori, allo stesso modo forme, in apparenza, di piazzamento di prodotto che celino, in realtà, ipotesi di manifestazione del pensiero, sebbene, anch’esse, “prostituite”, potranno essere ritenute scorrette e, dunque, fonti di responsabilità, ma, mai, sottoposte a censura.
Purtuttavia, come è stato opportunamente rilevato, le predette considerazioni non dovrebbero indurre a preventivamente ritenere insuscettibile di censure qualsiasi forma di manifestazione del pensiero, dal momento che la libertà di espressione, sebbene non inibibile, risulta, cionondimeno, fonte di responsabilità risarcitorie, ove illecita. Si pensi, ad esempio, a tutti quei rimedi strictu sensu risarcitori o agli strumenti di riparazione in forma specifica, quali le comunicazioni informative, ovvero il ricorso all’astreinte430, definita come una sorta di penale applicabile in caso di spontanea inottemperanza al concesso provvedimento di inibitoria. Ed anzi, proprio con riferimento alla presenza di citazioni all’interno di opere cinematografiche, taluna dottrina ha rinvenuto nell’inserimento di un avviso circa la presenza di citazioni promozionali, ad esempio, nei titoli di testa di un film, un possibile strumento correttivo cui sottoporre la illecita libertà di espressione431.