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Dalla pubblicità indiretta…

Nel documento Product placement e libertà di espressione (pagine 188-195)

Capitolo III Il product placement:

3. Natura del piazzamento di prodotto.

3.1. Il rapporto con altre forme di comunicazione pubblicitaria.

3.1.1. Dalla pubblicità indiretta…

412

Prendendo le mosse dalla prima delle summenzionate fattispecie, autorevoli giuristi hanno rinvenuto nel piazzamento di prodotto una classica ipotesi di pubblicità indiretta, intesa quale forma di comunicazione pubblicitaria che, come si è visto, mira a pubblicizzare un determinato bene in maniera indiretta, ovvero inserendosi all’interno di un’altra comunicazione pubblicitaria tesa a promuovere altri beni413.

E’ stato, al riguardo, rilevato che, così come la pubblicità indiretta si configura come un’ipotesi di pubblicità non palese, in quanto non rende riconoscibile al pubblico la propria natura pubblicitaria, allo stesso modo il

product placement si configurerebbe quale fattispecie di pubblicità indiretta

inserita nell’ambito di un contesto narrativo audiovisivo414.

Cionondimeno, si ritiene di dover dissentire da un simile orientamento, per le medesime accennate ragioni (del tutto condivisibili), che, come visto, hanno indotto taluna dottrina a tenere distinta la pubblicità indiretta dalla più problematica fattispecie della pubblicità non trasparente415.

3.1.2. … alla pubblicità subliminale…

Altra fattispecie di pubblicità ritenuta illecita, con la quale, ad avviso di taluna dottrina, il product placement presenterebbe diverse affinità, è stata individuata nella pubblicità subliminale.

L’assimilazione del piazzamento di prodotto alla predetta forma di comunicazione pubblicitaria è stata, dai sostenitori di simile teoria, fondata,

413

Alla medesima equiparazione è giunta, altresì, la giurisprudenza: si pensi, ad esempio, al citato caso del serial televisivo “Un Commissario a Roma”, in relazione al quale l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato aveva così statuito: “la pubblicità

indiretta o product placement all’interno di forme di comunicazione di massa costituisce una fattispecie di messaggio pubblicitario” (dec. PI87, del 12.7.1993, cit.).

414

In questi termini, Unnia, op. cit., 197. 415

essenzialmente, sulla loro riconducibilità alla più ampia categoria della pubblicità non trasparente. Una simile equiparazione, sotto altro profilo, ha trovato terreno fertile, come si è già avuto modo di rilevare, nel generale clima di sfiducia, diffuso nel nostro Paese, nei confronti del product

placement.

Cionondimeno, si reputa di non poter convenire nemmeno con simile orientamento, presentando, il piazzamento di prodotto, una differenza tutt’altro che irrilevante rispetto alla pubblicità subliminale. Se, infatti, sotto un certo profilo, risulta, in termini generali, condivisibile la premessa da cui muove la suddetta equiparazione, ben potendo, entrambe le menzionate fattispecie, essere qualificate come ipotesi di pubblicità occulta, da un diverso punto di vista, però, completamente diverse sono le modalità attraverso cui le stesse mirano a realizzare l’intento pubblicitario. In particolare, mentre nella pubblicità subliminale il messaggio promozionale viene veicolato in maniera tale da essere percepito dal pubblico soltanto a livello inconscio, nel piazzamento di prodotto non è dato rinvenire una analoga peculiarità, dal momento che, in relazione a tale seconda fattispecie, i messaggi pubblicitari vengono percepiti dal pubblico in maniera cosciente, sebbene non venga intesa la loro natura pubblicitaria, essendo, la presenza, all’interno dell’opera, di determinati prodotti, avvertita dal pubblico come frutto di una libera scelta da parte dell’autore dell’opera416.

In altri termini, mentre nella pubblicità subliminale la recettività risiede nelle modalità di realizzazione del messaggio, ovvero nella tecnica utilizzata, nel piazzamento di prodotto l’ingannevolezza è nella “omessa

416

Condividono una simile opinione: Carballo-Calero, op. cit., 172; Gaviano, Product placement tra novità presunte e reali, in Foro amm.: TAR, 2005, 283 ss.; Savini, op. cit., 35.

informazione sul contenuto di parte della sceneggiatura di un’opera cine- televisiva” 417

, ovvero sulla natura della realtà narrata e rappresentata.

Come ha avuto modo di osservare il Mansani: “nella réclame subliminale

l’immagine pubblicitaria è obbiettivamente irriconoscibile, in quanto essa non può essere percepita per la sua eccezionale brevità; nel caso del

product placement la non riconoscibilità del messaggio pubblicitario non

dipende dall’adozione di una particolare tecnica di montaggio cinematografica, ma dalla prospettazione del prodotto all’interno di una certa realtà rappresentata, come se questo dipendesse esclusivamente dalle scelte culturali decise dagli autori del film”418

.

Differenza, quella da ultimo prospettata, che, proprio in quanto costituisce l’elemento che caratterizza la pubblicità subliminale, non può non indurre a tenere distinta tale fattispecie dal product placement.

3.1.3. … alla pubblicità occulta.

Ad una terza fattispecie di pubblicità, cui, peraltro, si è già fatto riferimento, è stato tradizionalmente ricondotto il fenomeno del piazzamento di prodotto: la cosiddetta pubblicità occulta.

Una tale assimilazione, sebbene non espressamente stabilita da alcun testo normativo, è stata ripetutamente affermata tanto dalla dottrina quanto dalla giurisprudenza italiana, le quali, ispirate dall’accennato atteggiamento ostile nei confronti del product placement, hanno costantemente ricondotto tale tecnica pubblicitaria alla fattispecie, legislativamente vietata, della pubblicità non trasparente.

417

Così, Unnia, op. cit., 207. 418

In particolare, sin dai primissimi studi sul fenomeno, il piazzamento di prodotto è stato definito come “una forma di pubblicità «nascosta»,

difficilmente individuabile da uno spettatore anche non particolarmente sprovveduto”419

, e, anzi, ritenuto come una delle più “subdole forme di

camuffamento”420 .

D’altra parte, le ragioni di un simile, consolidato, orientamento, possono facilmente individuarsi. Ed infatti, sebbene, come detto, non fosse dato rinvenire un esplicito divieto legislativo nei confronti di tale fenomeno, né alcuna espressa qualificazione quale forma di pubblicità occulta, le modalità di realizzazione del piazzamento di prodotto “si prestavano” , per così dire, all’applicazione della normativa in materia di pubblicità non palese.

Il riferimento corre, in primo luogo, alla direttiva n. 89/552/CEE, nella quale viene definita come “comunicazione commerciale audiovisiva

occulta” “la presentazione orale o visiva di beni, di servizi, del nome, del marchio o della attività di un produttore di beni o di un fornitore di servizi in un programma, qualora tale presentazione sia fatta dal fornitore di servizi di media per perseguire scopi pubblicitari e possa ingannare il pubblico circa la sua natura. Tale presentazione si considera intenzionale, in particolare, quando è fatta dietro pagamento o altro compenso”421

. Trattasi, infatti, di definizione all’interno della quale, come è stato opportunamente rilevato422, può essere facilmente ricondotto il fenomeno del product placement.

Analoghe considerazioni possono valere, poi, per le discipline interne, statuali e non, in materia di pubblicità occulta, tutte, a ben vedere,

419

Così, Mansani, op. cit, 908. 420

L’espressione è di Unnia, op. cit., 197. 421

applicabili a tale fattispecie, sebbene non contenenti alcuna specifica disposizione tesa a sanzionare il piazzamento di prodotto.

Cionondimeno, è evidente il duplice effetto negativo che una simile equiparazione può determinare: da un lato, il radicarsi del convincimento secondo cui in ogni ipotesi di piazzamento di prodotto l’intento promozionale sarebbe occultato e, dunque, mai, percepibile da parte del pubblico, dall’altro e, conseguentemente, la qualificazione del piazzamento di prodotto, da un punto di vista strettamente giuridico, come fattispecie di pubblicità illecita.

Una tale assimilazione ha, in altri termini, indotto la dottrina a rinvenire, nell’occultamento dell’intento promozionale, più che un elemento accidentale del piazzamento di prodotto, la presenza del quale determinerebbe un giudizio di illiceità sull’utilizzo di simile tecnica pubblicitaria, un elemento costitutivo dello stesso, con la conseguenza che il product placement è stato sempre ritenuto, per così dire “per natura”, illecito. In tal modo, si è escluso che esso potesse costituire una tecnica pubblicitaria lecita, quale, invece, è – e quale è nata –, con la conseguenza che si è arrivati a confondere due piani che, invece, avrebbero dovuto essere tenuti distinti: ovvero, la natura del piazzamento di prodotto, da un lato, ed il suo inquadramento giuridico, dall’altro423.

Non sono, peraltro, mancate critiche alla qualificazione del piazzamento di prodotto come forma di pubblicità occulta.

422

Così, Carballo-Calero, op. cit., 182. 423

Fra le tanti opinioni in tal senso, si veda, ad esempio, Mansani, op. cit., 919, il quale individua una caratteristica del product placement nella “non riconoscibilità del

messaggio pubblicitario”. Diversamente si è espresso, invece, Carballo-Calero, op. cit.,

181, il quale ha sottolineato che “l’occultamento della natura pubblicitaria dev’essere

considerato come un requisito di illiceità del product placement e non come un elemento concettuale. Altrimenti”, osserva l’Autore, “arriveremmo all’assurdo di non poter mai parlare di un product placement lecito”.

E’ stato, ad esempio, sottolineato come minori siano gli effetti persuasivi del product placement rispetto alla pubblicità non trasparente424. In particolare, si è osservato che, mentre nell’ipotesi, per così dire, classica di pubblicità occulta, ovvero la pubblicità redazionale, il pubblico è indotto, erroneamente, ad attribuire maggior credibilità ad una “presunta” informazione – ma che, in realtà, sottace un messaggio promozionale – perché resa da un soggetto che sembrerebbe avere una posizione neutrale, nel piazzamento di prodotto non sarebbe dato rinvenire una induzione in errore di analoga efficacia, non essendo presente alcun soggetto neutrale per il tramite del quale influenzare maggiormente il comportamento d’acquisto del pubblico.

Del resto, non può negarsi che l’attuale sempre maggior ricorso alla tecnica del product placement possa determinare addirittura un effetto opposto a quello, tanto aborrito, dell’occultamento della pubblicità.

Ci si riferisce, in primo luogo, al fatto che, essendo il piazzamento di prodotto ormai costantemente utilizzato nelle opere cinematografiche, oltre che, come visto, in numerosi altri settori, il pubblico si sarebbe ormai, per così dire, “abituato” a tale tecnica e, quindi, sarebbe in grado di percepire la natura pubblicitaria (ove, peraltro, sussistente) di tale fenomeno.

Sotto un ulteriore profilo, poi, la circostanza stessa che in una medesima opera, ad esempio un film, siano presenti piazzamenti di più prodotti e/o marchi, potrebbe ridurre l’intento promozionale che si intendeva raggiungere mediante il product placement, trovandosi, il pubblico, di fronte ad una pluralità di prodotti e/o marchi, e, dunque, non essendo, la sua attenzione incentrata su uno soltanto di essi.

424

Circa l’eccessiva forza persuasiva attribuita al piazzamento di prodotto, si veda, Fusi,

Il product placement fra divieto di pubblicità non trasparente e nuova disciplina del

Alla luce di tutto quanto finora detto, si ritiene preferibile qualificare il piazzamento di prodotto, con riferimento alla natura dello stesso, quale tecnica pubblicitaria lecita. Una simile qualificazione, del resto, risulta rispondente, in primo luogo, all’origine storica di tale fenomeno, frutto, appunto, di un accordo commerciale tra autori di opere dell’ingegno, da un lato, e produttori di determinati prodotti e/o marchi, dall’altro, al fine di piazzare, dietro corrispettivo, i prodotti e/o marchi dei secondi nell’opera realizzata dai primi. In secondo luogo, poi, a non diversa conclusione si perverrebbe ove si ponesse mente alle molteplici definizioni date di tale fenomeno, nelle quali non si rinviene alcun riferimento all’occultamento dell’intento promozionale. Il product placement, dunque, quale tecnica pubblicitaria lecita, la quale, cionondimeno, laddove realizzata in forma occulta, potrebbe essere ritenuta suscettibile di censure per violazione delle norme in materia di trasparenza pubblicitaria: profilo, quest’ultimo, che, peraltro, come si è già accennato, attiene alla diversa problematica dell’inquadramento giuridico del fenomeno, che si andrà ad esaminare nei successivi paragrafi.

Nel documento Product placement e libertà di espressione (pagine 188-195)

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